Crimea, annessione alla Russia ha moltiplicato gli arresti di attivisti
[Traduzione a cura di Gaia Resta dell’articolo originale di David Axelrod pubblicato su openDemocracy]
Quando il leader tataro crimeano Nariman Dzhelyal è stato arrestato dalle forze di sicurezza russe lo scorso 4 settembre, ha trascorso il giorno successivo – secondo le dichiarazioni del suo avvocato – “in una cantina, ammanettato e con un sacchetto sulla testa“.
Questo tipo di trattamento è, purtroppo, più che normale da quando la Russia ha annesso la penisola ucraina nel 2014. Da allora, la comunità tatara crimeana è stata investita da numerose ondate di arresti, spesso basati su accuse di terrorismo e sabotaggio. Dzhelyal, viceleader del Meijlis Crimeano Tataro, un organo rappresentativo che la Russia ha messo al bando, era tornato di recente da un summit internazionale dedicato alla Crimea quando è stato arrestato nella sua abitazione.
La branca crimeana del Servizio Federale per la Sicurezza della Federazione Russa (FSB) sostiene che un gruppo del quale Dzhelyal farebbe parte sia responsabile dei danni riportati da un gasdotto nei pressi di una base militare russa ai margini della città di Simferopol. I funzionari della sicurezza affermano che i detenuti abbiano già confessato, ed è già stato pubblicato un video al riguardo.
In seguito all’arresto di Dzhelyal e altri, decine di persone si sono riunite fuori dalla sede dell’FSB a Simferopol per esigere informazioni su Dzhelyal e le altre persone detenute all’interno, tra le quali vi erano loro amici e parenti. Nel giro di pochi minuti, le forze di sicurezza russe avevano arrestato più di 40 persone. Alcune erano state semplicemente scortate alle auto della polizia nelle vicinanze mentre altre, secondo testimoni oculari, erano state picchiate e avevano subito la distorsione delle braccia.
Questo non è il primo caso di presunto sabotaggio e spionaggio in Crimea. Negli ultimi anni, l’FSB ha arrestato i membri di vari presunti gruppi di sabotatori; a questi arresti sono seguite accuse di tortura da parte di chi era stato trattenuto. All’inizio di quest’anno, per esempio, un giornalista di Radio Liberty di nome Vladislav Esipenko, è stato arrestato sulla base di accuse di spionaggio in Crimea, e ha affermato di essere stato torturato dall’FSB.
Una vita nella politica crimeana
Come ricordano i suoi amici, Dzhelyal non era entrato nella politica tatara crimeana subito. Dopo essersi laureato, aveva lavorato per alcuni quotidiani locali e per la televisione. Aveva poi deciso di candidarsi come delegato al Qurultay, il Parlamento nazionale dei tatari crimeani.
Il nome di Dzhelyal è diventato noto al pubblico dopo l’annessione della Crimea alla Russia nel 2014. Nel periodo immediatamente successivo, le autorità locali avevano proibito ai leader tatari Mustafa Dzhemilev e Refat Chubarov di entrare nella penisola e avevano avviato un certo numero di indagini penali sul loro conto.
Di conseguenza Dzhelyal – che rilasciava dichiarazioni sulla situazione dei tatari crimeani ai giornalisti e alle organizzazioni internazionali per i diritti umani – è diventato uno dei maggiori attivisti della penisola. Dzhelyal pubblicava online regolarmente informazioni sulle azioni delle forze di sicurezza russe contro i tatari crimeani; cosa che ha fatto fino al giorno del suo arresto.
“Non ha mai nascosto di non accettare l’annessione della Crimea” ha dichiarato il suo avvocato, Nikolai Polozov. “Ma, allo stesso tempo, si è sempre espresso in maniera calma, diplomatica ed equilibrata. Non ha mai invocato azioni radicali. Nariman ha sempre insistito perché si impiegassero metodi non violenti di lotta”.
In una lettera pubblicata l’8 settembre dal suo avvocato, Dzhelyal scriveva: “Le perquisizioni, gli interrogatori e le celle non mi preoccupano particolarmente. Mi aspettavo da tempo che accadesse. Ciò che mi ha sorpreso è che abbiano scelto il ‘sabotaggio’. Non ho mai pensato di fare una cosa del genere. Non rientra nel mio metodo. Ma è andata così”.
L’arresto e le accuse
L’avvocato crimeano Emil Kurbedinov, specializzato in casi politici, ha dichiarato di essere stato forse l’ultimo a parlare con Dzhelyal prima che l’FSB entrasse per perquisirgli la casa.
La notte del 3 settembre, l’attivista aveva chiamato Kurbedinov per dirgli che le forze di sicurezza avevano cominciato a perquisire le case dei suoi vicini, Aziz e Asan Akhtemov. Dopo poche ore, l’FSB era entrato anche a casa di Dzhelyal.
In quel momento, Dzhelyal compariva formalmente soltanto come testimone nell’indagine dell’FSB sull’incidente al gasdotto. Tuttavia, è stato portato via dalla sua abitazione con un sacchetto sulla testa – così ha raccontato Polozov – e ha potuto parlare con il suo avvocato solo dopo essere passato allo status di sospettato.
“Che fosse tutta una messinscena è stato chiaro fin dall’inizio”, ha dichiarato Polozov. “Ditemi, in quale mondo è normale che a un semplice testimone venga messo un sacchetto sulla testa?”
L’FSB asserisce che Dzhelyal abbia ricoperto il ruolo di complice nel sabotaggio del gasdotto nei pressi del villaggio di Perevalnoye, situato pochi chilometri a sud-ovest di Simferopol. Secondo i servizi di sicurezza, il gruppo che aveva organizzato l’esplosione includeva almeno altre due persone: Aziz e Asan Akhtemov, i vicini di Dzhelyal. Secondo alcuni difensori dei diritti umani, Asan di 32 anni lavora come meccanico a Simferopol, e Aziz di 26 anni è autista di professione.
In un video pubblicato dall’FSB, i fratelli Akhtemov dicono davanti a una videocamera di essere stati istruiti a far saltare in aria il gasdotto da un ufficiale dell’intelligence militare ucraina che avevano conosciuto nella città di Kherson, in Ucraina, a giugno di quest’anno. Video-confessioni simili erano state pubblicate in seguito a un’indagine dell’FSB su un altro presunto caso di sabotaggio avvenuto in Crimea nel 2016.
Secondo l’FSB, Dzhelyal è stato il trait d’union tra gli Akhtemov e l’intelligence militare ucraina. Stando a quanto dichiarato dall’FSB, Dzhelyal ha dato il numero di telefono dell’ufficiale dell’intelligence ai fratelli Akhtemov, e l’ha fatto con cognizione di causa.
La difesa di Dzhelyal ha deciso di non testimoniare e ha rifiutato di commentare sull’eventualità che l’attivista abbia passato quel particolare numero di telefono ai suoi vicini.
Le autorità crimeane hanno già espresso il loro sostegno nell’ambito dell’indagine sull’incidente del gasdotto.
“Tutto ciò dimostra ancora una volta che le attività dei provocatori interni al Meijlis e dei loro sostenitori fanno parte di una guerra ibrida contro la Russia” ha dichiarato il Capo della Repubblica di Crimea, Sergei Aksenov.
Paura e sguardi bassi
Proprio come Nariman Dzhelyal, anche Aziz e Asan Akhtemov sono stati arrestati in seguito alla perquisizione delle loro abitazioni la mattina del 4 settembre. Nel corso della giornata, gli avvocati che avevano firmato un accordo con i parenti avevano cercato i loro clienti nelle prigioni della Crimea, ma senza trovarli.
Kurbedinov è certo che i fratelli Akhtemov siano stati torturati durante tutta la giornata del 4 settembre e che il risultato di queste torture sia la confessione che l’FSB ha filmato e pubblicato. Prima dell’udienza preliminare, i fratelli avevano rifiutato di essere assistiti da un avvocato indipendente.
Safie Shabanova, un’avvocata che è riuscita a vedere i fratelli Akhtemov, ha dichiarato che i due fossero terrorizzati; la visita si è svolta in presenza di un investigatore dell’FSB, casualmente lo stesso investigatore incaricato del caso contro il giornalista Vladislav Esipenko. Shabanova e gli Akhmetov non hanno avuto a disposizione né il luogo né il tempo adeguato per comunicare in privato.
L’FSB non ha rilasciato dichiarazioni sulle sospette torture ai danni dei fratelli Akhtemov.
Inoltre, l’FSB ha trattenuto altri due uomini: Shevket Useinov, residente a Yevpatoria, e Eldar Odamanov, di Simferopol. Quest’ultimo è stato arrestato il 3 settembre e non si sono avute notizie di lui per oltre un giorno.
Gli avvocati, riportando quanto detto dai famigliari dei due uomini, hanno dichiarato che le loro case sono state perquisite nell’ambito dell’indagine sul sabotaggio del gasdotto, ma che Odamanov e Useinov sono stati condannati rispettivamente a 14 e 15 giorni di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale.
“Ad essere sincero, non credo che [Odamanov e Useinov] saranno rilasciati” ha detto Kurbedinov. “I funzionari della sicurezza hanno a disposizione due settimane per interloquire con loro senza alcun controllo esterno; non sarei sorpreso se finissero con l’essere coinvolti in questo caso”.
L’esplosione
In base a quanto riportato dai media, il gasdotto situato vicino alla base militare di Perevalnoye è stato danneggiato alla fine di agosto. Secondo le autorità crimeane, questo gasdotto non era usato però per rifornire il villaggio.
Il ministro dell’Interno della Crimea ha riferito il 23 agosto che, in seguito all’ispezione delle tubature, gli esperti avevano concluso che il danno “poteva essere il risultato di azioni illegali da parte di soggetti non identificati”. Inizialmente, la polizia aveva aperto un procedimento penale per “distruzione o danneggiamento volontario di proprietà”, senza alcun riferimento al sabotaggio.
Le autorità locali di Perevalnoye si sono astenute dal rilasciare dichiarazioni categoriche. “Non sono esperto al punto da sapere cosa potrebbe danneggiare una tubatura” ha dichiarato ai media locali in quei giorni il capo del villaggio, Oleg Litvinenko.
Secondo Nikolai Polozov, l’avvocato di Dzhelyal, un’analisi delle notizie pubblicate intorno al 23 agosto indica indirettamente che potrebbe non esserci stata affatto un’esplosione. “In teoria, il danno potrebbe essere stato provocato da vari elementi, tra cui l’usura”, ha dichiarato.
openDemocracy ha esaminato 11 gruppi presenti sui social media incentrati sulla vita a Perevalnoye e nei villaggi circostanti. Nessuno dei post o dei commenti nel periodo 22-24 agosto faceva riferimento a un’esplosione del gasdotto che, ipoteticamente, sarebbe stata sentita dalla gente del luogo.
Effetto boomerang
I collaboratori di Dzhelyal ritengono che il caso contro di lui sia collegato alla sua recente partecipazione al summit Crimea Platform.
Questo evento diplomatico organizzato ufficialmente dell’Ucraina si è svolto a Kiev alla fine di agosto e, come spiegato dagli organizzatori, era stato ideato “per riportare la questione della Crimea nell’agenda internazionale e per facilitare il ritorno della Crimea sotto il controllo dell’Ucraina”.
In particolare, gli amici di Dzhelyal si riferiscono alla reazione di Georgy Muradov, vice Primo ministro crimeano, alla vigilia del summit a Kiev. In quel frangente Muradov aveva dichiarato: “Il summit tornerà a colpire come un boomerang le persone che l’hanno ideato e che cercheranno di realizzarlo”.
Il ministro degli Esteri russo aveva definito il summit “un’azione russofobica artificialmente creata” e anche “una vuota iniziativa propagandistica senza prospettive”. Al momento della pubblicazione, openDemocracy non è riuscita a contattare Georgy Muradov per un commento.
Secondo gli attivisti, Dzhelyal non era stato l’unico politico tataro crimeano ad aver partecipato al summit, in quanto si era recato a Kiev con un nutrito gruppo di persone.
Zair Smedlya, un amico di Dzhelyal, ha riferito a openDemocracy la sua opinione, cioè che le forze di sicurezza russe mirino a “decapitare” il movimento tataro crimeano, e che tutti coloro che erano presenti al summit “si aspettano di essere arrestati”.
“Nariman è la mente è il portavoce del movimento nazionale [tataro crimeano], ed è l’unica persona in grado di riunire la gente intorno a sé”, ha commentato Smedlya.