Il dopo terremoto porta ostilità tra rifugiati siriani e comunità turca

[Traduzione a cura di Elena Romani dell’articolo originale di Verena Hölzl pubblicato su The New Humanitarian. Hanno collaborato all’articolo l’aiuto reporter Mustafa Karali e un collega siriano e un giornalista turco che hanno chiesto l’anonimato per motivi di sicurezza.]

Edificio parzialmente distrutto. Immagine ripresa da The Global Observer in licenza CC

Una volta in Siria si temevano gli attacchi aerei. Adesso sono la terra che trema, il ricordo del buio totale e della loro madre sotto le macerie a perseguitare nel sonno Abu Thair e la sua famiglia.

Una mattina di inizio marzo, le tende dell’appartamento al piano terra sono chiuse e la luce del giorno filtra a malapena. Sono stati invitati a trascorrere un paio di settimane nella città di Adana, nel Sud della Turchia. Sembrano tutti stanchi.

Abu Thair racconta di aver camminato per cinque chilometri per trovare qualcosa che somigliasse a una sega. Un’ora dopo essere riuscito finalmente a farsi strada fino a lei, sua moglie Ilhan è morta.

“Nessuno ci ha aiutato. Era ancora viva!”, grida, ancora sconvolto dal tradimento.

Per quattro giorni, racconta, nessuno ha voluto seppellire il corpo di Ilhan, né quelli dei due figli più piccoli della coppia, morti sul colpo schiacciati dal crollo delle mura. Abu Thair è convinto di sapere il motivo: È perché siamo siriani.

La sua indignazione fa eco a quella di altre decine di rifugiati siriani intervistati da The New Humanitarian nelle ultime settimane nella vasta zona colpita dal terremoto in Turchia. Dal disastro del 6 febbraio, molti di loro si ritrovano a essere di nuovo sfollati.

Le accuse di discriminazione nei confronti dei rifugiati in Turchia (e della minoranza curda) non sono certo una novità. Tuttavia, i terremoti che due mesi fa hanno causato più di 50.000 vittime in Turchia e altre 7.000 oltre il confine con la Siria hanno evidenziato e inasprito antichi rancori.

Gli epicentri dei due forti terremoti avvenuti vicino a Gaziantep e Marash nel febbraio 2023. Immagine ripresa da Wikimedia Commons in licenza CC

Il disastro ha fatto riaffiorare le tensioni già esistenti“, ha dichiarato Melek Taylan, membro del consiglio della Citizens Assembly, un gruppo turco per i diritti che monitora le opinioni delle persone riguardo la presenza di 3,7 milioni di rifugiati siriani in Turchia. La metà di loro vive nella regione di confine colpita dal terremoto, per lo più in appartamenti e case, non nei campi profughi.

Mentre altri Paesi li respingono, la Turchia ospita la più numerosa comunità di profughi al mondo e dà loro accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria e al mondo del lavoro: una linea politica finanziata dai miliardi di euro di fondi dell’UE.

Eppure, il clima di ostilità nei confronti dei rifugiati si va inasprendo da anni. I partiti politici di ogni schieramento hanno fatto dei profughi e richiedenti asilo il capro espiatorio della depressione economica del Paese, promettendo di espellerli.

Considerando che il clima politico si sta surriscaldando in vista delle elezioni del 14 maggio (il presidente Recep Tayyip Erdogan ha intenzione di prorogare il suo Governo ventennale), gli attivisti per i diritti e i rifugiati temono che la situazione possa solo peggiorare.

Human Rights Watch, dopo aver documentato centinaia di arresti arbitrari e deportazioni in Siria lo scorso anno, ha dichiarato che la Turchia non può più essere considerata un Paese terzo sicuro per i profughi.

L’anno scorso l’aumento dei crimini d’odio e delle violenze contro i rifugiati e i richiedenti asilo ha provocato diverse vittime. Taylan sospetta che le ultime notizie relative all’incremento della violenza e della discriminazione nei confronti dei siriani possano essere soltanto la punta dell’iceberg. “Ormai in Turchia i siriani non vogliono parlare apertamente, perché vengono minacciati“.

Una catastrofe che butta benzina sul fuoco

Ahmet Kanbal, attivista per i diritti umani appartenente alla minoranza curda della Turchia, sperava che i terremoti potessero favorire la solidarietà tra turchi e siriani, ma non è rimasto sorpreso nel vedere il risultato opposto: ha detto di aver notato un aumento dei casi di incitamento all’odio e di aggressioni verso i siriani, incolpati di tutto a seguito dei terremoti.

Le persone avevano persino paura di chiedere aiuto in arabo“, ha spiegato Kanbal a The New Humanitarian. “La gente, considerati tutti i problemi post-terremoto, ha bisogno di avere un nemico. E il nemico sono i siriani“.

Nel rapporto presentato questa settimana da Human Rights Watch e Amnesty International, e volto a documentare gli abusi commessi dalle forze di sicurezza nelle zone terremotate, è emerso che un terzo delle presunte vittime erano siriani e che in quattro casi “nelle aggressioni risulta evidente anche una motivazione di natura xenofoba“.

Kanbal ha raccontato che, dopo i terremoti, è intervenuto in soccorso di un gruppo di uomini siriani e curdi, i quali hanno confessato di essere stati detenuti arbitrariamente dalla polizia: li hanno spogliati, lasciati in mutande e gettato loro acqua addosso, nonostante il freddo pungente di quei giorni.

Mentre gli uomini curdi hanno deciso di raccontare l’episodio, i siriani si sono rifiutati di farlo per paura di mettersi nei guai con le autorità turche. L’incidente, avvenuto nella città meridionale di Aiyaman, è stato inserito nel rapporto di HRW/Amnesty, ma sono state menzionate solo le presunte vittime curde. La polizia non ha risposto alle nostre richieste di un commento.

Kanbal ha dichiarato che negare le tensioni tra i profughi e le comunità che li ospitano non fa che peggiorare il problema, aggiungendo: “Solamente in seguito a una testimonianza i responsabili possono essere chiamati a rispondere delle loro azioni, in modo da prevenire aggressioni razziste“.

Decine di siriani intervistati da The New Humanitarian nelle ultime settimane hanno raccontato storie simili, fatte di violenze verbali (a volte fisiche) e presunte discriminazioni che hanno avuto luogo in seguito ai terremoti.

A Gaziantep, Hiba Jahjah ha raccontato che era in fila con le due figlie davanti al bagno pubblico di un accampamento temporaneo, quando una donna che l’ha sentita parlare in arabo con un’amica l’ha derisa: “Il terremoto è avvenuto per colpa di voi siriani“. Umiliata e spaventata, Hiba ha chiamato il marito e lo ha implorato di andarsene subito dall’accampamento.

Se il bagno è sporco, è colpa dei siriani“, ha affermato Hiba. “Se non c’è cibo, è colpa dei siriani. Sono sempre i siriani!“, ha detto dopo essere tornata a casa sua, una volta dichiarata agibile.

Faisal, 25 anni, ricorda di essere stato chiamato “sporco siriano”, oltre ad altri insulti razzisti, mentre veniva aggredito con un mattone in un campo per i terremotati a Gaziantep. Ha riferito che stava cercando di calmare gli attriti tra due uomini turchi che stavano litigando. Dopo aver subito quattro interventi chirurgici, non sa se potrà essere di nuovo in grado di vedere dall’occhio sinistro.

Stando al racconto di Faisal, anche se gli aggressori hanno confessato alla polizia di averlo picchiato, alla fine sono stati lui e la sua famiglia a essere cacciati dal campo. La polizia di Ankara non ha risposto alla nostra richiesta di commento in merito.

Da quando c’è stato il terremoto ci danno la colpa di tutto“, ha affermato Faisal, che ora sta pensando di tornare nella zona nord-occidentale della Siria controllata dai ribelli. “Lì almeno potrei mantenere la mia dignità“, ha detto. “Qui non posso“.

Kanbal ha accusato i politici di aver posto le basi per questa situazione: dopo anni passati ad alimentare il risentimento nei confronti dei rifugiati, si aspetta un peggioramento dello scenario nel periodo pre e post elezioni. “Se il Governo parlasse dei siriani con un’accezione positiva, la gente sarebbe più propensa ad approcciarsi in modo altrettanto positivo“, ha spiegato.

Famiglia siriana in un accampamento di fortuna presso un’ex fabbrica di bulgur, a Suruc, nella Turchia sud-orientale. Immagine ripresa da Flickr/European Union in licenza CC

Accuse di discriminazione negli aiuti

La mancanza di risorse pubbliche e di un coordinamento degli aiuti durante i primi giorni successivi al sisma hanno amplificato la frustrazione degli sfollati. “Di sicuro i siriani sono stati discriminati“, ha detto Taylan. “Ma è anche vero che la situazione era estremamente difficile da gestire“.

Taylan ha segnalato una tendenza ad attribuire ai siriani la responsabilità di tutte le cose negative che stavano accadendo. Ad esempio, quando le persone pativano la fame e non avevano altra scelta che rubare. “Tutti prendevano il cibo dai supermercati distrutti“, ha riferito Taylan. “Ma sono stati i siriani a essere accusati di furto“.

All’inizio sono state decine di migliaia le persone rientrate in Siria dopo che il Governo turco ha modificato le regolamentazioni di viaggio dei rifugiati, autorizzandoli a recarsi in Siria e tornare in Turchia entro sei mesi. Alcuni andavano a trovare i parenti nelle zone colpite dal terremoto. Altri rimanevano con le loro famiglie sperando che, in quel momento, le condizioni fossero migliori rispetto a quelle della Turchia.

Sebbene la neutralità sia considerata un principio umanitario fondamentale, le operazioni di emergenza seguite ai terremoti sono state infangate da comportamenti discriminatori e dalla politicizzazione dei soccorsi.

In una nuova tendopoli a Kahramanmaraş, una delle città più colpite dalle scosse, le tende sono state decorate con un sole: è il simbolo del partito di destra IYI all’opposizione. L’anno scorso la sua leader ha giurato di cacciare tutti i profughi dalla Turchia entro il 2026.

Osman Ay, un avvocato turco che fa volontariato nel campo, ha dichiarato a The New Humanitarian che tutti sono benvenuti, qualsiasi sia il partito di appartenenza. Tuttavia, dopo essere stato incalzato, ha confermato che di fatto non ci sono siriani nel campo, giustificandosi dicendo che “avrebbero bisogno di un interprete arabo“.

Mustafa Nawaf Al Ali è un politico dell’opposizione siriana e gestisce un rifugio per circa 50-60 famiglie siriane a Mersin, una città di mare che non è stata colpita dal terremoto e che ospita molti sfollati. “I turchi non hanno tempo per i siriani“, ha dichiarato in occasione della nostra visita a fine febbraio. “Hanno già abbastanza problemi con il loro stesso popolo“.

Quella sera nel vialetto sono comparse tre donne siriane, una delle quali cullava un bambino che dormiva avvolto in una coperta. Un’ambulanza le aveva fatte scendere lì, sapendo che Al Ali e il suo gruppo si sarebbero presi cura di loro. “Va così, giorno dopo giorno“, ha detto alzando le spalle mentre le accompagnava all’entrata.

Stando al racconto di Al Ali, due settimane dopo (quindi i primi di marzo) le autorità per l’immigrazione lo hanno costretto a chiudere il centro senza alcuna spiegazione. “Sono davvero sconvolto“, ci ha raccontato, prima di calmarsi: Questo non è il nostro Paese. Non possiamo opporci.

I volontari e i rifugiati hanno riferito che a volte il timore di alimentare le tensioni influisce sulla decisione di scegliere chi aiutare e chi no.

Un volontario iracheno, che distribuiva pacchi di cibo per una piccola ONG turca nei primi giorni dopo il terremoto, ha raccontato che i membri dell’esercito che sorvegliavano un campo a Nurdağı gli hanno chiesto di fornire assistenza di nascosto alle 14 famiglie siriane ospitate lì.

Ha aggiunto che, secondo i militari, aiutando pubblicamente i siriani si rischiava di far arrabbiare i turchi del campo. “Sono entrato come una spia“, ha ironizzato il volontario, il quale ha chiesto di mantenere l’anonimato perché la sua organizzazione non l’ha autorizzato a parlare con i media.

Alla richiesta di chiarimenti sulle discriminazioni generalizzate nei confronti dei profughi, la portavoce dell’UNHCR per la Turchia Selin Ünal ha confermato che l’Agenzia ONU per i Rifugiati sta indagando su diversi episodi segnalati.

L’AFAD, l’autorità turca per la gestione delle emergenze e dei disastri, si è rifiutata di commentare le accuse di omissione di soccorso ai siriani. Lo stesso la Mezzaluna Rossa turca [afferente alla Croce Rossa], che ha rinviato la questione all’AFAD.

Famiglie del campo profughi siriano gestito dalla municipalità di Suruc, nella Turchia sud-orientale, ricevono gli aiuti umanitari distribuiti dal Danish Refugee Council, partner di ECHO. Immagine ripresa da Flickr/European Union in licenza CC

Tale discriminazione viene percepita da entrambe le parti.

Soha Shaer è la coordinatrice della raccolta fondi di INARA, una piccola ONG internazionale che si occupa di assistenza per la salute mentale. Shaer ha spiegato che inizialmente questa organizzazione ha scatenato la rabbia delle comunità non siriane, le quali sospettavano che fornisse aiuto solamente ai siriani.

La tensione si è presto allentata nel momento in cui l’organizzazione ha deciso di assumere anche personale di origine non siriana.

Le diverse comunità stanno anche cercando di rimanere separate l’una dall’altra, ha osservato Shaer.

Quando andiamo nei campi profughi con la nostra roulotte sanitaria, notiamo che le comunità turche sono restie a chiedere supporto appena si accorgono che stiamo fornendo assistenza a quelle siriane“, ha affermato. Per questo motivo ora la sua organizzazione sta provando a rivolgersi alle comunità separatamente. La tensione tra loro è ancora in lento fermento, ha ammonito Shaer.

[Voci Globali non è responsabile delle opinioni contenute negli articoli tradotti]

Elena Romani

Dottoressa magistrale in traduzione all'UNINT, ama tradurre perché conoscere altre lingue permette di entrare in contatto con altre culture, con tutta la ricchezza che deriva da questo scambio. Ha iniziato ad appassionarsi al mondo del giornalismo e della comunicazione.

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