Le donne del Kordofan meridionale, la forza del Ru'ya

Traduzione di Gaia Resta, dell’articolo originale di Amel Gorani per openDemocracy.net]

Vi sorprenderebbe sapere che in una società come quella sudanese, in cui sono gli uomini a ricoprire la maggior parte dei ruoli di potere, la maggioranza dei votanti alle elezioni tenutesi a maggio 2011 per scegliere il governatore dello Stato del Kordofan meridionale, fosse costituita da donne.

Il Carter Center e il National Civic Forum (NCF) hanno riportato che in quell’occasione la partecipazione delle donne è stata uguale, se non addirittura maggiore, a quella degli uomini. Una grande conquista, per quanto poco riconosciuta e tanto meno festeggiata,  per le donne del Kordofan meridionale mobilitatesi per votare e far votare in questa regione ad elevato valore strategico, posta tra Repubblica del Sudan e Sudan del Sud.

E si tratta di una conquista tanto più evidente se consideriamo le ben poche opportunità e le innumerevoli limitazioni alla vita pubblica cui è soggetta la partecipazione femminile  in una società rurale come questa. L’analfabetismo è talmente diffuso che in alcuni villaggi le donne in grado di leggere sono davvero poche unità.

Dalle relazioni della sudanese National Election Commission e dagli enti che hanno monitorato le elezioni non si hanno purtroppo dati sul sesso dei votanti. La mancanza di attenzione, di documentazione e di analisi della partecipazione dei due sessi alla vita politica, così come in altre sfere, rappresenta un vero ostacolo alla comprensione delle dinamiche di genere e alla promozione delle pari opportunità. L’associazione Ru’ya (Vision) ha giocato un ruolo determinante nell’incoraggiare le donne al voto, ha elaborato statistiche e ha minuziosamente documentato il proprio lavoro, gli obiettivi e i risultati raggiunti. Ru’ya ha operato in 54 villaggi di quattro diversi distretti del Kordofan meridionale (Lagawa, Kadugli, Dilling e Heiban) offrendo servizi di educazione civica ed elettorale a 5,000 persone che, a loro volta, hanno contribuito a far circolare informazioni sul sistema elettorale nelle loro comunità di provenienza. L’associazione ha formato 30 donne alla sensibilizzazione, comunicazione e non-violenza in 13 dei 18 distretti del Kordofan meridionale. Queste donne ne hanno poi mobilitate altre facendole iscrivere al voto. Il monitoraggio dei risultati effettuato da Ru’ya ha dimostrato l’efficacia di tutto questo lavoro: le donne iscritte al voto sono state 23,000. Inoltre, l’associazione ha aiutato 10 donne candidate da 5 partiti diversi a sviluppare competenze utili a condurre campagne sul territorio e a costruire un’agenda comune delle donne su scala nazionale, stabilita da rappresentanti delle donne provenienti da 12 partiti attivi nel Kordofan meridionale. Alcune delle priorità inserite nell’agenda sono: la necessità di mantenere la pace e contrastare la violenza, l’adozione e la ratifica degli accordi internazionali e regionali sui diritti delle donne, il mantenimento di buoni rapporti tra le donne del Sudan e quelle del Sudan del Sud, il conferimento di un maggiore potere economico alle donne, i diritti delle donne disabili, la libertà di movimento e il diritto alla doppia cittadinanza (sudanese e sud sudanese).

Cosa ha agevolato il successo di Ru’ya?

Zeinab Blandia, direttore esecutivo di Ru’ya ha dichiarato: “chiunque lavori a contatto con le persone deve comprendere il contesto in cui vivono e le loro necessità, e sviluppare il proprio piano di azione in linea con queste per poter conseguire risultati“. Durante una delle chiacchierate su Skype delle ultime settimane, Zeinab mi ha raccontato: “siamo andati in alcuni villaggi e vi abbiamo trascorso qualche tempo. Abbiamo dormito lì e organizzato le nostre attività in orari conciliabili con le esigenze dei target group. Spesso gli incontri si svolgevano di sera o di notte, quando le donne avevano concluso il lavoro in casa e nei campi. Le attività avevano luogo in località diverse, ma mai lontane dai centri in cui risiedevano le partecipanti. Per le nostre sedute abbiamo impiegato tutto il tempo necessario per dare alle persone la possibilità di porre tutte le domande che volevano e affinché comprendessero appieno il significato delle informazioni che stavamo dando loro. A sessioni cui altre organizzazioni dedicano in media non più di 45 minuti noi abbiamo destinato 3 o 4 ore. Sembra ovvio e semplice? Non lo è se si considera che molte organizzazioni non rispettano neanche i principi base appena elencati e credono di sensibilizzare le persone con modalità preconfezionate piuttosto che modellare il lavoro in base ai bisogni delle comunità che intendono aiutare.

Nello svolgimento di queste attività Ru’ya ha potuto contare sui gruppi del Social Solidarity Fund, il vasto network che è andato costituendo in 57 villaggi a partire dal 1996. Le donne associate a questi gruppi si incontrano ogni settimana nelle diverse località per acquisire competenze in ambito organizzativo, economico e nella risoluzione di problemi. Lavorano sulla risoluzione dei conflitti e analizzano le questioni e le difficoltà che i membri del gruppo devono affrontare, sia a livello individuale che come comunità. Nell’ambito del lavoro a sostegno della pace e della democrazia Ru’ya ha identificato dei target group di solito poco considerati e raramente coinvolti nei progetti di educazione civica, come gli studenti di scuola superiore. Gli incontri sull’educazione civica, inizialmente pensati solo per le donne, sono stati poi rivolti anche agli uomini nel momento in cui Ru’ya ha riscontrato nei votanti uomini la stessa necessità di informazioni e chiarimenti. Ru’ya ha mantenuto una posizione politica neutrale e si è impegnata a non schierarsi con nessun partito, né coalizione. Sebbene Ru’ya sia stata l’organizzazione femminile di riferimento, nel Kordofan meridionale, fra quelle impegnate sul fronte delle elezioni, non ha ricevuto nessun finanziamento da donatori come USAID, per esempio, che per la formazione in vista delle elezioni in Sudan, nel periodo gennaio 2009-2012, ha invece stanziato 44 milioni di dollari attraverso il National Democratic Institute. Ru’ya ha implementato il suo programma con un budget minimo, ricevendo sostegno finanziario solo da un network regionale di donne, lo Strategic Initiative for Women in the Horn of Africa (SIHA), e potendo contare solo sul lavoro dei volontari e delle comunità del Kordofan meridionale per aiutare le donne a iscriversi al voto. Zeinab mi ha detto: “Le donne sanno comunicare con rapidità e grande efficacia. Quando decidono che un tema sta loro a cuore, si impegnano, ne parlano e incitano gli altri a mobilitarsi“.

La ripresa del conflitto: due passi avanti, un passo indietro

Le elezioni di maggio hanno costituito il punto critico per l’esplosione della violenza che ha poi inghiottito il Kordofan meridionale, l’unico Stato della Repubblica del Sudan che produce petrolio. A giugno Ru’ya aveva quasi terminato il report conclusivo sul lavoro svolto per le elezioni, quando l’esercito sudanese e le forze paramilitari alleate hanno attaccato la capitale, Kadugli, e altre località del Kordofan meridionale. Le sedi di Ru’ya sono state oggetto di alcuni raid nella prima fase dell’attacco, e tutti i documenti, i computer e le attrezzature sono stati rubati. Il personale di Ru’ya ha dovuto lasciare la città insieme a decine di migliaia di altri cittadini. “Non abbiamo avuto tempo di prendere i documenti e gli effetti personali, siamo fuggiti con quello che avevamo addosso“, mi ha raccontato Zeinab. E così, a peggiorare il problema della mancanza di una documentazione da parte delle istituzioni nazionali e internazionali sul lavoro svolto dalle donne per le elezioni nel Kordofan meridionale, si aggiunge anche il furto degli unici documenti che raccontavano le storia di questo movimento così innovativo. La storia dell’attivismo di queste donne ora esiste solo nella memoria delle persone che hanno fatto parte della mobilitazione. È ora che gli attivisti, i cooperanti e gli storici rimettano insieme i pezzi di questa storia, una lezione troppo importante per andare perduta.

La ripresa del conflitto nel Kordofan meridionale ha interrotto l’elaborazione di un piano vilto all’implementazione dell’agenda delle donne, che il Ru’ya stava avviando per la fase post-elettorale. Ancora una volta hanno dovuto confrontarsi con la sciagura della guerra e con le infinite difficoltà di un contesto fatto di repressione, insicurezza, persecuzione, sfollamenti e povertà. Non si riesce ancora a vedere la fine degli orrori di un conflitto sistematico e ciclico come quello del Kordofan meridionale, ma il gruppo di Ru’ya si è ricostituito al di fuori dello Stato e sta cercando di proseguire con il lavoro nel Kordofan e tra le popolazioni sfollate che hanno varcato i confini. Stanno provando a rielaborare i loro documenti e a ristabilire i contatti con i membri e i partner, in modo da raggiungere le comunità di cui prima si occupavano. Stanno esplorando tutte le possibilità per aiutare e richiedere assistenza umanitaria per le popolazioni vittime del conflitto che lottano contro la fame e la devastazione. I membri di Ru’ya, come altri attivisti per la pace i diritti civili, portano avanti la loro missione mentre al tempo stesso lottano per la sopravvivenza e affrontano innumerevoli minacce all’incolumità personale. Ru’ya ha stretto accordi con altre organizzazioni della società civile (la maggior parte sono organizzazioni di donne) e ha dato vita alla Solidarity Initiative for Humanitarian Aid and Peace, un ente che richiede la risoluzione pacifica del conflitto, la proroga dell’assistenza umanitaria e la costruzione e il mantenimento della pace. Il messaggio che rivolge alle parti in guerra e alla comunità internazionale è, nelle parole di Zeinab: “No alla violenza, alla devastazione e al conflitto. La guerra deve finire adesso.

Il conflitto si può risolvere solo con mezzi di pace“. Ru’ya fa da tempo pressione per la ripresa dei negoziati. Ma finora le loro richieste non hanno avuto risposte concrete. Il governo, invece, ha represso duramente alcune manifestazioni pacifiche, come quella organizzata dalla Solidarity Initiative e ha fatto arrestare alcuni attivisti presenti alla manifestazione. Otto delle donne arrestate sono state accusate di aver partecipato a una manifestazione non autorizzata, per disturbo alla quiete pubblica e per aver guidato un corteo contro un ente straniero, per poi essere riolasciate. “La situazione è disperata ma non ci arrenderemo” mi ha detto Zeinab. “Andremo avanti con il nostro lavoro e troveremo il modo di portare a compimento la nostra missione. Non c’è un’alternativa, possiamo solo lottare per la pace. È l’unico modo per andare avanti“.  Speriamo che il lavoro di queste organizzazioni di donne così determinate attragga l’attenzione dei potenti e riceva supporto sia a livello nazionale che internazionale. E che un numero sempre maggiore di persone (e non in ultimo i governi, i politici e i finanziatori) imparino da loro, comprendano e sostengano l’importante contributo dell’attivismo delle donne alla crescente partecipazione democratica, alla lotta contro la guerra e per la pace in Sudan. Una minuscola parte del denaro speso nelle risoluzioni militari per la “sicurezza” potrebbe fare molto per promuovere la pace se investita nei piccoli network di donne che, come Ru’ya, si impegnano per una risoluzione pacifica del conflitto e per il cambiamento democratico.

Amel Gorani è un’attivista sudanese per i diritti delle donne e una specialista dello sviluppo internazionale; attualmente vive negli Stati Uniti. Zeinab Blandia è sudanese, una sostenitrice della pace e direttore esecutivo di Ru’ya (Vision) in Sudan.

Gaia Resta

Traduttrice, editor e sottotitolista dall'inglese e dallo spagnolo in ambito culturale, in particolare il cinema e il teatro. L'interesse per un'analisi critica dell'attualità e per i diritti umani l'ha avvicinata al giornalismo di approfondimento e partecipativo.

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