[Riprendiamo un post di Simone Pieranni dedicato al rapporto tra leadership cinese e Internet. Altri contributi si trovano nello speciale di China Files sul Congresso, in continuo aggiornamento.]
E’cominciato il 18° congresso del Partito comunista cinese. Si tratta di un evento che si celebra ogni cinque anni ed è il processo attraverso il quale il Partito decide il proprio rinnovamento. Alla generazione dei leader che hanno dominato per dieci anni, succede la futura classe dirigente. Il 18° Congresso, in particolare, segnerà il passaggio dalla quarta alla quinta generazione di capi politici cinese. Quanto sono social i nuovi leader cinesi: ovvero quanto e come potrebbero influire sui nuovi media? I voti e l’analisi di China Files.
Apparentemente l’evento che desta la principale curiosità è la nomina di coloro che faranno parte dell’ Ufficio politico del Comitato permanente del Partito, il vero cuore del potere politico cinese. Oggi i membri di questo ufficio sono nove: sette di loro andranno in pensione e pare che al loro posto – ma i rumors e le speculazioni si sprecano di giorno in giorno – andranno solo cinque persone, per un totale di sette.
Si tratta di un segnale di mancato accordo tra le varie correnti che animano il Partito e che ormai risultano di difficile classificazione, essendo per lo più nate da sodalizi famigliari ed economici (alcuni dei quali per niente pubblici). Visto questo passaggio, proviamo a capire quanto sono wired o social alcuni dei politici uscenti ed entranti della Cina.
Per wired non intendiamo – quanto vorremmo – una vicinanza a temi tecnologici o di innovazione, vista la poca trasparenza di certa teoria da parte dei boss cinesi, quanto il loro essere vicini a certe tematiche o quanto la propria posizione sia social, nel senso di discussa o meno, all’interno dell’opinione pubblica che si esprime online. Daremo anche dei voti.
Intanto, partiamo con il Web cinese: voto 10. Per esempio: il 18° Congresso del Pcc viene chiamato in cinese – sinteticamente – Shibada. Per ovviare alla censura sul nome messo a punto dalla sicurezza cinese, gli utenti locali hanno cominciato ad usare Sibada, ovvero Sparta in cinese.
Chi esce:
Hu Jintao – è l’attuale segretario del Pcc e Presidente della Repubblica Popolare. Considerato un burocrate grigio e di scarsa empatia, ha portato la Cina ai dieci anni di sviluppo scientifico ottenendo mirabolanti risultati economici, ma schiacciando altresì ogni forma di dissidenza. Hu Jintao è stato il capo del paese che ha visto scoppiare Internet e Weibo, il Twitter locale, ma ne è stato anche arcigno censore. Fosse su Twitter, sarebbe uno di quelli che retwitta solo, per non farsi notare troppo, ma capace di mandare Dm piuttosto tetri e determinati. Voto: 2, perché troppi blogger sono in carcere e perché il suo soprannome online è “ carota” per affinità tra un carattere del suo nome e quello che indica, appunto, una carota ( huluobo).
Wen Jiabao – è l’attuale Premier. E qui il discorso si complica. Wen, chiamato anche nonno Wen, è sempre stato uno dei leader a presentarsi in maniera più social, secondo i nostri canoni. Vicino al popolo (primo politico cinese a precipitarsi, anche se talvolta in colpevole ritardo, sulle scene di disastri o incidenti), sempre pronto a parlare di riforme, è stato anche uno degli artefici della caduta di Bo Xilai e la sua pericolosa nostalgia ad un passato maoista. Insomma, un riformatore. Peccato che proprio online, la viralità dello scoop del New York Times sulle ricchezza accumulate dalla sua famiglia, ha convinto anche i pochi scettici al riguardo, della poca affidabilità di Nonno Wen, molto “chiacchiere e distintivo”.
Dalla sua ci sono state un paio di comparsate negli uffici di Sina.com per controllatissime chat con gli utenti cinesi. Voto: 5.
Zhou Yongkang – è il Darth Vader cinese. Il capo della Sicurezza, ovvero il boss della repressione e del controllo. Per descrivere lui i cinesi on line hanno sovente utilizzato il nome Mastro Kang: una marca di noodles, che condivide una parte del nome di Zhou. E’ un ingegnere e si dice controlli tutto il mercato petrolifero cinese. Autore di repressioni dure contro la dissidenza tibetana e il Falun Gong. Quando c’è stato da gestire la patata bollente dello Xinjiang, la regione a maggioranza musulmana cinese, non a caso, hanno mandato lui. Voto: non classificato.
Chi è fuori:
Bo Xilai – è stato epurato e ufficialmente espulso dal Partito Comunista. Bo è stato silurato perché era stato il leader cinese capace di catturare davvero l’attenzione popolare e soprattutto quella dei media stranieri, grazie al suo modo di fare molto telegenico, all’ottimo inglese e alla capacità di far partire alcune campagne, “canta il rosso picchia il nero”, capace di resuscitare la nostalgia maoista, diventando punto di riferimento della sinistra cinese e di lanciare una feroce lotta alle triadi locali (picchia il nero).
La moglie è finita in carcere condannata all’ergastolo per l’omicidio di un britannico, evento che ha contribuito a rendere scritto il destino dell’ex leader di Chongqing dove tra le fasce più povere della popolazione ha lasciato un ottimo ricordo. Il suo egocentrismo non è piaciuto ai leader di Pechino, ma Bo Xilai è l’unico politico cinese che a suo tempo, sul web, ha spaccato davvero. Voto: 10 colmo di scongiuri per un processo pubblico che rischia di finire con una condanna pesante.
Chi entra:
Xi Jinping – ed eccoci al futuro Segretario e Presidente della Repubblica Popolare. Di Xi si sa poco, è uno che ha fatto carriera in modo determinata ma stando bene attento a non calpestare mai il piede sbagliato. Ed è arrivato al top. Due elementi per giudicare il suo essere wired: è stato firmato proprio in questi giorni un accordo su collaborazioni cinematografiche tra Cina e States, segno di un’attenzione che il neo presidente ha verso certi temi (gli piacciono i film americani dove vincono i buoni, specie quelli di azione). Un secondo elemento che fa lievitare il voto, è il seguente: nei mesi scorsi per quindici giorni Xi Jinping è letteralmente sparito dalla scena pubblica cinese. Si è parlato di un infortunio, di un attentato, ma alcuni hanno ritenuto che la sua fuga sia stata dovuta ad un battere i piedi di fronte alle lotte interne. Xi avrebbe chiesto più attenzione ai suoi colleghi, verso i doveri pubblici. Se vero, un gesto da persona “tripallica”, come la definirebbe il professor Scoglio. Voto: 7 di incoraggiamento.
Li Keqiang – il riformatore e affabile Li potrebbe diventare davvero wired nel tempo. Sentite qui: Li Keqiang diventa governatore dell’Henan. Arriva ed esplode un incendio in un supermercato: 309 morti. Diventa segretario del Partito nel Liaoning: altra esplosione, questa volta in miniera. 214 morti. E poi: in Henan c’è un’esplosione di vergogna sociale. Viene fuori uno scandalo legato a trasfusioni di sangue infetto. Prima di uscire allo scoperto migliaia sono le persone colpite, ammalate, morte. Li Keqiang sapeva e non ha detto nulla. “Tre incendi Li”, non a caso, è il suo soprannome. Voto: 8 di prospettiva.
Wang Yang – predecessore e acerrimo nemico di Bo Xilai, Wang Yang, 57 anni, è capo del Partito della regione del Guangdong (una delle più ricche e che da sola produce un quinto delle esportazioni cinesi), è legato all’attuale presidente Hu Jintao. Ha brillato in modo wired durante la vicenda di Wukan, quando un villaggio di pescatori ha dato vita ad una comune auto-organizzata, scacciando i funzionari locali. Wang anziché spianarli come avrebbe fatto Zhou Yongkang, per capirci, ha seguito il processo, concesso le elezioni e fatto la figura migliore in tutto il mondo. Un altro elemento potenzialmente interessante per il futuro, per davvero però: non a caso gli ultimi rumors lo danno fuori dai sette del paradiso politico cinese. Voto: 7, se entra nell’Ufficio Centrale.