Attivismo online, le mille censure dei governi africani
[Nota: L’articolo originale è di *Jillian York ed è stato pubblicato sul sito web di Al Jazeera. Traduzione di Antonella Sinopoli]
Nonostante l’estrema attenzione manifestata a questioni come i blocchi dell’accesso a Internet in Egitto e in Libia, l’uso massiccio di filtri in Tunisia e l’arresto di blogger in Marocco, lo stesso interesse non è stato rivolto al resto del continente africano, dove è invece in atto un uso costante della censura nei confronti dei fruitori della Rete. Comunque sia, quanto è accaduto nelle ultime settimane ha portato in primo piano i problemi che anche altri Paesi africani stanno affrontanto nell’ambito del diritto e della libertà di espressione on line.
In Etiopia, l’uso di filtri ai siti web è una pratica diffusa da molto tempo. Anche se il tasso di penetrazione di Internet in questo Paese è pari solo allo 0.5 per cento, il Governo ha deciso di bloccare una serie di siti che fanno capo al’opposizione, ma anche siti indipendenti di informazione locale e altri di organizzazioni che si battono per i diritti umani. L’infrastruttura della Rete in Etiopia è posseduta dallo Stato e quindi interamente nelle mani del Governo.
Di recente, nel corso della Giornata mondiale della libertà di stampa, funzionari del governo sono intervenuti su un evento sponsorizzato dall’UNESCO, sostituendo a giornalisti indipendenti che avrebbero dovuto intervenire altri indicati e graditi dal governo. La notizia è stata diffusa dalla Commissione di protezione dei giornalisti (CPJ). Contemporaneamente il governo ha però revocato il divieto apposto a una serie di siti web precedentemente bloccati dagli stessi sistemi di filtraggio del regime. È molto probabile che questo gesto sia stato suggerito proprio in occasione del tema dell’evento organizzato dall’UNESCO: nuovi media e Internet.
Nonostante tale sblocco, probabilmente temporaneo, se quanto accaduto finora nel Paese dà la misura di quale sia la situazione, l’Etiopia continua ad essere uno dei paesi dell’Africa sub sahariana in cui si registra una delle peggiori condizioni riguardo la libertà on line.
Uganda: bloccare Internet con il sistema “just in time”
Nei mesi in cui si sono diffuse come un incendio le proteste nel Medio Oriente e in Nord Africa, il blocco dei siti web con il sistema chiamato in gergo “just-in-time” (quando cioè i siti sono bloccati temporaneamente in occasione di una protesta o di altro evento) è cominciato a diventare sempre più comune. Il 14 aprile scorso, la Commissione delle Comunicazioni in Uganda (UCC) ha ordinato, quasi in sordina, agli ISP di bloccare l’accesso a Facebook e Twitter per 24 ore in vista della Walk to Work, la protesta organizzata contro la spirale di aumenti dei prezzi di alimentari e carburanti nel Paese.
Secondo il quotidiano ugandese Daily Monitor, l’UCC ha ordinato – attraverso una lettera – il blocco dei due social network adducendo motivi di sicurezza. Questa una parte della lettera:
Abbiamo ricevuto segnali dalla sicurezza che ci fanno ritenere ci sia bisogno di ridurre al minimo l’uso dei social media. Questi possono contribuire all’escalation della violenza riguardo all’attuale protesta organizzata in prevalenza dall’opposizione del Paese… Vi chiediamo quindi di bloccare l’accesso a Facebook e Twitter per 24 ore a partire da questo momento; cioè dal 14 aprile, ore 15,30, allo scopo di prevenire lo scambio e la condivisione di informazioni che possano incitare la gente.
L’ufficio in questione ha poi dichiarato che tale lettera non era necessaria e che comunque non si sarebbe proceduto ad alcun divieto. Eppure, alcuni cittadini hanno segnalato che l’accesso alla Rete, attraverso Uganda Telecom, era bloccato.
Sebbene i siti rimangano accessibili, Andrew Kaweesi, commissario della polizia ugandese ha definito il cyber-activism un fenomeno occidentale e ha dichiarato che “i governi necessitano di una legge che protegga lo Stato contro l’abuso della comunicazione on line, e per difendere i valori sociali e l’identità nazionale”. Ha rivolto inoltre un appello per la regolamentazione di ciò che viene pubblicato in Rete.
Più accesso, più controllo
Sebbene la maggior parte del continente non abbia finora risentito della politica di filtraggio su Internet, l’incremento dell’uso di Internet sta facendo aumentare anche i controlli. In Burundi, che non aveva dato esempi di censura, qualche mese fa è stato arrestato il direttore di un sito di informazione on line e lo scorso aprile il pubblico ministero ne ha chiesto la condanna a vita. Tali metodi non sono più tanto insoliti. Anche in Egitto si ritiene che non ci siano restrizioni nell’uso di Internet, eppure dozzine di blogger sono stati arrestati nel corso di questi ultimi anni.
Le pratiche di censura cambiano da Paese a Paese. Per esempio, alcune nazioni come la Costa d’Avorio si sono date da fare per far passare sistemi di filtro. Il 24 marzo, attraverso una direttiva dell’Agenzia delle Telecomunicazioni, è stato chiesto il divieto di operare a siti anti-Gbagbo (non si fa nessuna menzione al fatto che questa iniziativa sia stata adottata o meno).
Il Sudan ha lasciato Internet in larga misura senza censure, preferendo usare invece i social media per individuare gli oppositori. Secondo quanto si legge in un post del ricercatore Patrick Meier, il governo sudanese avrebbe costituito surrettiziamente un gruppo per organizzare proteste, richiamando così migliaia di attivisti. Quando questi ultimi sono scesi in strada ad attenderli c’era la polizia che, naturalmente, li ha tratti in arresto.
Nonostante i passi in avanti fatti negli ultimi anni il continente africano continua a combattere per l’accesso ad Internet, e registra un grosso ritardo rispetto al resto del mondo con solo il 5.6 per cento della popolazione totale on line. In ogni caso, va detto che recenti iniziative, tra cui questa di Google, consentono di credere che nel futuro prossimo ci sarà maggior accesso in Rete.
Ma l’incremento dell’accesso a Internet nel continente africano avrà sicuramente un costo, così come è avvenuto in tante altre parti del mondo: la libertà on line.
(*) Jillian York è direttore per la libertà di espressione alla Electronic Frontier Foundation a San Francisco. Cura per Al Jazeera una rubrica fissa su temi legati alla libertà d espressione on line e fa parte del Consiglio di amministrazione di Global Voices Online.