Africa, il ruolo della ricerca contro le malattie non comunicabili
[Traduzione a cura di Sharon Grillotti dall’articolo originale di Andre Pascal Kengne, Elvis Banboye Kidzeru e Muki Shey pubblicato su The Conversation]
Le malattie non comunicabili sono attualmente la prima causa di morte a livello mondiale e il problema si sta spostando sempre di più dai Paesi sviluppati verso quelli in via di sviluppo.
Ma è stato solo negli ultimi venti anni che la minaccia delle malattie non comunicabili è stata presa in considerazione seriamente dai Paesi in via di sviluppo: le malattie non trasmissibili – o croniche – sono quelle dalla lunga durata e generalmente dalla lenta progressione. I 4 tipi principali sono le malattie cardiovascolari (come infarto e ictus), il cancro, le malattie respiratorie croniche (come broncopneumopatia cronica ostruttiva e asma) e il diabete.
In Africa, alcune delle risposte politiche negli ultimi due decenni includono la strategia dell’OMS sulle malattie non comunicabili, la Dichiarazione di Brazzaville, la trattativa regionale multilaterale tenutasi a Johannesburg nel 2013.
A livello nazionale, per esempio, il Sudafrica ha una serie di politiche in atto che includono un piano per le malattie non comunicabili e una normativa sulla riduzione del consumo del sale.
Ma queste contromisure e altre iniziative non sono state del tutto ottimali. Studi mostrano che le malattie non trasmissibili stanno guadagnando terreno tra le principali cause di morte in Sudafrica.
I tassi di mortalità dovuti a malattie non comunicabili stanno diminuendo a livello mondiale. Ma il ritmo a cui stanno diminuendo nei Paesi africani è lento: così lento che se la situazione attuale dovesse continuare, virtualmente nessun Paese africano raggiungerà gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals) di ridurre questi decessi del 30% entro il 2030.
Una delle grandi lacune del continente è la mancanza di ricerca che affronti direttamente le condizioni dei Paesi africani.
Come siamo arrivati a questo punto
La consapevolezza riguardo le malattie non comunicabili è aumentata in modo esponenziale dalla fine degli anni Novanta. Tutto è iniziato con un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) del 1997 che confermava l’imminente emergenza in merito alle malattie croniche nei Paesi in via di sviluppo.
Il rapporto mostrava che circa la metà dei 52 milioni di decessi registrati nel mondo nel 1996 erano dovuti a malattie croniche. Almeno il 67% di questi erano avvenuti in Paesi in via di sviluppo.
Questo rapporto fu uno dei fondamenti della Risoluzione dell’Assemblea Mondiale della Sanità approvata due anni dopo sul contenimento e la prevenzione delle malattie non comunicabili. Entro il 2000 fu quindi adottata una strategia globale per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili.
Questo segnò l’inizio di un gran numero di iniziative globali che vennero trattate nei summit ad alti livelli delle Nazioni Unite nel 2011, 2014 e 2018.
Anche a livello regionale e nazionale sono state adottate misure idonee per contrastare le malattie non comunicabili.
Questa evoluzione ha portato ad un arresto delle malattie non comunicabili nei Paesi sviluppati. Ma non è stato lo stesso per i Paesi in via di sviluppo.
Uno dei motivi per cui i Paesi africani non hanno raggiunto questo obiettivo è la mancanza di adeguate conoscenze a livello locale che contestualizzerebbero le soluzioni di prevenzione e controllo sviluppate negli altri Paesi del mondo, e le renderebbero più efficienti nel territorio africano.
Questioni di contesto
In generale, le misure per il contenimento e la prevenzione delle malattie non comunicabili sono state principalmente sviluppate dai popoli occidentali, per questo richiedono alcuni adattamenti al fine di risultare funzionali in altri scenari.
Alcune malattie non comunicabili e i relativi fattori determinanti, non sono distribuite allo stesso modo tra la popolazione. A causa di queste varianti, è sempre importante comprendere a pieno qual è la priorità per una malattia non comunicabile emergente e cosa la sta portando in un determinato territorio. In questo modo, azioni di prevenzione e controllo possono essere guidate nella giusta direzione.
Per esempio, le malattie cardiovascolari sono le più comuni malattie non comunicabili nella maggior parte dei territori. Ma la malattia coronarica (malattie delle arterie coronarie) è predominante nei Paesi occidentali, mentre la malattia cerebrovascolare (malattie dei vasi sanguigni cerebrali) è predominante in Africa. Valori elevati di lipidi sanguigni (dislipidemia) sono una delle cause principali delle malattie coronariche, mentre la pressione alta è una delle principali cause delle malattie cerebrovascolari.
Le abitudini quotidiane (incluse dieta e attività fisica) sono fondamentali nella prevenzione e nel controllo di queste malattie, ma variano notevolmente a seconda della popolazione.
Misure adottate
Il South African Medical Research Council ha risposto all’impellente necessità di contestualizzare informazioni specifiche istituendo un’unità di ricerca dedicata che miri alla prevenzione, all’identificazione e al controllo delle malattie non comunicabili in Sudafrica, con un’attenzione particolare nei confronti delle malattie cardiovascolari.
La prevenzione consiste nell’adottare misure che arrestino l’acquisizione della patologia tra le persone sane, o che rallentino la progressione nei soggetti affetti dalla malattia. Queste dovrebbero includere azioni rivolte a tutta la popolazione, come ad esempio la normativa del Sudafrica sulla riduzione del consumo del sale, ma anche azioni dirette al singolo individuo, come per esempio controlli per rilevare casi non diagnosticati.
La gestione delle malattie non comunicabili e dei relativi fattori di rischio consiste in trattamenti con e senza farmaci. Alcune procedure vengono sviluppate per mantenere la malattia sotto controllo. Per esempio, la ricerca tra le comunità nere e multirazziali in condizioni di svantaggio in Sudafrica, ha generato dati senza precedenti che determinano il peso delle malattie cardiovascolari in questi gruppi di popolazioni.
Successivamente, l’unità ha sviluppato e testato approcci per identificare facilmente nelle persone le malattie non comunicabili più comuni – come il diabete mellito – a coloro che non ne erano consapevoli. Questi approcci individuano anche i soggetti che sono maggiormente predisposti a sviluppare malattie in futuro.
Un’altra area di principale interesse dell’unità sono le persone affette da HIV. Sono stati attivati programmi di ricerca per migliorare la prevenzione, individuazione e gestione delle più comuni malattie non comunicabili tra le persone affette da HIV.
Infine, l’unità sta aiutando a sviluppare un gruppo di ricercatori. Queste persone sono fondamentali se dobbiamo concentrare lo scopo della ricerca sull’informazione riguardo al controllo e alla prevenzione delle malattie non comunicabili. Si stanno investendo tempo e risorse in dottorati e master, borsisti post dottorato e ricercatori, riguardanti i vari aspetti della ricerca sulle malattie non comunicabili.
Lezioni dall’Africa
Le ricerche condotte in Africa possono inoltre stimolare l’adozione di misure contro le malattie non comunicabili in altre parti del mondo.
Un esempio sono le informazioni ottenute dalla ricerca sul task-shifting per migliorare l’accesso alla sanità; questo metodo è stato sviluppato in Camerun alla fine degli anni Novanta e nei primi anni del 2000. Il task-shifting – o delega delle mansioni– consiste nel delegare allo staff medico con livello sanitario minimo l’esecuzione di compiti solitamente gestiti da operatori sanitari con competenze di alto livello.
Il risultato di questa ricerca, aggiunto a progetti simili condotti in altri Paesi della regione, sono stati incorporati in iniziative istituite dalla Global Alliance on Chronic Disease. Un esempio è formare il personale infermieristico a diagnosticare e trattare le più comuni malattie non comunicabili, compito solitamente svolto dai dottori. Un altro è insegnare agli operatori sanitari ad eseguire controlli sulle malattie non comunicabili che venivano solitamente fatti dal personale infermieristico.
Collaborazione e insegnamento
In un contesto di risorse limitate, la ricerca deve garantire collaborazione e capacità di sviluppo. La collaborazione tra i ricercatori, personale sanitario, politici, ed altri soggetti interessati minimizzerà i costi di ricerca e migliorerà inoltre la diffusione e l’accorpamento dei risultati ottenuti in linee guida e documenti politici.
Corsi di formazione per ricercatori, personale sanitario e altre figure coinvolte nella ricerca ridurrà anche sostanzialmente i costi di ricerca, ed aiuterà a creare l’equipe di ricercatori di cui necessitiamo.
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