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Primo marzo, gli immigrati tornano in piazza

Di nuovo in piazza. Di nuovo per le strade. Molti, tutti insieme. Clandestini e regolari. Bianchi e neri. Parlando le lingue più diverse. Ma calpestando un suolo comune, quello italiano. Primo marzo 2011, sciopero degli immigrati. L’iniziativa, lanciata lo scorso anno e diffusasi anche in altre nazioni europee torna con più grinta e vigore. E si riempie quest’anno di nuovi contenuti, anche alla luce di quanto è avvenuto negli ultimi mesi nel Nord Africa.

L’appuntamento è in decine e decine di piazze italiane (qui la mappatura e i riferimenti) per tornare a farsi portavoce delle proprie necessità e richieste, così diverse dalle normative vigenti e così inascoltate nel momento in cui tali normative vengono approvate. Quasi che le persone non esistessero. Le motivazioni della protesta sono tante, politiche e civili: dall’abrogazione della Bossi-Fini al no al razzismo; dall’abrogazione del reato di clandestinità e del pacchetto sicurezza al diritto di voler vivere in una società diversa. Lo scorso anno erano in 300mila. Con palloncini e strisce gialle, il colore scelto per rappresentare gli “stranieri” e la protesta.

Sono 4.235.059 i cittadini stranieri residenti in Italia, pari al 7,0% del totale dei residenti. Circa un immigrato ogni 12 residenti. Lo dicono gli ultimi dati Istat che confermano il trend di crescita degli ultimi anni. Solo al 1° gennaio 2009 i cittadini stranieri rappresentavano il 6,5%. Poi ci sono gli irregolari, i clandestini, quelli che lavorano a nero, spediscono i soldi a casa e se ne stanno zitti e buoni per non dare nell’occhio. Certo, qualche volta delinquono. E così alimentano le idiote dichiarazioni di qualche politico/ministro che ha bella e pronta l’equazione clandestino=delinquente.

Poi ci sono, dicevamo, quelli che lavorano per costruirsi un’esistenza diversa in Italia o per mandare i soldi a casa. Come Noureddine Adnane, venditore ambulante con regolare permesso di soggiorno e licenza di vendita. Ma neanche il rispetto della legge basta alle persone senza cuore e senza cervello. E così Noureddine doveva fare i conti con frequenti controlli e sequestri della merce, da parte di vigili urbani. Controlli e sequestri motivati nel modo più svariato. All’ennessimo sequestro – chissà quali pensieri gli sono passati per la testa in quel momento – ha reagito in maniera inaspettata e assurda: si è dato fuoco. È morto dopo giorni di sofferenza. A lui, il Movimento Primo marzo dedica la manifestazione di quest’anno.

Cosa accadrebbe, questo il leitmotiv della manifestazione di questa come dello scorso anno, se per 24 ore gli stranieri incrociassero le braccia? Cosa accadrebbe se lasciassero fabbriche, letti di ammalati, hotel e ristoranti? Dovremmo saperlo ormai, per quante volte è stato ripetuto: i lavoratori immigrati producono l’11% del PIL dello Stato italiano, alimentandone le casse con le tasse e i contributi previdenziali. Inoltre, con il loro lavoro di cura (badanti, colf, baby sitter) sopperiscono alle carenze strutturali del nostro welfare.
Eppure se ne continua a sottolineare l’estraneità alla nostra cultura, il pericolo per le nostre tradizioni e per la sicurezza. Sono queste, anche, le reazioni ai tumulti che hanno interessato e stanno interessando il Nord Africa. La preoccupazione del mondo politico e istituzionale in queste ore è il numero degli immigrati che potrebbero arrivare in Italia e nel resto dell’Europa. Solo dalla Libia, dove infuria la protesta e la reazione sconsiderata e sanguinaria di Gheddafi, si calcola che potrebbero arrivare nel nostro Paese in 300.000.
E mentre parte del mondo politico italiano si interroga sulla migliore maniera di respingere, anziché accogliere, questo flusso di persone disperate, e le dichiarazioni demenziali si susseguono, il Coordinamento migranti di Bologna ha lanciato un appello affinché il primo marzo diventi anche la manifestazione “contro i regni della paura” primo fra tutti quello del dittatore libico, Gheddafi. Un modo per riempire di contenuti ampi e complessivi una protesta.

Non si scenderà in piazza solo per manifestare contro politiche insensate e contro il razzismo, ma anche per il rispetto dei diritti umani e contro lo strapotere di certi regimi e certi Governi che rappresentano sempre meno la coscienza civile dei Paesi che dovrebbero rappresentare e servire.

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