Libia: può esistere un’era post-Gheddafi?
[Stralci dall’articolo di Michela Mercuri, docente di Storia contemporanea dei Paesi Mediterranei presso l’Università degli Studi di Macerata. L’articolo integrale, in formato pdf, è pubblicato su Equilibri.net e coperto da copyright, ripreso dietro autorizzazione.]
La lunga dittatura del colonnello Gheddafi ha, di fatto, impedito la nascita di istituzioni strutturate e di gruppi politici inseriti nel tessuto sociale che potrebbero gestire, o almeno provare a intraprendere, una qualche forma di transizione. Quando e se il leader cadrà, dunque, lo farà portando con sé una buona parte di quella Libia che fino ad oggi abbiamo conosciuto e con cui abbiamo, in taluni casi, dialogato. Qui sta la sostanziale differenza con gli altri leader del Vicino Oriente che in questi ultimi mesi hanno visto il tramonto. Anche Mubarak e Ben Ali avevano creato regimi autoritari in cui le opposizioni avevano soltanto diritti apparenti e formali, ma hanno governato Paesi in cui esistono istituzioni che, seppure usate e manipolate da presidenti autoritari, mantengono la coscienza della loro ragion d’essere, del loro ruolo e delle loro funzioni. Il leader libico, invece, ha amministrato e gestito il suo Paese come un bene personale. A ciò si aggiunga che questa totale assenza di strutture istituzionali ha favorito il rafforzamento di più di 140 tribù, alcune delle quali di notevole importanza. Fino a poco tempo fa il loro ruolo ci era praticamente sconosciuto ma con ogni probabilità nei prossimi mesi conosceremo la loro importanza negli assetti sociali e istituzionali dello Stato libico, o di ciò che ne resterà. Cosa ne sarà dunque di “questa” Libia?
La risposta è complessa e, soprattutto, attualmente non può essere una sola; oggi le previsioni per il futuro del Paese sono poco incoraggianti. Al momento in cui si scrive continuano gli attacchi contro le forze del raìs ma non sembra esserci una chiara linea di condotta da parte della coalizione e, soprattutto, un disegno definitivo sui limiti tattici dell’intervento e sulla strategia politica da adottare nei confronti del dittatore. Bisogna consegnarlo alla Corte di giustizia internazionale e processarlo per i crimini commessi contro il suo popolo? Oppure munirlo di un salvacondotto ed esiliarlo? Oppure, ancora, lasciargli una parvenza di potere in una sorta di libertà vigilata e, soprattutto, disarmata? Altrettanti dubbi esistono sul futuro geopolitico del Paese.
E’ necessario fare in modo che dopo l’eventuale uscita di scena del raìs venga mantenuta l’unità della Libia o prendere atto dell’impossibilità di questo progetto perché Tripolitania e Cirenaica sono realtà diverse dal punto di vista storico, tribale, religioso e la loro fittizia unità è stata una costruzione del colonialismo, mantenuta, poi, dalla dittatura di Gheddafi? Nonostante ciò è sicuramente importante rilevare che questa volta, a differenza di quanto accaduto per le altre azioni militari poste in essere da potenze occidentali in modo più o meno unilaterale, oltre alla risoluzione dell’ONU, c’è l’appoggio della Lega Araba e il sostegno di molti Stati dell’area. Su questi converrà puntare per ristabilire una situazione che fin da ora si preannuncia estremamente complessa vista, soprattutto, l’eterogeneità degli attori in campo. L’Europa, da questo punto di vista, ha la grande opportunità di riaprire quel dialogo tra le due sponde del Mediterraneo, voluto fin dai tempi del partenariato euro-mediterraneo del 1995 e ritentato nel 2008 con l’Unione per il Mediterraneo, che, però, non ha mai riscosso i successi sperati.
Per la disamina in dettaglio degli scenari analizzati dalla Prof. Mercuri si legga l’articolo integrale in formato pdf.