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A quando la fondazione di una memoria condivisa in Palestina?

Se pace vuole essere robusto edificio di autentica riconciliazione, dalla miscela delle sue fondamenta non può essere esclusa la verità. Sul lato israeliano, si dovrebbe ad esempio cominciare a prendere in considerazione testi come quelli di Ilan Pappé, letture imprescindibili nell’ottica di un’onesta e profonda revisione critica dell’ideale sionista e dei miti fondativi di Israele. Senza dubbio anche gli arabi hanno molto su cui riflettere nei confronti dei propri errori storici, che siano stati essi determinati da buona o da cattiva fede, e del ricorso al terrorismo come arma negoziale.
In entrambi casi, solo un’osservazione onesta e non ideologica di sé stessi e degli altri può condurre a una riconciliazione autentica; questo passa anche attraverso la fondazione di una memoria condivisa.

E’ notizia di alcuni giorni fa che l’Autorità Palestinese avrebbe consentito l’utilizzo nelle scuole della Cisgiordania di un testo intitolato “Learning the Historical Narrative of the Other” (tradotto in Italia dalla cooperativa Una Città come “La storia dell’altro”), un manuale di storia dove la cronaca del conflitto israelo-palestinese viene narrata mettendo in parallelo la versione israeliana e quella palestinese. Una sorta di testo a fronte con le due versioni della stessa storia messe a confronto e dove si può ad esempio trovare il 1948 descritto come Guerra d’indipendenza dal lato sionista e contemporaneamente come Nakba dal punto di vista palestinese.
Sulla pagina Facebook di Una Città si legge quanto segue (traduzione dell’articolo originale di Haaretz dov’è apparsa la notizia):

Il Ministro dell’Istruzione dell’Autorità Palestinese ha approvato l’uso di un testo di storia che propone le narrazioni dei Palestinesi e del Movimento sionista, è la prima volta che il punto di vista israeliano viene presentato agli studenti della West Bank.
Il testo, il cui impiego è stato vietato dal Ministro dell’Istruzione israeliano, è il risultato di una collaborazione congiunta palestinese-israeliana-svedese per promuovere la coesistenza attraverso l’istruzione scolastica. Il Ministro dell’Istruzione palestinese ha fatto sapere che verrà adottato in due scuole superiori vicino a Gerico.

In realtà, nonostante l’apparente passo avanti compiuto dai palestinesi, sulla stessa pagina Facebook si può apprendere da un commento come la notizia sia stata in seguito smentita dall’agenzia giornalistica Ma’an, in quanto un funzionario del Ministero dell’Educazione avrebbe dichiarato falsa la notizia di Haaretz e smentito il fatto che l’Autorità palestinese si sia impegnata in questo progetto. Il succedersi di notizie contrastanti ha causato polemiche online, riverberatesi anche nella blogosfera italiana, come si può leggere sul blog Falafel Cafè (e si legga anche qui per una versione dei fatti).

Purtroppo non è quindi chiaro se questo meritevole libro bipartisan potrà essere studiato dagli studenti palestinesi; sappiamo già che così non sarà –almeno per ora – per quanto riguarda gli studenti israeliani. Noi ci auguriamo invece che prima o poi le due parti in conflitto trovino il coraggio di guardarsi onestamente negli occhi e inaugurare la fondazione di una memoria condivisa.

Di recente Ariel Viterbo, bibliotecario alla Biblioteca Nazionale ed Universitaria di Gerusalemme, ha diffuso su Kolòt una lettera in cui descrive le sue esperienze di colono e di come la convivenza tra israeliani e palestinesi ,”difficile ma possibile” possa passare anche attraverso “cose molto, molto banali”:

Io sono un colono, abito in un insediamento israeliano nei territori occupati, 15 km a sud di Gerusalemme. Colline verdi che scendono a ovest verso il Mar Mediterraneo, a est verso il deserto della Giudea e il Mar morto. La zona è quella di Gush Ezion, un gruppo di insediamenti abitati in prevalenza da famiglie giovani, di israeliani e nuovi immigranti. (…) Qualche mese fa una grande catena commerciale israeliana ha aperto un nuovo supermercato accanto al mio insediamento. È sulla strada principale, fuori dal recinto, in posizione centrale ed accessibile a tutti, israeliani degli insediamenti e palestinesi dei villaggi. Ed infatti, andando a fare la spesa, ci si imbatte in intere famiglie palestinesi, felici di scoprire un pezzo del paradiso consumistico degli ebrei. Nel parcheggio, tra gli scaffali di scatolette e i frigoriferi dei surgelati, nelle fila alla cassa, l’arabo si confonde coll’ebraico e l’inglese. Anche fra i dipendenti ci sono molti plaestinesi. La pace discesa in terra direttamente dal paradiso dei consumi? No, ma la convivenza è quotidiana, si fa normalità. Lascia pensare che sia possibile continuare così: incontrarsi al supermercato e non sul campo di battaglia.

E’ chiaro che le visioni orientate all’ottimismo possono sembrare utopistiche, dopo cent’anni di irrisolto confilitto; è però possibile che il protrarsi di momenti di coesistenza quotidiana e di “normalità” possano condurre a una sempre maggiore confidenza e alla capacità di riconoscere sempre più onestamente la storia e le verità dell’altro. Passaggio essenziale nel percorso verso la pace: come affermava Jimmy Carter,

One of the most basic principles for making and keeping peace within and between nations is that in political, military, moral, and spiritual confrontations, there should be an honest attempt at the reconciliation of differences before resorting.

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