Ungheria di Orban, banco di prova per la democrazia in Europa
Nell’Ungheria di Viktor Orban, la democrazia è osservata da vicino dall’Unione Europea. Cosa succederà dopo la storica sessione del Parlamento UE del 12 settembre? L’avvio del meccanismo sancito dall’art. 7 del Trattato UE per accertare e contrastare la violazione dei valori fondanti l’Unione Europea è solo una prima tappa di un percorso ancora lungo e dall’esito incerto.
Dopo aver ascoltato il Paese chiamato in causa, il Consiglio può affermare l’esistenza di un pericolo chiaro di violazione di valori e diritti a maggioranza dei quattro quinti. La parola, quindi, è passata ai singoli Stati membri che compongono il Consiglio nelle figure dei Capo di Governo o di Stato. In questa fase potrebbero essere decise delle semplici raccomandazioni nei confronti dell’Ungheria, con lo scopo di intervenire nei settori più a rischio democrazia.
In un ulteriore e successivo passaggio, il Consiglio può determinare l’esistenza di una violazione persistente dei valori sanciti dall’art.2 del Trattato UE all’unanimità, previo consenso del Parlamento. A questo punto si aprirebbe la strada delle sanzioni. Tra le opzioni c’è anche la sospensione di diritti importanti per lo Stato membro, come quello di voto del rappresentante del governo nel Consiglio.
È la prima volta che questa procedura viene messa in azione dall’istituzione assembleare. Tempi e modi di azione da parte del Consiglio restano, dunque, piuttosto sconosciuti.
L’unica certezza è che il percorso sanzionatorio non è per niente facile. In un momento particolarmente turbolento per le istituzioni europee e per il loro gradimento presso i cittadini, l’azione contro il Governo di Orban non viene letta in modo univoco come difesa dell’identità comune europea.
Il gruppo dei Paesi di Visegrad – che comprende oltre all’Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia, Polonia – per esempio, ha già annunciato che si schiererà compatta contro le sanzioni, valutate come un’ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano. Gli Stati sono già alleati nella lotta contro l’immigrazione e la politica delle quote in UE. E già da tempo Orban ha potuto contare sull’appoggio dell’Italia nella figura del ministro Salvini e la sua condivisione delle idee e politiche del capo di Stato ungherese.
Il citato articolo 2 del Trattato dell’Unione Europea è considerato imprescindibile per l’appartenenza comunitaria. Esso richiama valori cardine ai quali l’Europa – intesa come organizzazione politica ed economica alla quale gli Stati decidono di sentirsi parte in modo volontario – si rispecchia senza eccezioni. In esso si dichiara che l’Unione Europea si fonda sui principi:
“della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.
In quest’ottica, l’evoluzione governativa di Orban appare una minaccia al modello designato proprio nel Trattato. L’Ungheria ha davvero intrapreso una strada illiberale? Da quando Viktor Orban governa (eletto la prima volta nel 1998 fin al 2002; poi secondo governo 2010-2014, terzo 2014-2018 e quarto da aprile 2018), la politica ungherese è stata senza dubbio ispirata da conservatorismo e nazionalismo.
La mozione votata dal Parlamento europeo il 12 settembre esprime preoccupazioni per la deriva ungherese su più punti. Innanzitutto, getta ombre sul funzionamento del sistema elettorale e costituzionale. La riforma della Costituzione del 2013, per esempio, è stata criticata sia per la poca trasparenza e per lo scarso coinvolgimento di tutte le parti politiche nel processo riformistico, sia per i contenuti. La Corte costituzionale ha visto limitare i suoi poteri a vantaggio del governo per quanto riguarda nomina di giudici e controllo di legittimità delle leggi.
Anche l’equità nell’informazione è stata limitata. I dibattiti politici durante la campagna elettorale sono stati vietati nelle televisioni private. Le varie elezioni che si sono svolte nel Paese, per esempio, hanno visto trionfare il partito di governo negli annunci pubblicitari, grazie alle ingenti somme spese per l’informazione pubblica da parte della coalizione di Orban. L’Osce ha sottolineato che le elezioni dell’aprile 2018 in Ungheria sono state caratterizzate proprio da una scarsa parità di competizione tra le varie forze politiche. La retorica intimidatoria e xenofoba, i pregiudizi dei media e la poca trasparenza dei finanziamenti alla campagna elettorale hanno di molto ristretto il campo della libertà di informazione e di scelta degli elettori.
La comunicazione fuorviante e massiccia orchestrata da Orban durante i suoi anni di governo si è spesso espressa con toni populisti e senza possibilità di replica. Le consultazioni nazionali “Fermiamo Bruxelles”, “Migrazioni e terrorismo”, “Contro Soros”, hanno raccolto ampio consenso senza un vero dibattito e alimentato odio e critiche sulla base di informazioni poco veritiere e molto mediatiche.
Aumenta, inoltre, la preoccupazione per le limitazioni alla libertà di espressione e di opinione. È il Comitato dei diritti umani Onu a ribadire quanto stampa e media in generale non godano di piena indipendenza in Ungheria, ma siano troppo esposti a facile censura e ad ostacoli nel fornire in modo libero l’informazione. Dura è stata anche la condanna del Comitato Osce per la rivista Figyelő dopo la pubblicazione ad aprile di una lista di 200 persone, tra giornalisti e cittadini, accusati di voler rovesciare il governo di Orban. Stessa preoccupazione ha suscitato l’esclusione di alcuni giornalisti indipendenti dalla riunione inaugurale del Parlamento ungherese a maggio.
La relazione Ue sull’Ungheria elenca anche altri settori cruciali per il funzionamento democratico di uno Stato e fortemente compromessi dalle politiche di Orban: la libertà di associazione (con la legge Stop Soros l’attività delle Ong straniere operanti soprattutto per migranti e diritti umani sono ristrette e controllate), la libertà accademica, (con provvedimenti restrittivi nei confronti di Università europee e studenti stranieri), la libertà di religione, l’equità di trattamento tra cittadini (alta è la discriminazione nei confronti di gay, lesbiche e bisessuali e le leggi ribadiscono una visione di famiglia molto tradizionalista ed esclusiva), il rispetto delle minoranze, i diritti economici e sociali (il Welfare State ungherese è tra i meno efficienti in Ue), il conflitto di interessi (la corruzione è alta, gli appalti pubblici in Ungheria sono poco trasparenti e controllati dal governo e il sistema di affari è nelle mani di persone fidate di Orban).
Da evidenziare, inoltre, l’intransigente politica ungherese nei confronti dei migranti e dei rifugiati. Dalla costruzione della barriera frontaliera tra Ungheria e Serbia, voluta da Orban nel 2015, alle successive leggi e politiche severe sui respingimenti dei migranti, lo Stato ungherese si è contraddistinto per la sua posizione estremamente netta contro l’accoglienza.
Il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani insiste sulla mancanza di diritti e garanzie per i richiedenti asilo che il governo ungherese respinge sistematicamente nelle due zone di transito collocate ai confini. Detenzione automatica, privazione di libertà, condizioni disumane nei centri predisposti, respingimenti ed allontanamenti collettivi con metodi violenti da parte della polizia, inefficienza del sistema di rilevamento dei dati anagrafici e sanitari dei minori, assenza di procedure legali per esaminare le richieste di asilo sono tra le più pesanti accuse rivolte allo Stato ungherese.
L’Unione Europea riuscirà a difendere la propria comune identità contro i nazionalismi? O il nazionalismo prevarrà dentro le stesse istituzioni europee? La questione ungherese è un banco di prova per capire se l’Europa come entità è ancora in grado di esprimere e difendere principi condivisi e caratterizzanti l’essere europei.