Tortura e processi in diretta nella Libia neo-colonizzata
[Traduzione a cura di Benedetta Monti dall’articolo originale di Abayomii Azikiwe su Pambazuka News]
Il video diffuso nelle settimane scorse che mostrava la tortura di Saadi Gheddafi non rappresenta qualcosa di anomalo nella Libia degli ultimi tempi, nazione in cui il Pentagono e la NATO sono intervenuti militarmente per il cambiamento del regime nel 2011. Il video mostrava Saadi Gheddafi legato e colpito al volto e alla testa mentre, durante il violento interrogatorio, poteva sentire anche le grida di altri prigionieri sottoposti a tortura. Successivamente, i piedi dell’ex calciatore sono stati infilati in una struttura di metallo usata in modo da colpire ripetutamente le piante dei piedi con un bastone. Durante la tortura Saadi Gheddafi era bendato e i torturatori indossavano un’uniforme. Queste immagini scioccanti che arrivano dalla Libia in mano ai nuovi colonizzatori rappresentano il risultato diretto della guerra per il cambiamento del regime iniziata quattro anni fa a Bengasi.
La situazione nel Paese è purtroppo aggravata dalla mancanza di un sistema legale, giudiziario e politico. Le diverse milizie, armate e create dagli Stati Uniti e dalla NATO, continuano a pattugliare le città, i paesi e i villaggi della nazione, molestando, rubando, assalendo e uccidendo i civili. A causa dell’impatto sociale ed economico della guerra in Libia, la nazione è anche incapace di affrontare la crisi dell’emigrazione in espansione nel Nord Africa.
Quest’anno migliaia di migranti africani, dal Medio Oriente e dall’Asia sono morti al largo della costa del Nord Africa nel Mediterraneo. I trafficanti di esseri umani adescano e caricano su imbarcazioni instabili i migranti, alla ricerca di asilo politico in Europa, speranza che spesso si conclude tragicamente. Gli attuali regimi e le milizie divise che hanno base in Libia non hanno ovviamente la capacità di fermare tutto questo, anzi, stanno approfittando di questa tragedia umana.
Stato di anarchia e privazione
Oltre alla tortura documentata, alcuni funzionari di alto livello del Governo Giamahiria (il regime delle masse, NdT) di Muammar Gheddafi sono stati condannati a morte, compreso l’altro figlio Seif al-Islam attraverso un processo che non rientra nei limiti delle regole giudiziarie. Si tratta della sentenza del 28 luglio scorso, emessa da una corte fortemente discutibile, che ha condannato a morte tramite fucilazione l’erede e figlio dell’ex Raìs e altre otto persone per presunti crimini di guerra, incluse le uccisioni di manifestanti durante la contro-rivoluzione del 2011 voluta e coordinata dai Paesi imperialisti e dai loro alleati. Tra questi l’ex direttore dell’intelligence, Abdullah al-Senussi e l’ex primo ministro Baghdadi al-Mahmoudi. I procedimenti legali dei loro casi non sono stati soggetti a trasparenza, quindi non ci sono indicazioni sulle prove presentate contro gli imputati.
Durante gli ultimi quattro anni, migliaia di ex funzionari e sostenitori del governo sono stati rinchiusi in campi e prigioni. Il regime attuale, sotto il controllo della capitale di Tripoli, è sostenuto dalla milizia Lybia Dawn, partita da Misurata, dove avevano base alcuni dei ribelli più violenti e razzisti durante la guerra del 2011. Un altro regime, riconosciuto dagli stati imperialisti, ha sede in un hotel nella città orientale di Tobruk. Sebbene Seif al-Islam sia stato condannato a morte da un tribunale di Tripoli, non era presente all’udienza che lo ha condannato, poiché tenuto prigioniero da un’altra milizia a Zintan.
Anche l’organizzazione Human Rights Watch (HRW) – che non si era espressa durante la guerra imperialista contro la Libia nel 2011, quando sulla nazione furono gettate circa 10.000 bombe e le milizie eseguirono attacchi indiscriminati verso funzionari e civili, con il risultato di 50.000-100.000 morti – è intervenuta contro i processi, le condanne e le sentenze. Joe Stork, vice direttore dell’HRW per il Nord Africa e il Medio Oriente in una dichiarazione del 28 luglio ha affermato che:
Ci sono questioni che riguardano l’indipendenza dei giudici e dei pubblici ministeri in luoghi dove prevale un’anarchia assoluta e alcuni gruppi sono spudoratamente protetti dalla giustizia. Questo processo è stato tenuto in mezzo a un conflitto armato e in un Paese diviso dalla guerra, dove l’impunità è diventata la norma.
Il Tribunale Internazionale dell’Aja aveva presentato accuse contro Muammar Gheddafi, Seif al-Islam e Abdullah al-Senussi durante la guerra dichiarata dal popolo libico per difendere il proprio Paese dall’attacco imperialista. Nel 2013 il Tribunale ha concesso il diritto al popolo libico di perseguire gli ex funzionari del governo nonostante non fossero riusciti a garantire e dimostrare la capacità di condurre un processo che non fosse politicizzato. La Libia, una tempo uno degli stati più prosperi dell’Africa, dalla guerra del 2011 ha subito un forte declino economico. Le enormi riserve di petrolio all’interno del Paese sono ora fonte di conflitto tra i vari gruppi delle milizie.
Disoccupazione e povertà sono diffuse, donne, immigrati e varie comunità musulmane e cristiane affrontano quotidianamente pestaggi, bombardamenti e omicidi e Stati confinanti, come la Tunisia e l’Egitto, hanno chiuso i propri confini e sono coinvolti negli sforzi militari contro la presenza dello Stato Islamico e altre organizzazioni di ribelli.
Manifestazioni pro-Gheddafi
Nel frattempo, il 4 agosto a Bengasi, il luogo in cui è nata la contro-rivoluzione nel 2011, si è tenuta una manifestazione a favore di Gheddafi. Tale protesta è stata interrotta immediatamente con colpi di arma da fuoco che hanno disperso la folla. Secondo un articolo pubblicato recentemente dal The Guardian, la contro-rivoluzione ha comportato così tanta disperazione che “negli ultimi giorni piccoli gruppi di libici hanno dimostrato in alcune città, compresa Bengasi, tenendo cartelli con le foto di Saif Gheddafi e ripetendo: ‘Zintan, Zintan, libera Saif al-Islam’“. Ai sostenitori dell’ex Governo è proibito il coinvolgimento nelle attività politiche del Paese. I tentativi di riabilitare l’immagine dei regimi ribelli sono falliti e anche i funzionari degli stessi stati imperialisti che hanno deposto Gheddafi hanno dovuto riconoscere la situazione caotica che prevale nella nazione dal 2011.
L’ambasciatore americano Christopher Stevens e alcuni funzionari della CIA sono stati uccisi in un attacco al consolato di Bengasi nel settembre del 2012. Il ruolo dell’allora Segretario di Stato Hillary Clinton, cruciale nella guerra contro la Libia, non è mai stato messo in discussione riguardo al rovesciamento del regime e all’assassinio di Gheddafi, sebbene al momento sia candidata per la presidenza degli Stati Uniti per il Partito Democratico. Inoltre, ci sono questioni in sospeso sugli attacchi al consolato americano nel settembre del 2012 e su che cosa sappia veramente la Clinton riguardo all’accaduto.
Negoziati per fermare il caos
Le Nazioni Unite hanno programmato nuovi negoziati per cercare di stabilizzare la situazione caotica riunendo i gruppi di ribelli a cui gli Stati Uniti e la NATO hanno conferito autorità. Questi negoziati, gli ultimi di una serie di tentativi falliti, erano previsti per il 10 agosto. Tuttavia, sono emerse difficoltà ancor prima del loro inizio. […] In ogni caso, non ci può essere alcuna soluzione della situazione in Libia finché non ci sarà unità e consenso in un programma politico progettato per rimettere la nazione sulla strada della sovranità nazionale e anti-imperialista. Non possono essere gli Stati occidentali che hanno distrutto la Libia a rimettere insieme il Paese. Questo compito enorme può essere eseguito solamente dal popolo libico con solidarietà e unità senza la presenza di altre forze all’interno della nazione.