Tunisia come alternativa alla Libia, ma il Paese è ostile ai migranti
[Traduzione a cura di Luciana Buttini dell’articolo originale di Alessandra Bajec pubblicato su The New Humanitarian]
Nonostante la retorica xenofoba del Governo tunisino, oltre agli aumenti di episodi di violenza contro i migranti e di una pericolosa tendenza alle deportazioni e alle espulsioni, molti africani in fuga da conflitti e povertà vedono la Tunisia come un’alternativa migliore alla vicina Libia orientale.
Ma nella città di Zarzis, nel Sud della Tunisia, le loro aspettative di una tregua dal ciclo di violenza e sfruttamento in Libia si scontrano con la realtà di un Paese in cui l’atteggiamento nei confronti dei migranti e dei richiedenti asilo è diventato sempre più ostile.
The New Humanitarian ha intervistato decine di nuovi arrivati, i quali hanno affermato che la poca assistenza esistente proviene da volontari locali che si impegnano per colmare il vuoto lasciato dall’inerzia del Governo e delle organizzazioni umanitarie internazionali.
Il mese scorso a Zarzis, Abdallah Abdallah, un sudanese di 22 anni ha dichiarato:
Sono venuto in Tunisia per trovare sicurezza. Almeno qui c’è pace, e un giorno potrò provare a raggiungere l’Europa per costruirmi una nuova vita. Prima di giungere qui, ho sentito che le organizzazioni umanitarie internazionali in Tunisia stavano lavorando per aiutarci. Ma eccomi qui per strada senza alloggio, cibo e igiene.
Quest’anno sono state oltre 90.000 le persone arrivate in Italia dopo aver attraversato il Mar Mediterraneo dalla Tunisia, rispetto alle circa 44.000 provenienti dalla Libia, il principale punto di partenza del Nord Africa negli ultimi dieci anni. L’accordo siglato lo scorso luglio tra la Tunisia e l’UE, volto a frenare l’immigrazione, ha avuto un impatto trascurabile sul numero delle partenze.
Quest’anno, almeno 2.186 persone sono morte o scomparse tentando la traversata dalla Tunisia e dalla Libia verso l’Italia, nota anche come rotta del Mediterraneo centrale. Si tratta di un numero già superiore del 50% rispetto al dato annuale del 2022.
I cittadini provenienti da Guinea, Costa d’Avorio, Tunisia ed Egitto costituiscono le principali nazionalità a intraprendere la rotta. Ma secondo l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, la guerra civile in Sudan, iniziata ad aprile, sta influenzando i dati demografici.
Da aprile, più di 1,1 milione di persone hanno lasciato il Sudan in cerca di sicurezza. La stragrande maggioranza si è trasferita nei Paesi vicini, tra cui il Ciad e l’Egitto, che ospitano rispettivamente circa 440.000 e 330.000 individui. Il numero di sudanesi diretti in Europa attraverso il Nord Africa è ben inferiore, seppur in aumento: circa 1.300 hanno raggiunto l’Italia dalla Tunisia ad agosto, ovvero più del totale per tutto il periodo che va da gennaio a giugno, e secondo l’UNHCR c’è stato anche un incremento di persone che hanno attraversato la Libia verso la Tunisia.
Alcuni sudanesi che entrano in Tunisia sono stati costretti a fuggire a seguito dei recenti combattimenti in Sudan, mentre altri, come Abdallah, hanno già trascorso anni alla ricerca di stabilità in diversi Paesi dopo essere stati sfollati a causa di precedenti conflitti, in particolare nella Regione occidentale del Sudan, il Darfur.
Dopo essere entrati in Tunisia dalla Libia, molti richiedenti asilo e migranti arrivano a Zarzis sperando di potersi registrare presso l’UNHCR, che ha un ufficio in città. Ma all’arrivo, quelle speranze di protezione e assistenza vengono infrante dai lunghi ritardi di registrazione e dalla mancanza di sostegno: decine di richiedenti asilo e migranti, intervistati da The New Humanitarian, hanno espresso il loro sgomento di fronte al fatto di dover in gran parte provvedere a se stessi, ricevendo solo una piccola quantità di aiuti da parte dei volontari locali.
Abdallah, ad esempio, era arrivato in Tunisia ad agosto dopo aver trascorso tre anni e mezzo in Libia, periodo durante il quale afferma di essere stato sottoposto a lavori forzati e di essersi ritrovato sbattuto nei centri di detenzione per tre volte. Sentendosi più sicuro, forse, a Zarzis, pensava che la sua situazione sarebbe stata molto diversa, ma così non è stato. In un’intervista si chiede:
Senza soldi, dove andrò a stare? Cosa mangerò?
Puoi vedere tu stesso le condizioni in cui viviamo
La Tunisia non dispone di una legge nazionale per i richiedenti asilo né di un sistema di accoglienza. Il Governo tunisino consente all’UNHCR di registrare e fornire una carta d’identità ai richiedenti asilo e ai rifugiati nel Paese. Ma a causa dell’assenza di una legislazione nazionale, la carta serve a ben poco in termini di riconoscimento dello status legale delle persone in Tunisia o per consentire loro di lavorare e accedere ai servizi.
All’inizio del 2022, l’UNHCR ha chiuso una serie di rifugi che gestiva nel Sud della Tunisia, sfrattando i rifugiati e i richiedenti asilo che vi soggiornavano e tagliando loro l’assistenza finanziaria. Alla richiesta di spiegazioni, l’ufficio principale dell’UNHCR in Tunisia, nella capitale Tunisi, ha dichiarato in una e-mail a The New Humanitarian che, a causa di vincoli finanziari, l’agenzia aveva deciso di fornire alloggi temporanei solo a rifugiati e richiedenti asilo ad alto rischio.
Dopo l’allontanamento forzato nel febbraio del 2022, rifugiati e richiedenti asilo sudanesi, eritrei, somali ed etiopi hanno organizzato un sit-in di protesta davanti all’ufficio dell’UNHCR a Zarzis. Ma quasi due anni dopo, secondo diversi interessati intervistati da The New Humanitarian, l’UNHCR non fornisce ancora loro alloggio, cibo o assistenza medica. Hanno poi aggiunto che nessun’altra ONG è intervenuta per sopperire alle lacune di Zarzis.
L’ufficio dell’UNHCR a Tunisi ha insistito sul fatto che stava facendo ciò che poteva e ha affermato:
L’agenzia ha intensificato la fornitura di buoni pasto per i richiedenti asilo che si sono appena registrati, fornendo triage sanitario d’urgenza, nonché assistenza medica di emergenza.
Ma all’inizio di ottobre, non c’era traccia di aiuti e sostegno forniti da qualcuno che non fosse un numero limitato di volontari locali.
A circa due chilometri a Sud di Zarzis, lungo l’autostrada che porta al confine libico, The New Humanitarian ha incontrato circa 15-20 richiedenti asilo e migranti, per lo più provenienti dal Sudan, tra cui Abdallah, che occupano abusivamente un edificio a due piani altrimenti vuoto. Erano tutti giovani, alcuni sedevano su stuoie di paglia mentre altri dormivano su alcuni materassi di recupero.
Jowcket Amum, 21 anni, ha riferito di essere stato nell’edificio per oltre tre mesi dopo essere entrato in Tunisia passando dalla Libia. Originario del Sud Sudan, Amum viveva in Sudan quando è scoppiata la guerra civile all’inizio di quest’anno e ha lasciato il Paese intorno a maggio. È andato in Libia prima di arrivare a Zarzis, dove sperava di potersi registrare come rifugiato. Ha poi dichiarato:
Sono venuto qui per ottenere i documenti, ma sto ancora aspettando. Nessuno dell’UNHCR è venuto a trovarci.
Alla domanda su come stanno elaborando le richieste per lo status di rifugiato e se possono accelerare il processo, l’UNHCR ha affermato di aver intensificato le attività di protezione al fine di ridurre, per quanto possibile, il periodo di attesa per la registrazione come richiedente asilo.
Le condizioni di vita all’interno dell’edificio occupato erano disperate: i richiedenti asilo e i migranti dormivano per terra fuori dallo stabile, non avevano abbastanza soldi per i beni di prima necessità, non c’erano servizi igienici o bagni e la spazzatura si accumulava nelle vicinanze. Come ha raccontato Amum:
Potete vedere da voi le condizioni in cui viviamo.
Un mese prima, il gruppo era stato costretto dal proprietario a spostarsi dall’esterno di un altro edificio dopo aver gettato loro addosso dell’acqua per scacciarli.
A pochi metri di distanza, sul lato dell’autostrada, Elies Abdallah, 24 anni, era seduto sul marciapiede con una stampella accanto alla gamba sinistra. Abdallah ha detto di aver vissuto con la sua famiglia in un campo per sfollati interni nel Darfur da quando aveva quattro anni, e di aver subito persecuzioni da parte delle autorità sudanesi a causa delle sue convinzioni politiche. Dopo aver lasciato il Sudan, ha detto che le milizie lo avevano costretto a lavorare senza retribuzione nelle miniere d’oro nel Sud della Libia per sei mesi prima di fuggire e raggiungere la capitale, Tripoli, dove ha trascorso sette mesi in un centro di detenzione.
Dopo essere riuscito a uscire dal carcere, gli ci sono voluti tre tentativi per attraversare irregolarmente il confine con la Tunisia. Nei primi due ha detto di essere stato respinto in Libia dalle forze di sicurezza tunisine. Al terzo, ce l’ha fatta ma è caduto e si è ferito gravemente al ginocchio. Ha quindi affermato:
Pensavo che la Tunisia sarebbe stata più sicura; il peggio di qui sarebbe meno grave di quello che ho vissuto in Libia.
Sebbene consideri la Tunisia più sicura, si sente frustrato dall’assenza di sostegno da parte dell’UNHCR e di altre ONG internazionali. Ha poi aggiunto:
Non ho ricevuto assistenza medica da nessuna organizzazione; solo la gente del posto di buona volontà mi ha aiutato.
Non è mai abbastanza
Mentre The New Humanitarian visitava l’edificio abbandonato di Zarzis, sono arrivati due volontari tunisini a portare del cibo. I richiedenti asilo e i migranti si sono rapidamente riuniti attorno a un grande piatto comune di cous cous da mangiare sul ciglio della strada.
Più tardi, nello stesso luogo, The New Humanitarian ha incontrato Fethi Rawoine, 51 anni, un altro attivista locale che fa parte di un gruppo di circa 50 volontari che forniscono sostegno ai richiedenti asilo e ai migranti. Ci sono molti altri gruppi simili a Zarzis.
Rawoine riferendosi ai richiedenti asilo e ai migranti a Zarzis, ha affermato:
Pensano di trovare una situazione migliore qui in termini di sicurezza e stato di diritto.
Rawoine e gli altri volontari organizzano regolarmente distribuzioni di cibo nelle zone della città e nelle periferie dove tendono a soggiornare richiedenti asilo e migranti. Secondo quanto ha raccontato:
Serviamo pasti in media a 100 persone. Ma non è mai abbastanza, perché lo facciamo in modo del tutto volontario. Facciamo affidamento sulla nostra rete ogni volta che qualcuno ha bisogno di vedere un medico, prendere medicine o di altro tipo di aiuto.
Un altro volontario, Sadok Smaali, 57 anni, ha spiegato come i sudanesi e altri richiedenti asilo e migranti vedono la Tunisia come un Paese sicuro in cui transitare dalla Libia, prima di tentare la pericolosa traversata via mare verso l’Europa. Smaali ha osservato:
Funziona attraverso il passaparola. Loro comunicano con altri migranti, sentono che Zarzis è un posto tranquillo, e poi arrivano.
Ha poi continuato:
Se vedi dove vivono queste persone, è miseria. Ne ho visti alcuni addirittura dormire accanto a mucchi di spazzatura davanti all’ufficio dell’UNHCR. Noi facciamo la spesa e la portiamo al ristorante e, una volta che il cibo è cotto, glielo consegniamo.
Rawoine ha detto che lui e altri attivisti locali a Zarzis hanno recentemente chiesto di tenere un incontro con le autorità locali, l’UNHCR, la Mezzaluna Rossa tunisina e altre organizzazioni umanitarie per cercare di affrontare le terribili condizioni, ma non hanno ancora ricevuto risposta.
Dall’altra parte dalla strada principale rispetto allo stabile abbandonato, un altro gruppo di richiedenti asilo e migranti sostava fuori da un piccolo stadio di calcio. A terra erano sistemati alcuni materassi e tappeti, insieme a diverse grandi bottiglie d’acqua, e c’erano dei vestiti ad asciugare su una staccionata. Il gruppo ha riferito di aver occupato abusivamente un edificio universitario nelle vicinanze, ma di averne dovuto trovare un altro una volta riprese le lezioni.
Mentre parlavano, due dipendenti dell’UNHCR si sono accostati con la macchina. I richiedenti asilo e i migranti sono rimasti sorpresi. Hanno detto che era la prima volta che qualcuno dell’agenzia si recava lì a incontrarli.
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