Aborto, dalle proteste in Polonia al divieto assoluto di Malta
La Polonia negli ultimi giorni ha riportato a galla uno dei temi più discussi in Europa e nel mondo intero in materia di politiche sociali in cui ricadono questioni etiche, religiose, convinzioni personali degli individui. Stiamo parlando dell’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) o aborto. Tutto è iniziato il 22 ottobre, quando la più alta Corte polacca ha deciso sul divieto quasi totale dell’aborto, considerando l’aborto terapeutico incostituzionale e dunque inaccessibile.
La Polonia era già uno dei Paesi europei con le leggi più severe in materia. Ora sarà consentito abortire solo in caso di stupro, incesto o quando la vita della madre è in serio pericolo.
Questa decisione ha ovviamente scatenato proteste in tutta la Polonia e anche in altri Paesi: molte città europee, infatti, si sono unite alle rivendicazioni in corso per dimostrare la loro vicinanza a tutte le donne che sono state private di uno dei diritti fondamentali acquisiti in anni di lotte.
Ma l’aborto è da considerarsi un diritto fondamentale? L’ONU dice di sì. Il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite nel 2012 ha varato una risoluzione sulla “mortalità e morbilità materna prevenibile e i diritti umani“, con la quale riconosceva l’importanza del diritto d’aborto e lo identificava come un diritto umano fondamentale. Anche se questa scelta ha sollevato dubbi e dibattiti.
Con questa dichiarazione si sperava di poter fare dei passi avanti sulla concezione che in tutto il mondo si ha dell’aborto. In alcuni casi ci si è riusciti e in altri casi no.
La Polonia, dunque, sta vivendo un momento particolare di stallo. Ma com’è la situazione nel resto d’Europa?
Su 27 paesi dell’Unione Europea 23 hanno legalizzato o depenalizzato l’aborto. Il limite massimo di tempo che la donna ha per abortire varia da un minimo di 10 ad un massimo di 24 settimane, nel caso di Portogallo e Paesi Bassi.
In Paesi come Francia o Italia, il diritto all’aborto è presente da parecchi anni ma non possiamo dire che sia fortemente consolidato.
In Italia è tutelato dalla legge 194/1978 almeno sulla carta. Stando a dati del 2019, c’è ancora una forte presenza di medici obiettori di coscienza che non permettono alle donne di esercitare il proprio diritto: 7 medici su 10.
Anche in Francia la depenalizzazione dell’aborto ha radici lontane: risale al novembre del 1974, alla cosiddetta legge Veil. Come nella maggior parte dei Paesi europei, anche in Francia il termine per l’aborto è fisso a 12 settimane. Recentemente però i deputati francesi hanno votato per l’estensione dei tempi fino a 14 settimane.
Una delle esperienze europee definite più progressiste è decisamente quella della Spagna. La legislazione spagnola consente l’aborto fino alla quattordicesima settimana, in condizioni regolari, e fino alla ventiduesima in caso di malformazione del feto e problemi per la madre.
Lo scorso ottobre il Governo spagnolo ha iniziato a lavorare di nuovo sulla legge sull’aborto, che consente alle ragazze di sedici e diciassette anni di richiedere l’aborto senza il consenso dei genitori. La ministra per l’Uguaglianza Irene Montero ha affermato che le donne dovrebbero essere libere di decidere del loro corpo.
Ovviamente questa notizia ha fatto emergere non poche polemiche, e molte associazioni pro-vita, tra cui Derecho a Vivir, hanno affermato che in questo modo “diminuiscono le garanzie per le adolescenti davanti al dramma dell’aborto“.
Altra esperienza significativa è quella dell’Irlanda.
Quest’ultimo, nel 2018, è diventato il ventiseiesimo paese dell’Unione Europea a legalizzare l’aborto tramite l’utilizzo di un referendum abrogativo. Era dal 1983 che in Irlanda, a causa dell’ottavo emendamento della propria Costituzione, era stato imposto un divieto quasi totale di aborto. Nel 2018 il 66,4% della popolazione ha votato a favore dell’abrogazione di tale emendamento e l’Irlanda si è impegnata a cambiare rotta garantendo l’apertura di nuovi servizi per l’interruzione di gravidanza a partire da gennaio 2019.
Paradossalmente prima del referendum, solo nel 2010, erano almeno dodici le donne che ogni giorno lasciavano l’Irlanda per andare ad abortire in Inghilterra, con tutti i rischi e le spese che questo comportava.
La nuova legge sull’aborto legalizza sì l’aborto, però non è sufficiente a renderlo universale poiché pone troppi limiti e restrizioni: tra i più significativi troviamo i tre giorni che le donne devono attendere dopo aver fatto richiesta di aborto e dopo aver fatto verificare da un medico l’età gestazionale della gravidanza, per poter accedere al servizio.
Viene garantito un aborto gratuito, sicuro e legale fino a 12 settimane; nella legge non è previsto nulla per chi supera, a causa di motivi personali o in attesa dei risultati di test prescritti dai medici, il limite delle 12 settimane.
Se dopo le 12 settimane una donna vuole interrompere la gravidanza a causa di gravi anomalie fetali, può farlo solo ricevendo l’autorizzazione da parte di due diversi medici, che certificano che la morte del neonato avverrà entro 28 giorni dalla nascita.
La legge pone una grande responsabilità sulle spalle dei medici, che in casi estremi tendono sempre ad andare contro l’aborto, per paura di subire sanzioni o pene da parte dello Stato.
In più, fuori dagli ospedali e dalle cliniche che garantiscono l’interruzione della gravidanza, non mancano mai persone aderenti ai gruppi anti-aborto e obiettori di coscienza, che cercano di intimidire le donne che si recano lì per far valere un proprio diritto.
Passando all’Irlanda del Nord, questo Paese rappresenta forse una delle esperienze più emblematiche in relazione al diritto all’aborto.
Qui l’aborto è diventato legale nell’ottobre 2019, pur essendoci una forte componente anti-abortista formata dal partito Unionista Democratico che ha cercato di opporsi fino all’ultimo momento. Il diritto d’aborto è stato dunque esteso all’intero Paese, per gravidanze fino a 12 mesi.
Grainne Teggart, responsabile della campagna per l’Irlanda del Nord di Amnesty International all’epoca disse:
È l’inizio di una nuova era per l’Irlanda del Nord, una in cui siamo libere dalle leggi oppressive che hanno controllato i nostri corpi e l’assistenza sanitaria.
Secondo la legge sull’aborto, il Regno Unito è obbligato a garantire che i regolamenti per i servizi di aborto gratuiti e legali entrino in vigore il 31 marzo 2020.
Ma come sono andate realmente le cose? In pieno lockdown, l’introduzione dei servizi per l’aborto è stata ritardata dal ministro della Salute Robin Swann, che è stato da molti attivisti accusato di essersi servito della pandemia per i suoi scopi conservatori.
Dopo settimane di manifestazioni e pressioni legali, soprattutto da parte di Alliance for Choice, un gruppo di attiviste per i diritti riproduttivi in Irlanda del Nord, lo scorso aprile il ministero della Sanità ha autorizzato i servizi per l’aborto nella regione, permettendo così alle donne di non dover andare fino in Inghilterra per eseguire un’interruzione di gravidanza.
La Polonia, dunque, non è l’unico Paese dell’Unione Europea ad assumere un atteggiamento rigido nei confronti di un argomento importante come l’aborto: Malta è andata molto oltre, vietando del tutto il diritto all’aborto alle donne sul proprio territorio, in qualsiasi situazione, anche nel caso in cui la madre sia in pericolo di vita. È l’unico (e l’ultimo) Paese in Europa ad avere questo divieto assoluto.
I trasgressori di tale divieto, donne che hanno avuto un aborto o i medici che lo hanno eseguito, rischiano fino a tre anni di carcere, questo secondo una legge risalente al 1724. Si tratta di un Paese molto cattolico, tanto da essere definito da Papa Pio XI “cattolicissimo”. Nel corso degli anni questo aspetto sembra essere un po’ scemato, visto che nel 2011 si è arrivati alla legalizzazione del divorzio. Ma sembra proprio che all’aborto non ci pensi quasi nessuno.
Una grande manifestazione pro-aborto è stata organizzata nel 2019 in occasione di un vertice europeo sul Mediterraneo, da parte di un gruppo di attiviste appartenenti al collettivo per i diritti dell’aborto Voice for Choice. La manifestazione è stata trasmessa su tutti i canali social e si è trattato forse di una delle più grandi organizzate a Malta per il diritto dell’aborto. Un modo per dimostrare che qualcosa sta accadendo nella roccaforte della religione cattolica.