18 Aprile 2024

Perchè l’Unione Europea merita il Nobel per la pace

[Nota: Traduzione a cura di Emanuela Ciaramella dall’articolo originale di Ulrich Speck pubblicato su openDemocracy]

Il premio Nobel per la pace destinato all’Unione Europea ha ricordato che l’UE è molto più di un mercato o  di un’unione monetaria. È il fondamento della sicurezza, della  libertà e della prosperità dell’Europa. Ma questo fondamento è ora minacciato da miopia e incomprensioni.

Nel chiarire la decisione del Comitato per il  Premio Nobel di assegnare il premio per la Pace all’UE, il suo presidente Thorbjoern Jagland ha affermato che l’unificazione europea ha trasformato l’Europa “da un continente di guerre a un continente di pace”.

Proprio per questa ragione, è stato contestato che il Nobel non dovesse andare all’Unione Europea ma alla Nato. In questa affermazione c’è del vero.  Durante la Guerra Fredda, la NATO ha di fatto protetto l’Europa occidentale per evitare che questa cadesse sotto la sfera di influenza sovietica, e ha sostituito il fragile equilibrio tra potenze che più o meno si equivalevano con una  egemonia ampiamente pacifica. E Washington ha incoraggiato fin dal suo inizio il progetto di unificazione europea.

Ma sotto l’ombrello della “pace esterna” promossa dalla Nato, i leader europei hanno costruito qualcosa di più ampio e più profondo – una struttura che promuove la pace “all’interno” dell’Europa: l’Unione Europea stessa e i suoi fondatori. L’unificazione europea ha creato anche, seppure in modo parziale, una società europea integrata. Nato ed Unione Europea sono riusciti in qualcosa che era fallito durante la Prima e la Seconda guerra mondiale: trasformare l’Europa in un territorio sicuro per un’economia di mercato e una democrazia liberale. Un baluardo di libertà, sicurezza e prosperità.

L’Unione Europea e i suoi fondatori possono ”vantare” quattro importanti risultati geopolitici: la trasformazione della centenaria ostilità tra Francia e Germania in amicizia, la stabilizzazione della democrazia in Grecia, Portogallo, e in Spagna dopo la transizione dall’autocrazia; la facilitazione dell’unificazione tedesca e il rendere appetibile l’unificazione del Paese agli Stati vicini, la guida del processo di transizione alla democrazia dei Paesi dell’Europa centrale e dell’Est seguito alla scomparsa dell’Unione Sovietica.

Oggi, l’Unione Europea sta tessendo una densa rete di relazioni e contatti lungo i suoi confini. I Governi comunicano ogni giorno e a vari livelli. I funzionari hanno ruolo di coordinamento e  cooperazione con Bruxelles e gli altri Stati membri. Le aziende operano in un unico grande mercato. Le persone viaggiano, si spostano con una facilità senza precedenti. È emersa un’élite cosmopolita profondamente legata all’Unione Europea. E i confini non sono oramai più delle barriere.

Così, l’esperienza quotidiana di essere inseriti in un più ampio contesto paneuropeo fa considerare la guerra come un male incomprensibile e appartenente a un passato lontano. Un sogno si è avverato.

Ma questi importanti risultati, oggi sono a rischio. La crisi dell’euro ha reso l’UE  instabile e inefficiente. L’euroscetticismo è diventato popolare, e nel Regno Unito continua ad essere il sentimento dominante.

La più grande minaccia è la fine dell’integrazione europea. L’uscita della Grecia dall’Unione è stata contrastata – i governi hanno guardato in fondo alla questione e hanno deciso che la Grecia a qualunque costo dovesse rimanere all’interno dell’UE. Ma adesso è il Regno Unito che sta pensando di uscirvi e attualmente è ciò che vuole la maggior parte dei britannici. Ad ogni modo, il Regno Unito è stato sempre un riluttante sostenitore in quanto nell’UE ha sempre visto un progetto principalmente continentale, costruito attorno alla riconciliazione franco-tedesca.

E i problemi  dell’eurozona hanno indotto molti britannici a concludere che l’intera esperienza è  destinata al fallimento.

In questo senso, l’uscita della Gran Bretagna potrebbe essere il primo passo verso il disfacimento dell’Unione Europea perchè potrebbe provocare una reazione a catena. I Paesi che si sentono vicini al Regno Unito, oppure quelli del Nord o dell’Est Europa potrebbero  riconsiderare le loro relazioni con l’UE che potrebbe  perdere la sua attrattività e rilevanza internazionale.

Un’Unione Europea ridotta a una Francia frustrata e indebolita e a un Sud bisognoso che guarda alla Germania, poco disposta a svolgere il ruolo di pagatore, non riuscirebbe a tenere insieme l’Unione per molto.

Inoltre, la partecipazione attiva della Gran Bretagna nell’Unione Europea è essenziale, in quanto è parte centrale del processo decisionale.

Londra deve mantenersi instancabile sostenitore del liberalismo e costruire un contrappeso agli istinti nazionalisti e burocratici della Francia e della Germania. L’UE si basa su uno specifico cocktail di idee politiche, tradizioni, culture e i britannici rappresentano una parte essenziale di questo mix.

Senza il Regno Unito, l’UE potrebbe essere costretta a rinunciare alla speranza di diventare un attore globale.  La Gran Bretagna ha risorse, esperienza, conoscenze che sono vitali per una seria politica estera di sicurezza. E solo se Parigi e Londra faranno squadra, saranno in grado di modificare la prospettiva miope, riluttante e fortemente pacifista della Germania verso un approccio alla politica estera più attivo.

Affinché il Regno Unito possa rimanere dentro l’UE, i leader europei dovranno smettere di parlare di federalismo. Ogni volta che il cancelliere tedesco Angela Merkel parla di “più Europa” e di “Unione politica”, l’elettorato britannico percepisce “superstato” e ha una forte propensione a desiderare l’uscita dall’UE. Comunque, non è necessario spaventare gli inglesi che vogliono restare fuori dall’Europa. In realtà, nemmeno i tedeschi vogliono fare un “grande salto” verso uno Stato federale. Merkel è sempre stata una sostenitrice dell’ “Europa delle patrie” di De Gaulle e regolarmente mantiene ai margini Bruxelles. Ora  è Berlino che sta ritardando e annacquando “l’unione bancaria”.

La Germania non ha nessuna tabella di marcia per la costruzione di un’Europa federale. Merkel sta usando la retorica federalista come tattica.  “Più Europa”, lo slogan del momento,  è diretto a diversi soggetti. È pensato per riconquistare la fiducia degli investitori e dei partner di tutto il mondo: fidatevi di noi, stiamo mettendo ordine in casa nostra, potete comprare le obbligazioni europee e contare su di noi.

Inoltre, l’euro-federalismo è stato una parte fondamentale della cultura politica tedesca, sin dal dopo guerra, del cancelliere Konrad Adenauer.  L’integrazione della Germania in Europa è sempre stato un modo per riprendersi dal  passato nazista e assicurare che la storia non si sarebbe ripetuta, “più Europa” chiaramente sembra rassicurante alle orecchie dei tedeschi. In terzo luogo, nel dibattito politico della Germania di oggi, “più Europa” è spesso tradotto in “un maggiore controllo per la Germania rispetto ai Paesi debitori”. Il che è ovviamente un’illusione. In una eurozona federalista di 332 milioni di persone, 82 milioni di tedeschi sarebbero in minoranza. Il potere di Berlino nell’UE di oggi, non è solo basato sul fatto che si tratta di una potenza economica vigorosa, ma anche dal fatto che si tratta di uno Stato nazionale. Una zona euro federalista avrebbe probabilmente introdotto gli Eurobond molto tempo fa – qualcosa a cui la Germania si oppone in modo deciso.

Dopo oltre 20 anni di crisi, è chiaro che la costruzione europea non va verso una sostanziale  ridefinizione, l’UE non diventerà uno Stato. I limiti dell’integrazione sono più o meno evidenti . La pressione dei Paesi membri e la minaccia di bloccare i fondi rimangono gli unici strumenti seri per i governi dell’UE che intendono rafforzare la disciplina e incoraggiare le riforme. In settori chiave, gli Stati membri più potenti saranno sempre in grado di apporre un veto, informalmente o  formalmente se sarà necessario. Bruxelles non potrà mai avere il potere degli Stati membri per esercitare un controllo centrale. E Berlino non può, anche in caso di fallimento,  giocare il ruolo di un centro di potere. I tedeschi non lo vogliono. E se si tentasse di arrivare a ciò ci sarebbe una reazione di massa. Gli Stati più piccoli e vicini all’Europa costruirebbero immediatamente coalizioni contro la Germania e isolerebbero Berlino.

Questo lascia una sola strada da percorrere: migliorare l’efficienza del quadro attuale. Ciò significa fondamentalmente migliorare la cooperazione e il coordinamento tra gli Stati sovrani.  I leader dovrebbero concentrarsi meno sulle istituzioni e più sulla crescita, eliminando gli ostacoli al mercato unico, incentivando  gli accordi commerciali, con l’Asia, gli Stati Uniti e gli altri Stati, e investendo in infrastrutture transfrontaliere.

Politicamente l’Unione Europea è stata sempre qualcosa di unico, sui generis. Adesso i leader devono dimostrare nuovamente creatività, dimostrando che ciò che oggi l’opinione pubblica pensa dell’unione monetaria è sbagliato – l’Unione Europea può essere efficacemente gestita da un’Unione di Stati nazionali. È  tempo di dire addio al federalismo.

Le origini storiche dell’integrazione dell’UE sono state sempre federaliste. In altre parole, le persone hanno creduto che si stesse costruendo uno Stato europeo – con una capitale, un  governo, un parlamento e una costituzione -. Questa visione è stata raramente chiarita, ma è stata implicita in molti dei “progetti” passati.  Molti pensano che Helmut Kohl, il cancelliere che ha seguito l’unificazione della Germania nel 1990, ha deliberatamente messo in circolazione un’unione monetaria imperfetta, con lo scopo di far diventare l’UE, nel tempo, un’Unione federale. E molti dei federalisti rimanenti, come il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, che ha lavorato a stretto contatto con Kohl sulla riunificazione tedesca, sembrano persuasi dall’idea che la crisi dell’euro rappresenta il momento storico in cui un passo in più verso questa prospettiva potrebbe – e dovrebbe –  essere fatto.

Ma gli ultimi anni hanno reso evidente che gli Stati membri in realtà non vogliono rinunciare all’Europa. Il sentimento anti-europeo è cresciuto in molti Stati membri. Lo slogan ”più UE” è uguale a “crisi” e sempre più persone stanno diventando stanche e scettiche. Nuovi movimenti politici stanno guadagnando consensi  con inclusione degli euro-scettici. Non vi è alcun  movimento popolare a favore dell’UE, né grandi manifestazioni a sostegno.

L’attuale pericolo è che gli europei voltino le spalle a un’Unione europea che è il pilastro in Europa dell’ordine geopolitico perché sono stanchi delle difficoltà di gestione della moneta unica. Spesso la gente dà per scontati la libertà, la stabilità e la prosperità. Questo può essere un errore. Senza decenni di integrazione e unificazione europea, l’Europa sarebbe probabilmente molto diversa da oggi. Potrebbe essere simile alla regione Asia/Pacifico, in cui la guerra tra grandi potenze è diventata nuovamente possibile, in cui la rabbia nazionalista per le controversie  territoriali limita la possibilità di negozazione dei governi e in cui la corsa agli armamenti è in corso. La regione Asia/Pacifico ha un disperato bisogno di qualcosa che l’UE ha ancora in abbondanza: la fiducia tra gli Stati, alimentata da organismi e istituzioni comuni.
La più grande sfida politica per i leader europei di oggi è quindi mantenere intatta l’unione. Ciò include un nuovo accordo con la Gran Bretagna, concepito come un lungimirante impegno strategico, non come un primo passo verso una via d’uscita. In secondo luogo, occorre fare di più in modo che gli europei possano, in un mondo in continuo cambiamento, vivere nella pace e nella prosperità. Gli Stati Uniti stanno perdendo la loro egemonia e la volontà di “essere i guardiani del mondo” si sta indebolendo: hanno bisogno di partner. L’Europa deve urgentemente rafforzare la sua strategia. Per diventare un partner rilevante, l’Unione europea deve diventare un attore coerente ed efficiente. La politica estera inizia da casa, e il mondo non aspetta.

Spostare l’attenzione del dibattito europeo dalla questione economica a quella politica, contribuirebbe anche a ripristinare l’immagine dell’UE agli occhi dei cittadini. Se Bruxelles diventa il luogo dove i leader europei si incontrano per elaborare strategie per garantire la posizione dell’Europa nel mondo e per  trasmettere gli interessi e i valori europei,  e se gli strumenti messi in atto dai trattati di Lisbona diventano reali, con un ufficio diplomatico dell’Unione europea, allora l’immagine dell’EU cambierebbe sostanzialmente.

Nel 1950, alcuni leader europei hanno lavorato duramente per creare quello che per molti sembrava impossibile, un’unione fatta di Stati che erano nemici da secoli. Dopo la fine della guerra fredda, un’altra generazione di politici europei ha approfondito e ampliato l’unione, di nuovo contro una considerevole opposizione e scetticismo. L’attuale generazione di leader si trova ad affrontare una sfida simile. Se riusciranno a fare entrambe le cose, mantenere intatta l’UE e trasformarla in un attore globale, avranno meritato il Nobel per la pace non solo una volta, ma almeno due.

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