Africa, al potere per sempre
Un’attitudine diventata quasi normalità quella dei leader africani, che una volta arrivati al potere non lo lasciano più. Tanto che il termine democrazia nel continente africano assume delle caratteristiche tutte particolari, a cominciare dalla facilità con cui alcuni Governi hanno permesso modifiche alla Costituzione solo per consentire ad ex Presidenti di rinnovare il proprio mandato. E’ accaduto in Uganda. Potrebbe accadere in Senegal, tanto per fare due esempi. Ma che sia anche un momento epocale per l’Africa non c’è alcun dubbio.
Tutto il mondo ha guardato con ammirazione (qualcuno con timore) a quanto accadeva in Egitto, Tunisia e Libia, dove decenni di dittatura sono stati cancellati dalla forza di rivoluzioni popolari. Ben Ali (Tunisia), Mubarak (Egitto) erano al potere da 30 anni e Gheddafi (Libia) da oltre 40. Eppure è assai improbabile che quello che è accaduto nel Nord Africa venga ripetuto in qualche modo nei Paesi dell’Africa Sub-Sahariana. Qui i rivolgimenti politici e sociali sono più facili a trasformarsi in lunghe e sanguinose guerre civili tra fazioni. Oppure vige una sorta di accondiscendenza che trova la sua ragione nella difficoltà quotidiana per la sopravvivenza, che non lascia spazio a battaglie civili o rivendicazioni politiche.
I risultati delle elezioni tenutesi nel 2011 in una serie di Paesi dell’area Sub-Sahariana non fanno che confermare la tendenza alla ‘dittatura democratica’ dei Paesi africani. Risultati che non fanno ben sperare per le consultazioni in programma per quest’anno. Su 15 Paesi che hanno tenuto le elezioni presidenziali nell’anno appena trascorso, 11 hanno visto il rinnovo dell’incarico a presidenti uscenti. Solo in quattro Paesi ha vinto un candidato dell’opposizione: Capo Verde, Sao Tome’ & Principe, Niger e Zambia.
Rimangono quindi stretti al potere figure come Paul Biya, soprannominato il ‘Gheddafi dell’Africa nera’, in Cameron; Idriss Deby in Chad; Joseph Kabila nella Repubblica Democratica del Congo; Françoise Bozizè nella Repubblica Centrafricana; Yoweri Museveni in Uganda. Quest’ultimo, capo di Stato e capo di Governo è al potere da 24 anni e ci resterà per altri cinque, grazie ad una modifica costituzionale. Le elezioni 2011 hanno visto anche la riconferma di Ismael Omar Guelleh a Djibouti e James Michel nelle Seychelles. Infine, per quanto riguarda l’Africa occidentale, sono stati rieletti Jonathan Goodluck in Nigeria, Yayi Boni in Benin, Ellen Johnson Sirleaf in Liberia e Yahya Jammeh in Gambia.
Anche il 2012 sarà un anno importante dal punto di vista politico e amministrativo, ma non sembrano esserci grande ottimismo e aspettative riguardo i cambiamenti nelle leadership. Si guarda con attenzione al Senegal, dove l’attuale presidente Abdoulaye Wade è al potere dal 2000. Ma si vota anche in Sierra Leone, Mauritania, Mali, Madagascar. E più in la’ in Ghana, Zimbabwe e Kenya. Nel giro di un anno o due affronteranno di nuovo il verdetto popolare Eduardo Dos Santos al potere in Angola, Denis Sassou Nguesso nella Repubblica del Congo e Robert Mugabe in Zimbabwe. Viste le numerose accuse di brogli e irregolarità conclusesi con un nulla di fatto in elezioni trascorse, non in molti scommetterebbero in cambiamenti pacifici e accettati.
Ancora forte è il ricordo e l’esperienza (migliaia di persone affollano i campi rifugiati fuori dal Paese) vissuta recentemente dalla Costa d’Avorio. Nelle passate elezioni del 2010 il rifiuto di cedere il potere al neo eletto Alassane Quattara da parte di Laurent Gbagbo ha provocato una vera e propria guerra civile, violenze di ogni sorta e centinaia di morti. In quel caso ci furono le dure prese di posizioni da parte della comunità internazionale e delle Nazioni Unite e l’intervento della Francia. Ma a garantire la presenza o meno della comunità internazionale non sono sempre le ragioni del buon governo e del rispetto della democrazia ma quelle che fanno capo agli scenari e alle relazioni economiche e diplomatiche tra i Paesi africani e quelli occidentali.
[Articolo ripreso su gentile concessione da L’Indro]