Ufficialmente sono otto i candidati indipendenti e tre i leader di partito che sfideranno l’attuale Primo Ministro russo Vladimir Putin alle elezioni presidenziali del prossimo quattro marzo. I sondaggi dicono che non avrà difficoltà a vincere, ma probabilmente sarà costretto al ballottaggio. Tuttavia decisivo per il futuro della nazione russa sarà l’approccio del nuovo presidente alle questioni che riguardano la tormentata area del Caucaso.
Le forze in campo nelle prossime elezioni presidenziali
Nel 2008, dopo due mandati in veste di Presidente della federazione russa, il vincolo costituzionale aveva impedito a Putin di ricandidarsi per un terzo mandato consecutivo, ciò però non gli ha vietato di rivestire la carica di Primo ministro, che detiene dal 2008. Dal marzo prossimo, con ogni probabilità, sarà di nuovo a capo della Federazione con l’incarico di Presidente. I primi sondaggi elettorali lo danno per vincente.
Gli sfidanti ufficiali di Putin secondo la lista resa pubblica dalla Commissione elettorale sono gli indipendenti Viktor Cherepkov, ex sindaco di Vladivostok; il governatore della regione di Irkutsk, Dmitri Mezentsev; Leonid Ivashov, presidente dell’Accademia di geopolitica; lo scrittore e attivista dell’opposizione Eduard Limonov; Renat Khamiyev e Svetlana Piuonova; l’opinionista Boris Mironov e il miliardario Mikhail Prokhorov. A questi si aggiungono il leader del Partito “Russia Giusta” Sergey Mironov; e quello del Partito comunista Gennady Zjuganov oltre all’ultranazionalista Vladimir Zhirinovski. Appare abbastanza chiaro a tutti che nessuno degli sfidanti avrà possibilità di battere Putin, l’unico rischio che potrà correre l’attuale Primo Ministro è quello di non superare al primo turno la soglia del 50% + 1 a causa di un calo record della sua popolarità, mai come adesso ai minimi storici, sempre secondo le previsioni degli ultimi sondaggi.
In Russia, come altrove del resto, i sondaggi non rappresentano una scienza esatta, ma lo diventano quando coincidono con le analisi degli analisti più accreditati, le quali certamente vanno in questa direzione.
C’è una sostanziale mancanza di programmi elettorali, un vuoto di propaganda, tanto è vero che, a poco più di un mese dall’apertura dei seggi, l’unico in grado di presentare una vera proposta elettorale chiara e comprensibile è stato il miliardario Mikhail Prokhorov a differenza degli altri indipendenti e dei partiti dei quali non si può dire esistano dei punti programmatici, ma solo affabulazioni di vario genere. Molto fumoso e pressoché inesistente appare il programma del partito di Putin che non chiarisce come il prossimo presidente intenderà far fronte ai problemi della Russia. Tra questi certamente la questione politica nel Caucaso è uno di quei nodi fondamentali e imprescindibili.
Le problematiche legate al Caucaso
Problema che nasce e si inserisce innanzitutto in un clima intimidatorio nei confronti della stampa russa. Una scia di terrore che continua a calpestare la libera espressione di giornalisti, additati come scomodi, in un’incessante atmosfera di terrore perpetrata soprattutto nella regione caucasica, dopo gli assassini di Natalia Estemirova che lavorava per il quotidiano Novaja Gazeta, lo stesso giornale di Anna Politkovskaya, e di Khadzhimurad Kamalov in Daghestan, entrambi noti per le critiche contro gli abusi delle forze dell’ordine nella repressione dell’insurrezione islamica in Cecenia, e in generale in tutto il Caucaso russo.
Nei prossimi mesi il Cremlino dovrà guardarsi da due potenziali pericoli provenienti da questa regione: l’espansione del terrorismo islamico soprattutto nelle aree del nord e i continui attentati nel cuore della stessa Russia per opera dei nazionalisti-separatisti, Ceceni su tutti. Non a caso l’attentato all’aeroporto Domodedovo del gennaio 2011 era stato rivendicato proprio dagli ultra-nazionalisti ceceni. In questi ultimi anni i mezzi repressivi adottati da Mosca non hanno dato buoni frutti se non inasprire la recrudescenza della risposta populista cecena, nonostante la politica filorussa del presidente ceceno Ramzan Kadyrov che tiene in pugno il potere attraverso una dittatura feroce e priva di ogni libertà.
Nella zona caucasica, salta all’occhio la netta divisione tra le aree a maggioranza musulmana (Cecenia, Daghestan) e quelle con una maggior concentrazione di popolazione russa (le regioni di Stavropol e Krasnodar). Nelle aree del Caucaso a maggioranza musulmana nelle elezioni amministrative del dicembre scorso si sono registrate percentuali schiaccianti di vittoria per il partito di Vladimir Putin, in Cecenia l’affluenza è stata del 99,51% con il 99,48% dei voti indirizzati al partito “Russia unita” dell’attuale Primo ministro, dato allarmante che fa calare un’ombra sulla legalità del voto in questa parte della regione. L’elite di governo cecena è necessariamente fedele al partito di governo russo a causa della totale dipendenza delle sovvenzioni provenienti dal bilancio federale russo e questo spiega la vittoria netta del partito il cui leader è Putin. A maggior ragione, potendo contare su una quota bulgara di voti in Cecenia, l’eventuale vittoria dello “zar” nelle presidenziali di marzo non è messa in dubbio.
Nelle altre zone della regione caucasica le cose non sono poi così diverse. In Daghestan l’affluenza è stata più bassa, ma il partito al potere ha raggiunto un quorum di preferenze pari al 91%. Dato molto simile anche in Karachaevo-Cherkessia e nella piccolissima repubblica di Cabardino-Balcaria dove il partito di Putin ha raccolto l’81,91% dei consensi. Anche in Inguscezia “Russa unita” ha raggiunto il 78% dei voti complessivi. Male invece per quanto riguarda tutti gli altri partiti, a parte qualche suffragio in più per il Partito comunista. Le vittorie straccianti del partito del Primo ministro nei territori ceceni e del Daghestan non devono trarre in inganno, perché sono gli effetti più evidenti dell’autoritarismo, della repressione e del patto di sangue tra l’intelighenzia cecena e il Cremlino, osteggiato invece dai separatisti. Tenuto conto di ciò, le presidenziali non riserveranno sorprese, e si profila per Putin un pieno di voti. Nelle altre zone, i nazionalisti e social-populisti hanno raccolto risultati più soddisfacenti rispetto alla zona cecena, pur tuttavia lasciando il gradino più alto del podio al partito di Putin. Trattasi di zone come l’Ossezia del Nord, l’Adighezia, la Regione di Krasnodar, il territorio di Stravropol, tutti territori con popolazione a maggioranza russa, da sempre vicina a Putin. I riscontri elettorali con quote bulgare lo lasciano dunque tranquillo, in previsione delle presidenziali, consapevole della forza elettorale indotta nell’area.
Il futuro del Caucaso
La strategia di Mosca per controllare le zone del Caucaso negli ultimi tempi è mutata. Putin, attraverso Medvedev, ha creato un distretto federale del Caucaso del nord distinto dal distretto del Caucaso meridionale decidendo così di dare una risposta politica ed economica, oltre a quella militare, alle regioni autonome del Caucaso settentrionale.
Il nuovo rappresentante del presidente russo nell’area è Alexander Khloponin, uomo di fiducia del Primo Ministro, manager avvezzo alla gestione di situazioni di crisi. In questo modo l’influenza di Putin sull’area sarà ancora maggiore e, sulla falsa scia di un modello di business da impiantare per la regione, si ritaglierà altri consensi. Certo, il Caucaso del Nord è ancora una spina nel fianco del duopolio di governo Medvedev-Putin nonostante le vittorie elettorali più o meno legali. La maschera di normalizzazione con la quale Putin vuole tenere a bada le questioni dell’area deve tener conto del fiero e sprezzante separatismo ceceno e del problema religioso. Il terreno del Caucaso è ancora difficile da domare, il successo elettorale di Putin è solo apparente. Affrontare le spinte secessionistiche dei neonazionalisti della regione risulterà ancora uno dei problemi primari nella politica interna di Putin, poiché è sempre più difficile contenere la spinta islamista, capace anch’essa di portare a pericolosi contagi. I gruppi islamisti antirussi sono sempre più radicali e sempre più tributari di appoggi esterni, provenienti dal Pakistan, dalla Giordania e persino dalla nebuolosa di Al Qaeda.
La “madre Russia” di un tempo nel futuro potrebbe davvero divenire una polveriera; 17 milioni di chilometri quadrati contengono quasi 70 gruppi etnici diversi, tra cui jakuti, baskiri, careliani, ciuvasci, osseti, udmurti, inevitabile dunque che le ribellioni separatiste non possano non preoccupare Mosca. Oggi le rivendicazioni cecene, come tante in altre aree dello Stato russo, sono rivolte di matrice religiosa, perché le rivolte interagiscono con l’estremismo esasperato oltre ad essere il frutto di rivendicazioni economiche. Da non dimenticare, infatti, che la zona tra il Caucaso settentrionale e il Mar Caspio è la famosa via del petrolio, ricca di giacimenti. Tutto questa fomenta indistintamente l’instabilità della regione e ha portato alla crisi della società multietnica, che riversa il suo astio nei confronti dell’elite di governo e dunque di Mosca.
Conclusioni
La presa di Putin sul potere dunque continuerà e saranno ancora più evidenti le caratteristiche di tale forza, attraverso il rafforzamento di una verticalità di potere e una giunta politico militare che continuerà ad essere l’oligarchia pronta a dominare i prossimi anni in Russia ed in cui il Deus ex machina sarà sempre lo stesso Putin. Ma necessariamente lo “zar” dovrà confrontarsi con il peggiore dei suoi nemici, il terrorismo dei separatisti caucasici, e non è detto che ciò che ha rappresentato l’Afganistan per gli Stati Uniti non potrebbe esserlo la Cecenia per la Russia, e nonostante il voto favorevole, scontato per le elezioni presidenziali, Putin potrebbe ritrovarsi invischiato in una vera e propria jihad.
[Nota: l’articolo originale di Piero Pizzi è apparso su Equilibri.net e ripreso dietro autorizzazione].