Certo non è storia nuova. Le Ong che si occupano dei diritti dei lavoratori nella Repubblica popolare sono spesso soggette a intimidazioni e pressioni. Il governo non si stanca di spiegare che la causa è la possibilità di infiltrazione di “gruppi e lobby straniere” che hanno interesse a finanziare grandi scioperi, e proteste e “a premere il grilletto delle rivolte sociali”.
Ma è paradossale perché proprio il Guangdong doveva essere il laboratorio del progetto di legge la cui entrata in vigore era prevista per il primo luglio che si chiama “promozione, sviluppo e gestione delle organizzazioni sociali” e che avrebbe dovuto facilitare la registrazione delle ong e sganciarle dal diretto controllo governativo.
Entro il 2015, la maggior parte delle organizzazioni sociali dovranno essere in grado di fornire servizi pubblici e prodotti con la sola autorizzazione del governo, continua la bozza.
Ma trovare un mecenate è uno dei più grandi ostacoli per le Ong, in particolare per quei gruppi che si occupano della difesa dei diritti.
Le amministrazioni infatti sono sempre molto preoccupate di essere considerate responsabili per le azioni delle Ong e molti gruppi in difesa dei diritti civili hanno dovuto registrarsi come aziende.
Con l’entrata in vigore delle nuove regole, le agenzie governative che lavorano nei campi dell’industria, del commercio, della carità e dei servizi sociali non dovranno più svolgere il ruolo di “amministratore” ma semplicemente essere “consulenti” nel processo di registrazione.
L’alleggerimento dei controlli governativi sulle Ong è stato invocato per anni da accademici, Ong nazionali e non e leader stranieri, proprio a causa del ruolo indispensabile che svolgono nella costruzione della società civile, scrive il South China Morning Post. Per la prima volta quest’anno nel 12° piano quinquennale, il governo centrale ha sottolineato il concetto di “gestione sociale”.
Zhang Zhiru, direttore del centro per risolvere le controversie lavorative “Brezza Primaverile” ha dichiarato di aver affittato i sette uffici che gli sono stati chiusi.
“Il nostro ufficio è stato il primo ad essere chiuso nel mese di febbraio, solo tre mesi dopo ci siamo trasferiti in una nuova posizione in periferia” ha riferito Zhang al Post. “Il padrone di casa ha demolito la nostra insegna e ha sospeso l’acqua e l’elettricità, anche se avevamo firmato un contratto di tre anni e pagato l’affitto. E’ ironico che le autorità abbiano detto pubblicamente che avrebbero adottato un approccio più aperto verso le Ong mentre operavano uno stretto giro di vite su di noi.” Il suo ufficio principalmente ha fornito assistenza legale ai lavoratori migranti su controversie di lavoro.
Chen Mao, un operatore di un’Ong che lavora con i lavoratori migranti da circa 13 anni sul territorio di Shenzhen, si è detto scioccato dalla portata della repressione.
“Il nostro ufficio è stato costretto a chiudere a maggio“, ha detto al South China Morning Post. “In passato, la maggior parte delle molestie e ritorsioni proveniva da datori di lavoro che erano arrabbiati a causa del nostro lavoro in difesa dei diritti dei lavoratori migranti. Non ho mai visto una così grande ondata di repressione governativa come quella che si è abbattuta sul nostro centro”.
Chen, che il mese scorso ha presentato una petizione alle autorità di Shenzhen per scoprire perché sia stata ordinata la chiusura delle Ong, ha dichiarato che il suo padrone era stato spesso oggetto di vessazioni da parte dei funzionari locali a partire da novembre.
Non ha voluto speculare sulle ragioni che stavano dietro la repressione, ma ha negato che potesse essere messa in relazione alla paura di disordini sociali da parte dei lavoratori migranti prima del prossimo Congresso del partito.
E ha dichiarato che: “i funzionari Shenzhen mi hanno detto che tutte le Ong della provincia devono ancora trovare un dipartimento del governo che le sponsorizzi prima di potersi registrare”. E non deve essere facile.
Post di Cecilia Attanasio Ghezzi pubblicato su China Files e ripreso dietro autorizzazione.