Che il cambiamento climatico stia già minando il futuro e la sopravvivenza del genere umano è sotto gli occhi di tutti.
Dall’impatto sulla giustizia sociale al diritto ad una casa sicura, esso si affianca ad altre cause nel determinare sfollati, povertà e vittime dell’insicurezza su vari livelli.
Nel ventaglio di pericoli presenti c’è anche quello per il diritto al cibo.
Dalla definizione dell’art.25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, esso riguarda il diritto ad avere un accesso regolare, perenne e libero al cibo, che sia adeguato per qualità e quantità e che rispetti le tradizioni e la cultura d’appartenenza di ciascuno.
Parte di tale diritto è la nozione di sicurezza alimentare, che “esiste quando tutti gli individui hanno accesso fisico ed economico ad una quantità di cibo sufficiente, sicuro e nutriente, in modo da incontrare le loro necessità e preferenze alimentari per una vita sana e attiva” (World Food Summit).
Non solo una buona alimentazione, dunque, ma anche stabilità e regolarità nella sua fruizione.
In buona parte nel descrivere il legame che intercorre tra clima e diritto al cibo, ci si riferisce all’impatto sul sistema produttivo agricolo.
Il meteo imprevedibile, la siccità che hanno già messo a rischio i raccolti, unitamente alla produzione minata dall’innalzamento della temperatura si sono dimostrati le maggiori cause per il calo in tutto il comparto, anche nel nostro Paese.
Così come si è riscontrato nel caso della produzione del mais e del riso in Pianura Padana, con una minore resa degli stessi e la proiezione per il futuro di un bisogno d’acqua eccessivo.
Il cambiamento climatico, in questo senso, influisce sul diritto al cibo e sulla sicurezza alimentare nelle loro dimensioni di accessibilità, utilizzo e stabilità, così come chiarisce in modo puntuale anche il quinto rapporto IPCC.
In merito al primo aspetto, quello dell’accessibilità, c’è un legame stretto con la produzione agricola e la sua alterazione. Infatti, il calo dei raccolti e la loro resa finale, comporteranno un aumento dei prezzi dei prodotti, con relativa difficoltà sia di produzione che di fruibilità.
Si stima che il prezzo globale del cibo possa aumentare fino all’84% entro il 2050 e le temperature comporteranno una diminuzione dei prodotti agricoli nel 70% dei Paesi a livello globale.
Maggiormente esposti a tale rischio sono i piccoli agricoltori, che non solo fanno affidamento sulle derrate agricole per la propria sopravvivenza ma anche per raggiungere una stabilità economica e un benessere generale, che coinvolge altre sfere.
In una valutazione complessiva, su scala globale, come per altre conseguenze, la riduzione delle derrate agricole ricadrà grandemente sui Paesi in via di sviluppo, che maggiormente sono colpiti da eventi climatici estremi e, allo stesso tempo, basano il loro sostentamento principalmente sul settore primario.
Rientra nella dimensione dell’accessibilità, ovviamente, anche la grande fetta di biodiversità a rischio, sia marina che terrestre e forestale che sono elementi di approvvigionamento primario delle risorse alimentari, senza dover per forza far parte di un modello produttivo.
Ancora, il ripetersi con sempre maggiore frequenza di eventi climatici estremi mette in pericolo la stabilità compresa nel concetto di sicurezza alimentare.
Ad esempio, la mancanza di servizi come elettricità, ambiente salubre e acqua pulita, distrutti nei numerosi casi di catastrofi metereologiche, comporta una riduzione della superfice agricola, ma anche dell’investimento in tale attività.
Non c’è da sottovalutare, inoltre, che la ripresa da tali episodi sempre meno straordinari, richiede lunghi periodi di stato di emergenza, impedendo la costruzione di modelli produttivi stabili ed esacerbando in primis la vulnerabilità delle fasce più deboli.
Infine, molto meno evidente, ma ugualmente importante, è la capacità di utilizzo della terra che il cambiamento climatico mette a rischio.
Quest’aspetto, strettamente legato alla biologia del terreno, ha a che fare con la grande quantità di CO2 che viene assorbita dalla superfice terrestre. Ciò comporta un cambiamento nei valori nutrizionali dei prodotti agricoli e del cibo, e una riduzione nell’efficacia di alcuni fertilizzanti, riversandosi perciò sia sulla qualità degli alimenti che sulla quantità prodotta.
Anche in questo aspetto sostanziale, come per diverse altre dimensioni, le popolazioni più a rischio sono quelle che sono dipendenti dall’agricoltura e dalle risorse naturali, la cui vita è altamente esposta all’impatto del cambiamento climatico e che hanno una ridotta capacità di ripresa (come può essere l’esempio delle popolazioni indigene, co-dipendenti dalla natura e dai suoi ritmi).
La ricaduta disomogenea dei cambiamenti climatici si percepisce anche nei numeri globali dell’insicurezza alimentare e della distribuzione del godimento del diritto al cibo.
Al mondo circa 800 milioni di persone sono gravemente malnutrite, allo stesso tempo 500 milioni di persone sono obese e 2 miliardi di persone hanno una nutrizione carente per quanto riguarda i macronutrienti essenziali. E la discrepanza alterna grosse fette di popolazione che soffre la fame e altrettanto alta percentuale di spreco alimentare.
La popolazione globale è destinata a crescere notevolmente nei prossimi decenni, ciò si tradurrà nel fatto che per soddisfare la crescita della domanda, la produzione di cibo dovrà crescere almeno del 60%.
Il rischio che si proietta, in questo senso, è che la forte domanda di cibo conduca a speculazioni sull’accaparramento di nuovi territori agricoli e al fenomeno del land grabbing, che a quel punto comporterebbe non soltanto un rischio per la sicurezza e il diritto al cibo, ma anche lo sfruttamento di intere popolazioni per interessi economici e alimentari di pochi, oltre che la violazione di altri diritti, come quello ad abitare la propria terra e a sfruttarla per la propria sussistenza.
La paradossalità dell’intreccio tra cambiamento climatico e diritto al cibo è che ciascuno impatta e grava sull’altro in modo sostanziale.
Mentre gli sconvolgimenti ambientali, infatti, causano effetti negativi su tutto l’apparato agricolo e alimentare, si stima che circa un terzo delle emissioni globali siano causate proprio all’intero sistema alimentare.
Nei vari tentativi portati avanti negli accordi internazionali sul tema, dunque, a partire dall’art. 2 degli SDGs (che prevede anche l’implementazione di sistemi di produzione alimentare sostenibili e pratiche che aiutino a proteggere gli ecosistemi) per il diritto al cibo e alla sicurezza alimentare, si fa evidente la necessità di un approccio diverso e integrato alla questione, che coniughi il tema della sostenibilità ambientale con quello della sicurezza alimentare.
From Farm to fork, in linea con quest’idea è la strategia dell’Unione Europea che mira a ridurre l’impronta ambientale del Continente, garantendo la sicurezza nell’approvvigionamento e favorendo una transizione sostenibile del comparto.
La sfida è dunque quella di modelli agricoli che siano da una parte ad alta produttività, per venire incontro alla crescita della popolazione e del suo bisogno nutritivo, dall’altra rispettosi della natura e che aiutino, in qualche modo, nell’invertire la rotta verso il disastro ambientale.
La soluzione è individuata perciò in modelli produttivi sostenibili. Il sistema alimentare può dare un grande contributo per la fruizione del diritto al cibo e al cambiamento climatico stesso.
Accanto alle strategie intraprese a livello internazionale, ci sono “filosofie” produttive, come l’agroecologia, che puntano a correggere il modello dei Paesi industrializzati centrati sull’alta produzione e allo stesso tempo hanno al centro la cura del terreno e il rispetto dell’ambiente.
Non bisogna prescindere, tuttavia, dalla tutela urgente del diritto al cibo di una grossa percentuale di popolazione mondiale, stretta nella morsa della fame.