I gorilla del Virunga, protetti dalla guerra a costo della vita
Sono già otto i rangers del parco nazionale del Virunga nella Repubblica Democratica del Congo ad essere stati brutalmente uccisi dall’inizio del 2017. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono Charles Paluku Syaira, Jonas Paluku Malyani e Pacifique Musubao Fikirini, assassinati la mattina del 14 agosto scorso durante un controllo di routine all’interno del parco, fondato nel 1925 e dal 1979 considerato Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.
Nei 7.800 km2 di estensione dell’area verde, sopravvive una fauna peculiare: in particolare, le misure di conservazione messe in atto negli ultimi decenni hanno fatto sì che si potessero mettere in sicurezza gli esemplari rimasti dei rarissimi gorilla di montagna.
Tutto ciò avviene proprio grazie ai rangers, congolesi che lavorano nel parco e si occupano delle mansioni di mantenimento, di sicurezza, ma anche di guida per i turisti che ogni anno raggiungono i monti Virunga. Tuttavia la guerra civile e le tensioni mai sopite nel Paese mettono a repentaglio la sopravvivenza del parco e di chi ci vive.
Secondo le autorità, i responsabili delle ultime uccisioni sono i Mai Mai, una milizia violenta che opera scorribande nell’area già dal 1996. Guidati da leader locali che hanno imposto il loro potere sui villaggi, alcuni report suggeriscono che l’opera di recruiting coinvolga sempre di più anche bambini, trasformati in piccoli soldati e mandati ad uccidere barbaramente chi protegge gli animali e l’ecosistema che consente loro di sopravvivere.
Il parco è diventato un obiettivo delle milizie proprio per la sua posizione strategica e per la folta vegetazione che lo caratterizza: infatti, come ha dichiarato la giornalista Melanie Gouby, “la crisi politica e di sicurezza nella Repubblica Democratica del Congo ha colpito i rangers del parco in maniera particolarmente dura perché loro proteggono un’area che i gruppi armati usano per raggrupparsi, nascondersi e rifornirsi.” In aggiunta, in molti dichiarano che i Mai Mai svolgono attività di bracconaggio e di estrazione mineraria nell’area, un’ipotesi che lascia intuire la presenza di interessi economici e geopolitici che valicano i confini della regione.
Di fatto, l’impressione è che tra gorilla, elefanti, okapi e altre specie protette si stia combattendo una vera e propria guerra tra chi lavora, mettendo a rischio la propria vita, per conservare un patrimonio globale e chi vede negli alberi soltanto uno schermo protettore rispetto ai gruppi nemici e una risorsa da poter sfruttare, senza ritegno o rispetto per l’ambiente.
In questo modo a rimetterci sono, in primo luogo, i rangers e le loro famiglie, in secondo luogo tutti gli animali che trovano nel parco del Virunga un ultimo baluardo di sopravvivenza. Per difenderlo Charles, Pacifique e Jonas sono morti, lasciando tredici bambini orfani, tre mogli ora in grave difficoltà e il parco con tre ranger in meno. Eppure la routine non si ferma. Infatti, se esiste una speranza per il Virunga, i gorilla e l’intera regione della Repubblica Democratica del Congo questa è il turismo.
L’auspicio, quando nel 2014 il parco è stato riaperto dopo un anno di chiusura, era quello di creare più di 100.000 posti di lavoro in dieci anni nella zona proprio grazie alla struttura naturalistica. L’obiettivo, secondo le parole di Emmanuel de Merode, direttore del parco, era “offrire un percorso necessario per un’economia post bellica nel Congo orientale, basato sui principi della riduzione della povertà, la tutela dell’ambiente e il peace-building“.
Inizialmente il progetto aveva ben poco di visionario, tant’è che nel 2014 le sistemazioni erano sempre piene e turisti provenienti dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dal Belgio, dagli Stati Uniti hanno avuto l’opportunità di incontrare i gorilla di montagna e scalare il vulcano Nyragongo, a 3470 metri sul livello del mare dove si trova il più ampio lago vulcanico del mondo.
I rangers accompagnano i turisti durante l’intero viaggio, proteggendoli e guidandoli nella vegetazione, nonché fornendo loro informazioni preziose sulla conservazione dell’ambiente circostante. Si occupano anche di condurre in sicurezza tutti gli stranieri in arrivo dagli aeroporti, spesso in Rwanda, fino ai monti Virunga e tutto ciò che viene guadagnato, viene reinvestito nel parco e per il parco, con l’auspicio di innescare un circolo virtuoso e sostenibile.
L’aggravarsi della crisi politica nel Paese, però, e i frequenti attacchi delle milizie dei bracconieri mettono a dura prova il progetto di de Merode e dei rangers della zona. Sempre più turisti, spaventati, rinunciano a visitare il parco del Virunga, gli introiti calano e resta ancora più spazio a chi vuole distruggere la foresta per farne un campo da battaglia.
C’è ancora chi si batte affinché la situazione non degeneri e per denunciare alla comunità internazionale quanto sta accadendo in RDC. Come Rodrigue Katembo, ex bambino soldato che è riuscito a scappare grazie all’aiuto della madre per dedicarsi allo studio fino a diventare ranger nel 2003. Katembo è stato a lungo custode dell’area centrale del Virunga, quella che rientra nel radar di interesse delle compagnie petrolifere che hanno puntato gli occhi sul parco per la sua ricchezza di risorse.
Proprio durante un turno di lavoro, tuttavia, il ranger ha iniziato a notare alcuni movimenti sospetti, auto non autorizzate, persone che non erano turisti: si trattava appunto degli operatori della SOCO intenzionati a sfruttare le risorse del parco. D’accordo con de Merode, Katembo ha a lungo seguito e spiato la compagnia per svelarne i traffici illeciti: una missione undercover che ha fatto sì che la SOCO lasciasse il Virunga. Ma questo è stato pagato a caro prezzo. Infatti il ranger, nel 2013, è stato arrestato e torturato per 17 giorni, prima di essere rilasciato e, più tardi, trasferito nel parco di Upemba dove continuare la sua opera di preservazione delle specie animali in via di estinzione.
L’impegno di Rodrigue Katembo non è passato inosservato. Le immagini da lui registrate sono state raccolte nel documentario Virunga, presentato al Tribeca Film Festival nel 2014 e distribuito su Netflix. L’importanza del suo lavoro e il coraggio dimostrato a difesa del parco gli è valso anche il premio Goldman 2017, il cosiddetto “nobel per l’ambiente”, un riconoscimento prestigioso che stimola Katembo e gli altri rangers a non mollare la presa nonostante i pericoli.
“È un sacrificio che vale la pena fare – ha detto a margine della premiazione al Guardian – So che si tratta di uno dei lavori più pericolosi nella RDC, ma io sono qui per il benessere delle generazioni future.” Proprio quel benessere che interessi geopolitici e milizie violente vogliono mettere a repentaglio, tuttavia Katembo è categorico: “Non è tempo di fare qualcos’altro. Quando noi vediamo così tanti gruppi che provano a distruggere le nostre aree protette, non possiamo fermarci. Se io lasciassi, sarebbe come se tradissi le protezioni che il parco naturale merita. Ho bisogno di essere certo che ci sia una nuova generazione di congolesi pronta a raccogliere il testimone.” Per i gorilla del Virunga, ma anche per il pianeta terra.
[Tutte le fotografie pubblicate sono state scattate nel mese di maggio 2017 da Marta Battaini e Manuel Castelletti, cooperanti in RDC presso la pediatria di Kimbondo per Oikos Onlus].