24 Novembre 2024

Baltimora, la resistenza all’oppressione come diritto umano

[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Ajamu Baraka* pubblicato su Pambazuka News]

Il razzismo verso i neri, sempre presente negli Stati Uniti sotto la superficie di educati discorsi sull’argomento, è esploso nuovamente come reazione della gioventù nera ad un altro brutale omicidio compiuto dagli agenti di polizia di questa nazione razzista e colonialista. Attraverso tale rivolta, l’attenzione si è spostata dall’omicidio di Freddie Gray e dalla violenza di Stato – storicamente impiegata per controllare e contenere la popolazione nera nelle aree urbane colonizzate del Nord America – alle forme di rivolta degli afroamericani e al trauma generato da una continua condizione di violenza.

La cronaca sviluppata dai portavoce delle grandi corporazioni dei mass media dà l’impressione che la rivolta non abbia alcuna base razionale e che si tratti di un’altra manifestazione dell’irrazionalità dei non-europei – in particolare dei neri – e di come questi siano inclini alla violenza. Si tratta della classica proiezione coloniale usata da tutti gli Stati con supremazia dei bianchi come colonizzatori, dagli Stati Uniti al Sud Africa e Israele.

Secondo questa cronaca, qualsiasi tipo di rivolta che non rientra nella definizione limitativa di rivolta “non-violenta” è una violenza illegittima e, quindi, controproducente perché -“tramite la violenza non si raggiunge niente.” Questa posizione non soltanto equipara in modo errato la rivolta all’oppressione, come se dal punto di vista morale fosse equivalente alla violenza dell’oppressore, ma cerca anche di eliminare il ruolo della violenza come elemento fondamentale del progetto coloniale degli Stati Uniti.

I giorni della violenza a Baltimora, aprile 2015. Foto pubblicata su Flickr da Vladimir Badikov con licenza CC (BY-NC-SA 2.0)

La storia della conquista coloniale ha visto i colonizzatori americani farsi strada sparando e uccidendo in quel territorio che è poi diventatato gli Stati Uniti, rubando la terra agli indigeni per espandere la Repubblica bianca razzista “da un oceano all’altro“. E neanche l’amministrazione Obama esclude il ruolo della violenza, di fatto attuando con dovizia i dettami bipartisan della strategia americana di dominio completo privilegiando il potere militare e la violenza oppressiva per proteggere e promuovere la supremazia americana. La distruzione della Libia, la nuova invasione dell’Iraq, la guerra civile in Siria, l’azione di guerra in Afghanistan – continuata da Obama, l’attacco di Israele sui palestinesi di Gaza e l’attacco allo Yemen da parte della dittatura saudita supportato dagli Stati Uniti, sono solo alcune delle conseguenze terribili di questa dottrina criminale.

La violenza razzista e oppressiva sono state sempre al centro del progetto colonialista degli Stati Uniti. Soltanto quando l’oppresso decide di resistere – quando decidiamo, come affermò Malcom X, che dobbiamo combattere per i nostri diritti umani – ci consigliano di essere come M.L. King, compreso un guerrafondaio come Barack Obama. Tuttavia, la rivolta all’oppressione è un diritto che gli oppressi rivendicano. Non importa se tale diritto sia sancito dallo Stato oppressore, perché tale Stato non ha nessuna legalità.

Nessuna persona razionale esalta la violenza e la perdita della vita, ma la violenza è strutturata nelle prassi istituzionali quotidiane di tutte le società oppressive. Si tratta di una disumanizzazione deliberata delle persone per farle diventare ‘cose’ – un processo che Martin Luther King chiamava “thing-afication” (“cosificazione“): un processo necessario all’oppressore per controllare e sfruttare in modo più efficace. La rivolta, secondo la percezione cosciente di un’umanità comune a tutte le persone, rovescia questo processo di disumanizzazione. La lotta e la rivolta sono la maggior espressione della richiesta collettiva di diritti umani incentrati sulle persone – diritti umani definiti e al servizio delle persone e non dei governi o dei legislatori delle classi medie.

La rivolta, in questo caso, potrebbe risultare caotica – una rivolta spontanea lo sembra sempre, ma dato che la logica interna del capitale neo-liberale è incapace di risolvere la contraddizione che ha creato, ci si attendono più repressioni e più rivolte che infine avranno una forma di organizzazione e di continuità strutturata. Nel frattempo, staremo a vedere chi si allinea con noi o con lo Stato razzista.

Ancora un'immagine dai giorni degli scontri a Baltimora. Pubblicata su Flickr da Vladimir Badikov con licenza CC (BY-NC-SA 2.0)

Le contraddizioni del sistema coloniale/capitalista nella sua attuale espressione di neoliberalismo hanno ostacolato la creazione di società decenti e umane che danno un valore a tutte le persone a cui vengano riconosciuti diritti umani e democratici. Quello che stiamo testimoniando negli Stati Uniti è una conferma che il capitalismo neo-liberale ha creato ciò che Chris Hedges chiamava “zone sacrificali” in cui il sistema ha confinato e cancellato molte persone nere e ispaniche. In queste zone troviamo un’escalation di violenza repressiva da parte delle forze di polizia, ed è in queste zone che la gente sta reagendo per riprendere il controllo delle proprie comunità e delle proprie vite.

Questo è un momento significativo per tutti coloro che danno un supporto – anche solo verbale – alle lotte anti-razziste e alla politica trasformativa. Molti dei giovani compagni bianchi, e anche persone di colore troppo giovani per aver vissuto l’ultimo periodo di lotta degli anni ’60 e ’70, non hanno compreso la centralità della rivolta afroamericana rispetto alle lotte sociali storiche degli Stati Uniti. Può apparire scontertante per loro vedere nascere una rivolta che non dipende e non è avvalorata dalla popolazione bianca o da nessun altro.

La repressione andrà avanti e lo stesso sarà per la rivolta. Il fatto che questa sia emersa in una città “nera” comporta comunque delle complicazioni, ma si tratta di persone ricche e accettate poiché in questo modo forniscono l’opportunità di sottolineare uno degli elementi essenziali che potrà servire come linea di demarcazione nella comunità Afroamericana – la questione della classe sociale. Nei prossimi giorni assisteremo ad un assalto ideologico da parte della classe media di colore, probabilmente guidata dal loro principale rappresentante – Barack Obama. Tuttavia gli ultimi eventi stanno rendendo difficile a questa classe media distorcere e confondere la questione della loro collaborazione con la patriarcale supremazia bianca capitalista/colonialista. I confini della lotta sono stati tracciati, ora le persone devono chiedersi da che parte stare.

[* Ajamu Baraka è un attivista dei diritti umani, analista geo-politico, direttore e editorialista di Black Agenda Report. È, tra le altre cose, membro del Green Shadow Cabinet. Il suo blog porta il titolo “Una voce dai margini“. Qui la sua biografia.]

Benedetta Monti

Traduttrice freelance dal 2008 (dall'inglese e dal tedesco) soprattutto di testi legali, ama mettere a disposizione le sue competenze anche per fini umanitari e traduzioni volontarie.

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