La decadenza egemonica dell’ordine politico arabo
[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Maged Mandour pubblicato su OpenDemocracy]
Il mondo arabo si trova in una situazione di grande disordine.
In Egitto, si sta riaffermando una dittatura militare con il solito eccesso di tattiche oppressive, che vanno dagli arresti di massa arbitrari, alla tortura e ai verdetti di esecuzioni di massa.
In Siria, imperversa la guerra civile ancora senza una conclusione certa. Bashar El Assad ha portato avanti l’ossessione del dittatore arabo per le elezioni e per le messe in scena, e ha vinto un’altra finta elezione, mandando un segnale chiaro che lui è lì per rimanere, distruggendo qualsiasi possibilità di una negoziazione.
In Libia, lo Stato non è in grado di controllare le milizie armate o di “monopolizzare” l’uso della violenza, e questo ha contribuito a creare uno stato di anarchia.
In Iraq, i militanti dell’ISIS sono riusciti a prendere il controllo in molte parti del territorio, poiché l’esercito iracheno è letteralmente collassato. Un successo straordinario che è stato possibile solamente a causa delle politiche faziose del governo iracheno e della loro violenta repressione delle proteste pacifiche soprattutto da parte dei sunniti.
Tutte queste situazioni sollevano molte domande sulla natura dell’ordinamento politico attuale nel mondo arabo e l’impatto che le rivolte hanno avuto su di esso.
Antonio Gramsci, pensatore marxista innovativo, affermava che qualsiasi ordinamento politico si basa su due pilastri: la coercizione e il consenso. Ha affermato che un ordinamento politico egemonico contiene una quantità maggiore di elementi di consenso, mentre un ordinamento politico non egemonico si affida soprattutto alla coercizione. Un ordinamento politico diventa egemonico quando la classe dirigente si comporta in modo da promuovere gli interessi delle altre classi e i propri naturalmente. L’egemonia si basa anche sulla capacità della classe dirigente di creare un’ideologia che si diffonde nella società, cioè diventando l’ideologia accettata dalle masse come il modo di vivere “corretto”, imponendo quello che Engels chiamava una “falsa coscienza” per comunicare la sua idea che le masse partecipano alla propria repressione.
Basandosi su quanto detto in precedenza, si potrebbe affermare che l’ordinamento politico attuale è un ordinamento non egemonico, che fa affidamento su abbondanti dosi di coercizione. La base ideologica attuale dei regimi arabi è quella di “combattere il terrorismo”, di avere “stabilità” e in alcuni casi di “proteggere le minoranze”.
In Egitto, il feldmaresciallo Al Sisi è arrivato al potere con l’appoggio dell’isteria di massa e la paura della Fratellanza Musulmana – adesso dichiarata illegale. Aveva promesso una fine al “caos derivato dalle proteste” e al “terrorismo”, non miglioramenti degli standard di vita degli egiziani medi. Al contrario, aveva fatto allusioni sull’aumento l’austerità, su tagli maggiori nelle spese sociali e sull’aumento del potere militare.
In Siria, il Presidente Assad rimane al potere, con un grande sostegno da parte delle minoranze e delle classi medie sunnite, anche qui con la stessa struttura ideologica della “lotta all’estremismo”.
Questi due esempi illustrano la natura “del rifiuto” della base ideologica dell’ordinamento politico arabo attuale. In altre parole, i regimi arabi si affidano alla paura della popolazione dell’ “estremismo” per rimanere al potere. Incapaci di offrire un’alternativa ideologica coerente, l’ordinamento politico attuale è basato sulla paura dell’ “uomo nero”, in alcuni casi soltanto immaginario. Le idee della classe dirigente non si sono diffuse nella società, semplicemente perché queste idee non esistono più.
Anni di legislazione totalitaria hanno prodotto un livello di povertà ideologica e intellettuale nel mondo arabo che affligge sia le forze di opposizione sia le élite dirigenti. Sembra quasi impossibile che un gruppo sociale qualsiasi possa creare un’ideologia coerente che abbia il potenziale di creare un senso di unità e identità nell’ordinamento politico arabo. In queste condizioni, le identità più anziane si presentano e prendono il ruolo centrale sul palcoscenico, come ultima risorsa. Per esempio, le identità tribali o settarie sono in prima linea come base della lealtà politica, anche nelle popolazioni relativamente omogenee. Quindi possiamo osservare l’aumento delle sette in Siria, Iraq, Libia, e perfino in Egitto.
Anche le forze islamiche, che per lungo tempo sono state considerate la minaccia più attendibile e le nemiche più potenti, non sono riuscite ad attirare alleati potenziali e a diffondere la loro egemonia. Al contrario, hanno cacciato i possibili alleati e sono diventate più settarie, rivolgendosi verso l’interno. L’esempio più lampante è dato dalla Fratellanza Musulmana in Egitto, che si era alleata con le forze armate contro il movimento rivoluzionario per essere poi in seguito tradita dalle forze armate stesse. Durante questo processo, la Fratellanza Musulmana si è spostata all’improvviso verso destra, non riuscendo a diffondere la propria egemonia su altre parti dello spettro sociale egiziano.
Per comportarsi in un modo che trascenda i loro interessi, le élite dirigenti attuali sembrano non volere compromessi, anche nel senso più stretto del termine. Gli esempi di questo abbondano. In Iraq, El-Maliki ha dichiarato pubblicamente la sua riluttanza a creare un Governo di unità nazionale davanti ad una possibile divisione dell’Iraq, in cui i sunniti, come i curdi, potrebbero sviluppare la propria regione autonoma. A peggiorare le cose è l’utilizzo apparente delle milizie Shia, che potrebbero rendere più profonda la divisione settaria.
In Egitto, il regime militare attuale sta introducendo una maggiore austerità e repressione nel Paese, concentrando ulteriormente il potere su di sé. In Siria, le élite non vogliono scendere a compromessi sul destino di Assad, rifiutando l’idea che la sua uscita di scena potrebbe mettere fine alla guerra civile. Quindi, oltre alla povertà ideologica, anche la forza è necessaria perché gli ordinamenti politici attuali rimangano la potere.
Infine le rivolte arabe hanno spazzato via gli alibi dei regimi attuali, costringendoli a mostrare il loro volto reale alla popolazione.
In Egitto, per esempio, adesso le masse sono consapevoli della natura del regime: un regime militare repressivo. Il sostegno della repressione è giustificato con il pretesto della necessità di “stabilità” e della lotta al “terrorismo”. Per questo motivo, le rivolte arabe possono essere considerate come l’ultima fase di un processo di decadenza egemonica che è in corso da alcuni decenni, piuttosto che una rottura con il passato.
La sfida maggiore che devono affrontare i rivoluzionari arabi è la necessità di sostituire l’ordinamento politico attuale con un nuovo ordinamento egemonico basato sul consenso. Questa è l’unica possibilità per lo sviluppo di una base ideologica attraverso gli sforzi intellettuali che sono connessi ai movimenti rivoluzionari.
Credo che questo possa accadere solamente conquistando la società civile e smantellando le basi dei regimi attuali, compiti non semplici anche negli ambienti politici più repressivi. Tenendo conto della situazione attuale, questo non dovrebbe essere fatto attaccando frontalmente lo Stato, ma piuttosto smantellando meticolosamente i termini come “stabilità”, termini che dovrebbero essere sostituiti con ideologie rivoluzionarie più potenti, meccanismi di unione tra i movimenti rivoluzionari e i loro possibili alleati nella società.
Come affermava lo stesso Gramsci, l’uso della coercizione aumenta esponenzialmente quando un sistema politico si trova nelle ultime fasi della propria decadenza, o quando un nuovo ordinamento si sta affermando. Nel Mondo Arabo, l’ordinamento politico attuale sta attraversando le ultime fasi della propria decadenza, causata dalle proprie contraddizioni interne e dalle incoerenze ideologiche. Tuttavia questo processo di decadenza non è accompagnato dalla nascita di un nuovo ordinamento politico a causa di altre debolezze strutturali e ideologiche. Per poter superare le proprie debolezze, il movimento rivoluzionario, poco chiaro proprio come sembra lo stesso termine che lo definisce, deve sviluppare un carattere unitario e strutturato con un programma ideologico ben definito.