Donne a capo di una nazione, in Africa si può
Maschilismo e imperialismo vanno abbastanza d’accordo. Patriarcato e potere. In oltre due secoli gli USA hanno cambiato poco nel loro modo di pensare e gestire la cosa pubblica. Tant’è che mai un presidente donna è stato eletto alla prima carica dello Stato. E anche stavolta è andata così. Il 45esimo è un maschio, come tutti gli altri.
In Africa no. Le logiche in quel continente sono totalmente diverse, al di là di ogni schema mentale che vuole l’Africa arretrata, sotto tutti gli aspetti.
Basta scorrere una semplice lista per scoprire un mondo femminile totalmente diverso da quello a cui un pubblico disattento e poco impegnato è abituato.
Fin da origini, un po’ velate dalla leggenda, un po’ documentate dalla Storia, la donna africana ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella società, spesso ricoprendo cariche che la cultura occidentale riservava (e riserva ancora) agli uomini. Non comprimarie e semplici consorti, ma regine, imperatrici, guerriere, diplomatiche.
In Occidente le queens africane più note sono quelle egiziane ed etiopi, soprattutto per la diffusione di opere, monumenti e statue rinvenute durante la grande epoca degli scavi archeologici del XIX e XX secolo. Eppure regine e imperatrici hanno regnato principalmente nell’Africa Sub-Sahariana, dando anche una struttura matriarcale alla società. Molte di loro erano – o divennero – guerriere per combattere e scacciare i dominatori stranieri.
Come Taytu Betul, moglie di Menelik II e imperatrice d’Etiopia. Dotata di grandi doti diplomatiche, ebbe un ruolo fondamentale per la vittoria del suo esercito nella battaglia di Adua contro l’invasore italiano. Il suo non era un ruolo secondario rispetto a quello dell’imperatore che pare la consultasse prima di ogni decisione. Cosa che colpì – non positivamente – i giornalisti italiani che ne diffusero l’immagine di donna vanitosa e arrogante. La sconfitta sul campo militare bruciava…
O come Yaa Asantewaa che in Ghana nel 1900 guidò un esercito di 5.000 uomini contro i colonizzatori britannici. Guerra che terminò con l’indipendenza de facto dell’impero Ashanti. O Llinga, regina guerriera del Congo che nel 1640 combattè i portoghesi a capo di un esercito di soldati, uomini e donne.
Di esempi e nomi da citare ce ne sono molti. In un testo dal titolo “The forgotten History of African Women“, l’autore oltre a ricordare le donne che hanno fatto la Storia d’Africa nei secoli passati, afferma che il problema per le donne in Africa non è la parità di genere nell’esercizio del potere e nel raggiungere posizioni di comando, ma che esse nelle istituzioni sono corrotte al pari degli uomini.
Se è vero che molti sono stati i casi di accuse di uso improprio di denaro pubblico, appropriazione indebita e distribuzione di privilegi al proprio entourage, vale anche un’altra lettura, quella di chi ritiene che quando l’Africa era retta dal matriarcato il continente era più prospero. La distruzione sarebbe arrivata con il patriarcato. Ma chi ha introdotto la supremazia del patriarcato? Invasioni straniere, colonizzazione, occidentalizzazione. E la corruzione nel mondo della politica non è certo un’esclusiva africana.
Eppure, il ruolo di primo piano delle donne nella cosa pubblica nell’Africa Sub-Sahariana non ha mai smesso di essere forte e concreto. Capace di stupire il mondo occidentale.
Attualmente solo 22 donne ricoprono l’incarico di Capo di Stato o Capo di Governo, un misero 6,9% sui 315 leader politici in tutto il mondo. Tre sono le donne Capo di Stato al momento in carica in Africa, una è Capo di Governo.
Già nel 1984 nella Guinea Bissau una donna – Carmen Pereira – salì al potere, seppure rimanendo in carica solo per tre giorni come presidente ad interim. Si trattava della prima volta nella storia dell’Africa indipendente.
Ancora come presidente ad interim, dal 10 luglio 1993 al 7 febbraio 1994, venne nominata in Burundi Sylvie Kinigi che fu anche primo ministro. Per oltre un anno, dal 1996 al 1997, Ruth Perry fu portavoce del Consiglio di Stato in Liberia. Ed è sempre la Liberia ad avere il primato della prima Capo di Stato eletta, Ellen Johnson Sirleaf, tuttora in carica dal 2006.
In due occasioni, nel 2005 e nel 2008, Ivy Matsepe-Casaburri fu Capo di Stato ad interim nel suo Paese, il Sud Africa e ha rivestito anche la carica di ministro. In Gabon, Rose Francine Rogombé, fu Capo di Stato ad interim. È stata primo ministro, vice presidente e presidente ad interim alle Mauritius, dagli anni 2010-2016 Agnès Monique Ohsan Bellepeau.
E poi vanno ricordate Joyce Hilda Banda, presidente eletta del Malawi, dal 2012 al 2014, di cui è stata anche vicepresidente e ministro degli Affari Esteri; Catherine Samba-Panza, presidente ad interim nella Repubblica Democratica del Congo; Bibi Ameenah Firdaus Gurib-Fakim, attuale presidente eletto delle Mauritius.
Vogliamo concludere con due dati. Uno riguarda la classifica mondiale della presenza femminile nei Parlamenti nazionali, che vede il Rwanda al primo posto con 54 parlamentari (donne) su 106 seggi, seguita dalla Svizzera con 157 parlamentari donne sul totale di 349 e dal Sud Africa: 194 donne in Parlamento su 454. E gli USA? Nella composizione del Congresso al 2015 su 545 seggi solo 104 erano donne.
Nella classifica dei primi dieci c’è un altro Paese africano, il Mozambico. L’Italia – 54esima – è superata da un altro Paese africano, l’Eritrea, 52esima. Del resto a livello europeo siamo fanalino di coda, né ce la passiamo meglio se facciamo comparazioni a livello mondiale. E le donne che riescono a salire qualche gradino per consuetudine riservato ai maschi, devono fare i conti con un sessismo che l’Africa non conosce e non ha mai conosciuto.
Bellissimo articolo, così veritiero e con una serie di nomi per cui varrebbe la pena un approfondimento individuale. Taitù ha una storia emblematica, pensare che nei primi anni del 900 questa donna arrivava da 4 matrimoni falliti, cosa che qui è ancora considerata estremamente debilitante per una donna, lei invece sposava Menelik prendendo i pantaloni come “Uomo di casa”…tanto da risultare antipatica a tutti, e specialmente all’Italia (caso strano eh eh). Ho trovato affascinante la storia del matriarcato in Africa, sono lieta di trovare anche donne che non conoscevo in questo articolo, sicuramente andrò a vedere le loro storie! Complimenti per questo sito che visito per la prima volta!
Tutto molto interessante, però vale davvero la pena prendere come modello Paesi come il Ruanda e l’Eritrea? Giusto per ricordare, appena qualche settimana fa da noi è arrivata una nave carica di disperati proveniente proprio da lì. E sono solo gli ultimi di una lunghissima serie. potremmo anche fare un parlamento di sole donne, ma se mancano i diritti fondamentali di una parte della popolazione non si sta facendo nulla. Concludo con una domanda: ma perché dobbiamo credere che un matriarcato sia per forza meglio del patriarcato? A mio avviso il femminismo deve combattere l’egemonia del sistema di valori attuali ma senza creare altre situazioni in cui ci siano persone discriminate
Gentile Bea, la presenza femminile nei parlamenti e istituzioni africane non necessariamente equivale a una economia florida. A parte questo le ragioni delle migrazioni sono tante e complesse e non basta certo l’emergere delle donne in politica a frenarle. Mi preme fare una precisazione, quando ha visto ruandesi in Italia? Attenzione, gli africani sono un miliardo e 200 milioni e non tutti emigrano.
Il discorso sul patriarcato. Meglio? Peggio? Bisogna vedere i risultati del patriarcato per trovare una risposta.
Comunque sia, da cifre e riflessioni emerge che l’Italia in quanto a diritti delle donne è molto, molto indietro. Persino, dati alla mano, rispetto ad alcuni Paesi africani.