ISIS, distruggere i reperti antichi per cancellare l’identità

[Traduzione a cura di Alessandra Melluso dall’articolo originale di Marcu Niculescu su openDemocracy. Alessandra Melluso è traduttrice ed esperta linguistica nel settore scolastico/universitario e turistico/alberghiero.]


Tempio di Bel, Palmira, recentemente distrutto dai militanti del gruppo Stato Islamico. Foto di Alper Çuğun su Flickr, licenza CC BY-NC 2.0
Tempio di Bel, Palmira, recentemente distrutto dai militanti del gruppo Stato Islamico. Foto di Alper Çuğun su Flickr, licenza CC BY-NC 2.0

C’è così tanto dolore e senso di perdita, scrive l’autrice di The Twilight Hour Nicci Gerrard in un articolo di luglio per The Guardian riguardo al suo lavoro di pubblica difesa a favore dei pazienti affetti da demenza e dei loro assistenti. La Gerrard descrive questa sofferenza – la perdita di un’identità radicata nella conoscenza comune, la cancellazione della storia, l’insidioso e irreversibile attacco al sapere e all’essere – come un “paesaggio dannato” che ci fa provare dolore. E si domanda: “Chi siamo nel momento in cui abbiamo perso i nostri ricordi?“.

Molti conoscono questa sensazione familiare di dolore, senza pensare all’archeologia e alla guerra. Tuttavia, questa cancellazione esistenziale è simile alla perdita collettiva che i siriani – come gli iracheni, gli afghani e altri prima di loro – hanno provato all’indomani del più recente attacco dello Stato Islamico al Tempio di Bel, oppure la settimana precedente al sito patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO a Baal Shamin. Quel “paesaggio dannato” di Palmira è l’ultimo vuoto nella storia siriana e nella nostra visione condivisa della storia umana e della civiltà.

Alla fine di agosto, mentre il mondo piangeva la morte di Khaled Assad, lo studioso siriano di reperti antichi decapitato dallo Stato Islamico, l’FBI diramava un’allerta ai commercianti d’arte e di reperti antichi. I pezzi provenienti da questo “saccheggio a livello industriale” si stanno facendo strada verso il mercato internazionale da Mosul, da Nimrud e Hatra, rubati dal sito di Baal Shamin a Palmira e dal monastero di Mar Elian vicino Homs, crollato il 6 agosto. I leader dell’ISIS hanno anche minacciato le Piramidi e la Sfinge in Egitto.

Pulizia culturale

È comprensibile che le informazioni dell’FBI su un’importante fonte di finanziamento dello Stato islamico sia stata trascurata. L’attenzione mondiale è giustamente concentrata sulla priorità di trovare una soluzione europea unitaria alla crisi migratoria, mentre altri rifugiati muoiono per mano dei trafficanti di uomini nel corso del loro viaggio. Di fronte alla sofferenza dei rifugiati siriani, che rischiano le proprie vite per lasciarsi alle spalle coloro che hanno perso, piangere il danno al patrimonio mondiale sembra una preoccupazione perlopiù accademica.

Ma se il prossimo obiettivo dello Stato Islamico è finanziare una rivoluzione, la base di questa rivoluzione è la cancellazione della memoria e dell’identità, fino a che persino la Storia – e in un certo senso il tempo – saranno sotto il controllo dello Stato Islamico. Innumerevoli esperti e funzionari, compresa Irina Bokova dell’UNESCO, hanno denunciato il saccheggio come una pulizia culturale. Tim Whitmarsch, professore all’Università di Cambridge, descrivendo i tesori di Palmira e il loro significato a lettori non esperti, li ha definiti “il miglior controesempio dell’antichità rispetto al monoculturalismo fascista dell’ISIS“. Sturt Manning, preside del Dipartimento di antichità classiche alla Cornell University, invita l’Occidente a ricordare come lo Stato Islamico cerca di distruggere la testimonianza di un passato tollerante e differente. Manning scrive: “Ciò che teme l’ISIS è la memoria e la conoscenza, poiché non le può distruggere“.

La memoria e la conoscenza sono gli elementi che definiscono l’azione umana, riconosciuti come parte integrante della personalità, nonché le funzioni esecutive dell’azione umana, che governano ed esprimono l’identità. Esse possono venir meno a causa della demenza, scrive David Keck in un’altra esplorazione filosofica della malattia. Ma la cultura è anch’essa memoria, e spesso soggetta a manipolazione collettiva e alterazione politica.

Gli oggetti del passato rappresentano i tentativi di chi governa di legittimare il proprio potere e dominare sulle memorie del futuro“, afferma Keck, citando Foucault e altri esempi. “La libertà e la memoria sono inseparabili. Esiste un forte potenziale politico nella manipolazione dei ricordi. Il primo compito di una rivoluzione è riscrivere il passato“. Lo Stato Islamico si sta appropriando di quel passato sulla base di una teologia perversa, insistendo sul fatto che la fondazione del califfato rende obsoleta qualsiasi storia precedente dell’impresa umana.

“Non è questione di manufatti”

La “guerra alla storia” dello Stato Islamico, come espressa finora, manifesta l’intenzione di cancellare l’identità. Altri casi nell’era moderna includono la distruzione dei Buddha di Bamiyan da parte dei Talebani nel 2001, o gli attacchi del 2012 a Timbuctù, dove gli estremisti islamici del Mali distrussero una moschea del XV secolo e 4000 antichi manoscritti di legge, filosofia, astronomia e storia. L’archeologia stessa può essere associata, come nel conflitto israelo-palestinese, alla dimostrazione di diritti terrieri. Nella Cina, Messico e India dei nostri giorni i reperti storici comunicano una conoscenza degli antichi conquistatori, il cui nichilismo non ha alcun posto nel nostro mondo.

Nonostante studiosi e intellettuali – forze culturali il cui dissenso lo Stato Islamico cerca di cancellare – piangano la distruzione di Mosul e Palmira, le città sono inseparabili dalle vite distrutte di persone che cercano riparo dalla “monocultura fascista“. La loro capacità di preservare la memoria e l’identità culturale in tutta la sua complessità, di condividere la storia e proteggere la sua narrazione, assume il ruolo di una verità sacra concessa a chi è testimone. Il patrimonio mondiale si preserva all’interno di questa testimonianza. Alla fine, lo Stato Islamico potrà essere zittito dal potere di salvaguardia a livello sia personale che politico.

Non è questione di manufatti“, affermava Zainab Bahrani, archeologo della Columbia University, in un’intervista dello scorso marzo al Boston Globe. Riguarda piuttosto il diritto di un popolo ad esistere – e perseguire la protezione a tutti i costi della propria storia e dei propri contributi culturali, attraverso quel “paesaggio dannato” della memoria.

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