24 Novembre 2024

Libia senza pace, e molti hanno paura di tornare

Passata l’euforia della caduta e morte del dittatore la Libia cerca ancora la strada verso una democrazia reale. A febbraio Amnesty International pubblicava un Report da cui risulta evidente un Paese “fuori controllo” dove milizie armate e agguerrite spaventano, torturano e anche uccidono persone sospettate di lealtà verso l’ex Rais. Una rivoluzione, quella libica, che è stata più una guerra civile segnata (contrariamente alle altre rivoluzioni arabe degli scorsi mesi) da due Risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU e dall’intervento armato di Paesi terzi.

Oggi, la situazione è più critica che mai, con un Consiglio Nazionale Transitorio in difficoltà e persino le elezioni del 19 giugno, per la nomina di un’Assemblea nazionale sembrano tutt’altro che scontate.

Né aiutano a rasserenare gli animi certe decisioni come l’emanazione di una legge che punisce parole e azioni che tendano a “glorificare” Gheddafi. Qui si può seguire un servizio apparso qualche giorno fa su Al Jazeera.

Se l’impressione di alcuni è che le notizie sulla Libia stiano gradualmente scomparendo dai giornali e dalle televisioni in realtà i siti online offrono aggiornamenti più o meno continui su quanto sta accadendo laggiù. Come la pagina Libia News sul sito del The Telegraph. Notizie non proprio rassicuranti soprattutto per chi dall’estero vorrebbe rientrare a casa, ma ha paura di farlo. Secondo l’IRIN, humanitarian news and analisys, sono migliaia le persone oggi in campi profughi o che si trovano all’estero, che non possono – o evitano per timore – tornare nelle loro città.

Uno di loro vive in Italia. Si chiama Aiman Gabala ed è un giornalista. In Libia scriveva sul quotidiano di Tripoli, “Oya” di proprietà del figlio di Gheddafi, che oggi è stato chiuso. In Italia ha frequentato (nel 2009) l’Università di Pavia per un progetto di scambio tra Atenei e poi un Master all’Universitò di Perugia. Alla fine è rimasto nel nostro Paese con un permesso di soggiorno rilasciato per motivi umanitari.

Abbiamo raccolto una sua dichiarazione su quella che è l’attuale situazione in Libia e la sua condizione di (quasi) rifugiato politico.

Dopo il crollo del regime di Gheddafi la Libia è entrata in una nuova fase della vita politica ma nonostante gli slogan usati durante la rivoluzione che parlavano di giustizia, libertà e democrazia, assieme ai ribelli vittoriosi sono emerse anche differenze tra le parti, conflitti tribali e un’anarchia di fatto.
Nel nostro Paese al momento non c’è uno Stato ma un comando criminale. Accade quello che è accaduto in Iraq, Somalia o Afghanistan. Per le strade ci sono ragazzini di 14, 15 anni con i fucili spianati che si dicono rivoluzionari. Ci accusano di essere stati con l’ex regime, ma quello che posso dire è che in qualche modo prima la situazione era stabile ora in giro c’è paura, disordine e violenza. Insomma, una situazione di totale anarchia.
Ci sono città ancora sotto una sorta di assedio o abbandonate. Ad esempio Tawrga, 40 chilometri da Misurata, è ormai una città fantasma. I 40.000 abitanti sono stati costretti a rifugiarsi nei campi di Bengasi o di Tripoli. Avrebbero appoggiato l’ex regime, secondo i ribelli che quindi hanno bruciato le loro case e distrutto ogni cosa.
Sirte è stata particolarmente colpita dai bombardamenti della NATO, “per proteggere i civili” dicevano, ma di fatto tantissimi cittadini inermi sono rimasti vittime di quelle azioni militari. Ora si stanno intensificando i conflitti tribali, come nella città di Sebha, dove si contano più di 150 morti, così come è in corso una vera e propria guerra civile a sud-est di Tripoli.
Tutto questo avviene mentre proliferano le armi, anche nella capitale, e gruppi armati agiscono al di fuori del controllo del Governo, di cui in realtà non si vede la presenza. Qualche settimana fa Bengasi è stata coinvolta in numerosi attentati tra cui il bombardamento di una prigione locale e del Palazzo di giustizia. Fatti e circostanze che ci fanno pensare alla situazione irachena come dicevo. E allora come si può parlare di democrazia e libertà?
Forse la Libia è stata liberata da un regime totalitario (e comunque mi domando come mai in questo caso siano intervenute forze esterne, forse solo per il petrolio?) ma si è trasformata in caos dove i gruppi armati impongono la loro legge. La situazione libica è pericolosa così come sarebbe pericoloso per me rientrare. Seguo le vicende del mio Paese da vicino tenendomi in contatto via facebook o skype con la mia famiglia e con i miei amici, ma per ora ho paura di tornare. Non so cosa succederebbe.

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