E’ di questi giorni la denuncia di sfruttamento del lavoro degli immigrati avviata dalla cooperativa Parsec in Lazio, che ha messo in luce attraverso la ricerca Right Job: lavoro senza diritti. Tratta e sfruttamento lavorativo degli immigrati a Roma e nel Lazio gravi condizioni di “sfruttamento intensivo delle persone” che rasentano i limiti dello schiavismo: assoluta deregolamentazione e precarietà del rapporto lavorativo, carichi di lavoro pesantissimi, scarsa retribuzione e mancata integrazione sociale dei lavoratori, sono queste le principali problematiche denunciate.
L’indagine, realizzata in collaborazione con il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio e la Regione Lazio, si concentra su dati verificati nell’area romano laziale – pur in assenza di dati ufficiali aggiornati sul fenomeno – facendo ricorso ai transiti nei centri di accoglienza che ospitano persone protette in base all’art.18 (soggiorno per motivi di protezione sociale) del testo unico sull’immigrazione, che parlano di 800 persone in tutta Italia. Tra i settori principalmente colpiti dal fenomeno spiccano edilizia, agricoltura e lavoro domestico.
Secondo quanto affermato dalla ricercatrice Federica Dolente,
nell’agro pontino c’è una miriade di lavoratori stagionali sfruttati, tra cui abbiamo verificato anche casi di tratta e lavoro para-schiavistico, ma non è pensabile applicare l’art. 18 a interi comparti produttivi, a un numero di persone così elevato.
La protezione dell’articolo 18 che consente di ottenere il permesso di soggiorno alle persone che denunciano lo sfruttamento sul lavoro sarebbe quindi insufficiente davanti a interi settori come l’agricoltura dell’agro pontino, che si basano sullo sfruttamento dei migranti in modo strutturale. Spiega Dolente:
Abbiamo casi in cui il lavoro sfruttato ha diverse intensità – non troviamo tutti gli indicatori della tratta, però ci sono il sequestro dei documenti, pratiche come la vendita dei contratti di lavoro stagionale in agricoltura, si lavora per molte ore al giorno, ci si ammala per lavori di concimazione senza protezione.
La soluzione a tale male sociale, secondo la ricercatrice, non può essere identificata nella semplice denuncia per sfruttamento, alla quale si arriva frequentemente non perché il lavoratore straniero percepisce la gravità delle condizioni di lavoro ma piuttosto per il verificarsi di un evento traumatico quale può essere un’aggressione, una malattia o un ricovero in ospedale: “il punto è che deve cambiare il sistema produttivo – afferma Dolente. – Il problema è quello di un’economia che si regge su questo e della mancanza di mezzi per fare i controlli da parte delle forze dell’ordine”.
Il progetto Right Job, nato come intervento sperimentale nell’ambito dei progetti art.18 finanziati dal Dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, dal 2006 è l’unico intervento su questo tema attivo nella Regione Lazio. A tre anni dall’avvio ha esteso le sue attività da Roma fino alle province di Latina e Frosinone.
Inseriti all’interno di un sistema economico spesso incurante dei rischi che provoca alla loro salute e anche alla loro vita, i cittadini migranti forniscono un apporto, innegabilmente, non marginale all’asfittico sistema economico del nostro Paese.
Se dalla ricerca non sono emerse in modo chiaro le caratteristiche che contraddistinguono il fenomeno della tratta degli esseri umani, aver rivelato fenomeni come il sequestro dei documenti, la compravendita dei contratti di lavoro stagionale, rappresentano di certo un indizio pregnante.
Soprattutto in agricoltura, dove le giornate lavorative con orari che vanno ben oltre quelli stabiliti per legge e la presenza di malattie causate da lavori di concimazione svolti senza gli opportuni strumenti di produzione sono sufficienti per comprendere la gravità del fenomeno sui cui occorrerebbe intervenire nel più breve lasso di tempo possibile.
Non basta accogliere questa gente in fuga dai propri luoghi d’origine se poi gli viene negata l’occasione di progredire verso un futuro caratterizzato da autentici miglioramenti. Sarebbe opportuno estendere gli stessi strumenti utilizzati per la protezione, assistenza e integrazione sociale destinate alle vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale anche alle vittime di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo. Inoltre, stando all’analisi dei dati più recenti sull’immigrazione, appare chiaro come il fenomeno abbia assunto un volto letteralmente femminile: i dati rilevati dagli osservatori parlano di “femminilizzazione delle ondate migratorie”, in relazione alla “femminilizzazione della povertà”, causa spesso del “fenomeno della tratta delle donne destinate alla prostituzione, evidenziando la comune matrice tra lavoro paraschiavistico e prostituzione forzata”.
Il lavoro deve essere inquadrato nell’ottica imprescindibile di strumento per la costruzione dell’identità e della piena realizzazione del “sé”, garantendo così la reale integrazione sociale oltre che il benessere in toto dell’individuo.
Solo attraverso l’impiego di strategie condivise da tutta la società che mirino a contrastare il lavoro coercitivo si potranno attivare delle dinamiche in grado di migliorare l’occupazione, promuovere il rispetto dei diritti di tutti i lavoratori e soprattutto attuare un cambiamento culturale nei confronti del lavoro sommerso e di ogni forma di sfruttamento lavorativo.