Approfittando dell’attuale crisi internazionale a causa delle proteste nel mondo arabo, Pechino ha deciso di lanciare una pesante offensiva in Africa. Durante una recente visita ufficiale nello Zimbabwe, il Ministro degli Esteri della Repubblica Popolare della Cina, Yang Jiechi, ha chiesto alle nazioni occidentali di porre fine all’embargo economico ai danni del Paese africano (*). Yang non ha usato mezzi termini durante il suo discorso ufficiale, pronunciato dopo il meeting con il Presidente Mugabe e il Primo Ministro Morgan Tsvangirai [trad. di F.Beltrami]:
Lasciate che sia sincero. Noi pensiamo che occorre mettere fine all’embargo economico contro lo Zimbabwe. La Cina crede che l’Africa appartenga ai Paesi africani e alla popolazione africana. Gli africani devono essere artifici del proprio destino e tutti gli stranieri soltanto degli ospiti. Riteniamo che tutte le nazioni debbano rispettare la sovranità e l’integralità territoriale delle altre nazioni. La Cina e lo Zimbabwe hanno una storica amicizia nata durante la lotta di liberazione contro il colonialismo occidentale. Fin da allora le relazioni tra i nostri Paesi si sono rafforzate su un piano di reciproco rispetto ed interesse. Questo dovrebbe essere l’esempio di relazione tra Stati da seguire.
Un discorso ufficiale che rappresenta un punto di rottura
Le pesanti parole pronunciate ufficialmente dal Ministro degli Esteri cinese rappresentano un punto di rottura per la fragile cooperazione tra Cina e Occidente rispetto al controllo delle materie prime in Africa. Pechino ha deciso di rompere gli indugi e abbandonare la politica d’intesa con USA ed Europa, lanciando un’offensiva contro gli interessi occidentali nel Continente al fine di spostare i rapporti di forza a favore della Cina. La tattica scelta è la demagogia anti imperialista. Il discorso pronunciato ad Harare ha come obiettivo quello di far credere ai Paesi africani che la Cina possa essere un loro valido e potente alleato contro lo strapotere occidentale. Un alleato che intende costruire relazioni internazionali ed economiche impostate non su pressioni economiche e minacce militari ma sull’equo scambio dei rapporti tra Sud e Sud dove tutti risultano vincitori. L’invito al rispetto dell’integrità territoriale è un chiaro riferimento al progetto occidentale di balcanizzazione del Sudan, principale partner petrolifero della Cina.
Rottura come diretta conseguenza dello sviluppo economico della Cina in Africa
La penetrazione cinese in Africa ha conosciuto una vertiginosa accelerazione negli ultimi due anni. Il commercio tra la Cina e il continente nero, valutato lo scorso anno a 115 miliardi di dollari, è aumentato del 43,5% rispetto al 2009. Gli investimenti cinesi vanno espandendosi rapidamente in 45 Paesi africani, cocentrandosi in quelli tradizionalmente sotto influenza francofona o anglofona, come il Kenya, la Tanzania, il Rwanda, la Nigeria, lo Zambia e l’Algeria.
La Cina ha investito 22 milioni di dollari in Kenya per modernizzare gli esistenti porti di Mombasa e Lamu, per la modernizzazione dell’esistente rete ferroviaria e per la costruzione di una colossale autostrada che faciliti il trasporto terrestre tra Kenya, Etiopia, Sud Sudan e Rwanda. L’autostrada faciliterà il trasporto di merci da questi Paesi al porto keniota di Lamu. In Tanzania le aziende cinesi hanno investito 200 milioni di dollari nei settori agricolo, farmaceutico, minerario, edile e nelle infrastrutture stradali. Mentre gli alleati storici e punta di diamante della penetrazione cinese rimangono il Sudan e lo Zimbabwe.
Questa rapida espansione economica, unita al fabbisogno crescente di materie prime per sostenere l’industria nazionale, alla debolezza dell’Europa, al declino americano e alle recenti destabilizzazioni sociali in vari Paesi arabi, sono certamente i fattori principali che hanno spinto il Comitato Centrale di Pechino ad adottare una politica di rottura con l’occidente – la quale potrebbe rappresentare il preambolo per una stagione di guerre indirette tra Cina e Occidente combattute sul suolo africano per decidere la supremazia sulle materie prime per i prossimi vent’anni.
Cina e Occidente: nemici comuni per lo sviluppo africano?
Indipendentemente dalla retorica anti imperialista la Cina rappresenta, per lo sviluppo africano, un pericolo pari all’attuale politica occidentale. Dietro la maschera di un Paese del Sud del mondo alleato delle nazioni africane contro lo strapotere dell’Occidente, si nasconde una nuova e più devastante forma di colonialismo che ricorda le mentalità di rapina del primo imperialismo europeo portato avanti da Spagna e Portogallo nel Nuovo Mondo. Per raggiungere i suoi obiettivi economici, la Cina non si fa scrupolo di difendere vari dittatori e governi corrotti. Questa tattica è in netto contrasto con il vento rivoluzionario che ha iniziato a soffiare sul continente nero ed è un mortale ostacolo alla Seconda Indipendenza africana.
Le popolazioni africane non devono accettare compromessi poiché il concetto democratico occidentale e il modello di sviluppo cinese sono elementi estranei alla cultura africana e dannosi all’intero continente. Entrambi nascondono l’atavico interesse imperialista di controllare milioni di persone delle “periferie dell’impero”, a stretto beneficio di una minoranza di cittadini occidentali che stanno impedendo lo sviluppo economico e sociale anche nei propri Paesi o, nel caso della Cina, vanno aumentando le condizioni di servilismo feudale tra le popolazioni africane. Pur essendo vero che politiche protezioniste e d’isolamento porterebbero l’Africa allo stesso risultato di rovina e disperazione, gli scambi commerciali e diplomatici dell’Occidente e dell’Asia devono avere un nuovo partner: un’Africa libera, indipendente e sovrana!
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(*) La Comunità Europea (sotto la pressione della Gran Bretagna) e gli Stati Uniti hanno imposto un embargo economico allo Zimbabwe dopo le elezioni presidenziali del 2002, dove Mugabe è stato accusato di aver rubato la vittoria al suo rivale (l’attuale Primo Ministro) attraverso frodi elettorali. Secondo le cancellerie occidentali l’embargo economico, che ha distrutto l’economia del Paese e ridotto alla fame milioni di persone, è stato una scelta obbligatoria per fare pressioni sul regime dittatoriale di Mugabe affinché accetti la democrazia. Il vero motivo che ha spinto l’imposizione dell’embargo è stata la legge sulla riforma agraria voluta da Mugabe alla fine degli anni ’90 e che ha privato a minoranza dei coloni bianchi di origine inglese del diritto di mantenere la maggioranza delle terre coltivabili sotto loro proprietà latifondista. Per dovere di cronaca occorre notare che la nomenclatura del regime e i parenti di Mugabe hanno maggiormente approfittato di questa riforma agraria e non le masse contadine; che il regime di Mugabe ha una natura dittatoriale che impedisce lo sviluppo democratico del Paese e che il Primo Ministro Morgan Tsvangirai non rappresenta una vera alternativa democratica ma solo un uomo politico più vicino agli interessi anglo-americani nel Paese.