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Centri accoglienza richiedenti asilo, l’inferno Mineo

Mare calmo, fluente. Mare amico che incoraggia la fuga dal Nord Africa di un’ondata inarrestabile di uomini in cerca di salvezza, mentre permane uno stato di emergenza che non si è in grado di gestire nel modo più opportuno.

I dati riportati dall’inizio dell’anno fino al 31 Luglio, rendono chiara l’idea della portata del fenomeno al quale stiamo assistendo: circa 48 mila immigrati sono sbarcati in Italia provenienti da Tunisia e Libia e finchè in quest’ultima non cesserà la guerra, rimarrà lo stato d’allerta. Nell’isola di Lampedusa proseguono gli sbarchi e il numero degli immigrati continua a salire superando le oltre 2.600 presenze. Solo nel weekend di Ferragosto sono stati circa 1.800 gli immigrati ospiti al centro d’accoglienza nell’ex base militare Loran, altri invece sono stati imbarcati sul traghetto “Moby Fantasy” per essere trasferiti nel CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo), di Mineo, a Catania.

Prospettiva poco incoraggiante questa, se si considera che il centro di Mineo, ex villaggio dei militari USA e rinominato “Residence degli Aranci”, negli ultimi mesi, è stato più volte oggetto di critiche da parte di associazioni umanitarie e organi di stampa che ne chiedevano la chiusura immediata.
L’esperienza di Mineo vissuta dagli ospiti della struttura risolleva il problema della gestione dei CARA, facendo riemergere i nodi e le problematiche che si portano dietro, similarmente ai CIE e a tutte quelle strutture che, sorte per garantire una tra le principali funzioni delle politiche migratorie, non hanno nulla da condividere con l’universo che sta dietro il termine “accoglienza”.

I CARA sono “strutture nelle quali viene inviato e ospitato per un periodo variabile di 20 o 35 giorni, lo straniero richiedente asilo privo di documenti di riconoscimento o che si è sottratto al controllo di frontiera, per consentire l’identificazione o la definizione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato”. Nella fase di prima accoglienza, il richiedente asilo, dovrebbe ricevere tutte le indicazioni e il “relativo supporto per potersi ambientare all’interno del CARA stesso, in cui sarà alloggiato per tutto il tempo necessario fino al riconoscimento del proprio status e tutte le notizie essenziali che gli consentano di esercitare i propri diritti”.
Di fatto tutto questo non accade e lo scenario che si prospetta è di totale abbandono.

Sbarchi di immigrati (foto tratta da Reteiblea.it)

Prendendo come modello emblematico il centro di Mineo, dove si trovano persone di varia provenienza: nigeriani, pakistani, eritrei, afghani, non solo i tempi di esame delle domande di asilo sono sempre più lunghi, ma in alcuni casi i documenti relativi alle procedure di riconoscimento dello status di asilo avviate in altri CARA italiani, non sono mai arrivati alla Commissione territoriale che ha il compito di esaminarli.
A questo dato si aggiungono le condizioni dei richiedenti asilo che appaiono ogni giorno più drammatiche: depressioni fisiche e psicologiche sembrerebbero un tratto caratteristico e diffuso fra tutti i migranti. Nonostante il regime di trattenimento si prevede che i richiedenti asilo svolgano attività all’esterno, il “Residence degli Aranci” – di cui ben poco rimane dell’immagine evocativa suscitata dal suo nome – sorge in un contesto di totale isolamento, a dieci kilometri dal piccolo centro abitato e con un sistema di trasporti del tutto inadeguato: la navetta che dovrebbe garantire i collegamenti con la cittadina è a pagamento e a nessun migrante viene garantito il pocket money previsto. Molte nigeriane si trovano all’esterno della struttura, quando possono uscire, sulla strada che unisce Catania a Gela ed è forte il sospetto che si verifichino episodi di prostituzione. Inoltre, la denuncia più frequente tra i richiedenti asilo riguarda la scarsa qualità del cibo che sarebbe all’origine di molti malesseri.

Le condizioni di vita nel centro di Mineo si avvicinano alle condizioni disumane o degradanti vietate dall’art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
Manca ad esempio qualsiasi forma di mediazione sociale e assistenza legale. Ma la cosa più grave, è la negazione costante della dignità dei rifugiati che rimangono in attesa da mesi senza sapere quando la loro pratica verrà esaminata e quando potranno ottenere i documenti necessari per riprendere il loro viaggio o ritornare nei luoghi in cui avevano sperimentato esperienze positive di integrazione.
C’è chi parla di “business dell’accoglienza”: i 45-50 euro al giorno previsti in budget per ogni richiedente asilo, moltiplicati per i 2.000 richiedenti asilo di Mineo, comportano introiti indubbiamente notevoli al mese.

Questi centri si trasformano in strutture “chiuse” molto simili a quelle detentive, nelle quali si applicano arbitrariamente misure di sicurezza che limitano e violano la libertà umana. Si dimenticano le finalità principali di un percorso che dovrebbe puntare, oltre al riconoscimento della richiesta d’asilo, all’integrazione sociale. Parlare di “integrazione” significa non dimenticare i drammi che questi uomini si sono lasciati alle spalle; ridurre i tempi di attesa burocratici e stilare un vero e proprio piano di accoglienza da articolare all’interno dei CARA, che chiami in causa associazioni, professionisti del sociale, medici, figure legali e istituzionali, volontari. Solo muovendosi in tale direzione si potrà parlare di autentica accoglienza-integrazione e solo adottando tali misure, si passerà da una modello di gestione del fenomeno migratorio arbitrario e olistico, ad un approccio rispettoso e partecipe della dignità umana.

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