Corno d’Africa: Etiopia, l’ultima colonia cinese
[Reportage in due parti dal Corno d’Africa. Del viaggio di Angelo Calianno abbiamo già pubblicato una serie di immagini, qui e qui. A questo indirizzo il suo blog personale.]
Sono due i grandi errori che quasi tutti facciamo quando si parla di Africa, il primo è considerarla tutta uguale, un’unica nazione, tanto che vi verrà chiesto ad ogni ritorno da un vostro viaggio: “come era l’Africa?”
Risposta impossibile perché l’Africa è un continente talmente vasto che paragonarne gli abitanti e i territori sarebbe come mettere a confronto la Sicilia con la Norvegia.
Altro errore è considerare l’Africa come il paradiso naturale che ci mostrano nei documentari, non lo è più, o perlomeno questi spazi si stanno restringendo a vantaggio di pochi.
Il Corno d’Africa concentra tutte queste differenze in pochi Stati, questo è il lato Est del continente.
In 12 anni di viaggi e reportage in Africa non ho mai trovato uno Stato che fosse simile all’altro, ognuno fortemente diverso e con una sua identità di popolo e cultura; nel Corno d’Africa la differenza tra Stato e Stato è ancora maggiore e, all’interno delle stesse nazioni, spesso le tensioni tra clan sono ancora molto palpabili.
Le guerre più atroci e violente si sono concentrate quasi sempre ad est, Eritrea contro Etiopia, la guerra in Somalia, quella in Sud Sudan, il genocidio in Rwanda.
Le cicatrici sono ancora vive, eppure c’è uno Stato che è stato inserito nella lista dei paesi Africani emergenti per la sua democrazia e progresso: l’Etiopia.
Ma questo nuovo progresso da chi è fornito? E la gente locale, quella fiera delle varie tribù, la gente dell’unico Stato africano a non essere mai stato colonizzato, come vive tutto questo?
L’immagine da “documentario” degli Stati africani qui è quanto mai sbagliata, le città etiopi, come peraltro tante altre località africane, sono affascinanti, colorate ma trafficatissime e molto inquinate da automezzi degli anni ’50 e ’60 alimentati con carburanti mal raffinati.
L’immondizia non viene mai raccolta, i contenitori dove buttarla sono inesistenti, viene accumulato tutto ai lati delle strade e dopo gli si dà fuoco.
Questo non era un grave problema trenta anni fa, quando i rifiuti erano pressoché inesistenti, ma il progresso ha portato oggi plastica, metalli, componenti hi-tech. Nessuno però ha fornito un’adeguata istruzione o attrezzature per smaltire tutto questo, e quindi rimane tutto qui.
Alcune zone, specialmente nelle “no man’s land” ai confini tra i vari Stati, diventano immense discariche a cielo aperto dove animali vivi mangiano i resti di quelli morti e i bambini rovistano per cercare qualcosa da portarsi a casa.
Addis Abeba è oggi una città moderna e sventrata, le strade sono completamente aperte, si scava e si costruisce ovunque, quasi tutta l’ingegneria civile in Etiopia e nell’Africa dell’Est è in mano a compagnie cinesi, le gare d’appalto non esistono più.
I colossi cinesi arrivano con denaro contante con cui corrompono i funzionari per garantirsi gli appalti dei lavori. Oggi ponti, strade, centri commerciali, ferrovie, tutto e ovunque, è in mano loro.
Quello che potrebbe essere un vantaggio per i lavoratori africani in realtà non porta loro alcun beneficio perché anche la mano d’opera (80%) è cinese. Una manodopera che ora comincia a scarseggiare e quindi molti degli operai provengono dalle carceri, i famosi “Laogai”.
Da molti statisti questa è stata denominata ‘nuova colonizzazione silenziosa’.
L’Etiopia è uno dei Paesi più moderni dell’Africa orientale, ma a vantaggio di pochi, l’83% della popolazione vive ancora nelle zone rurali in case di lamiera su terra battuta e il progresso ha portato un nuovo triste fenomeno: la mendicanza.
Per un bianco è quasi impossibile riuscire a camminare senza che qualcuno si precipiti ad “aiutarlo”, molti ragazzi cercano di racimolare soldi offrendosi come guide, accompagnatori, facchini, qualsiasi cosa pur di ottenere una mancia.
Questo sta portando molti ragazzi a non andare più a scuola ed è impossibile biasimarli: uno stipendio alto in Etiopia raramente supera i 400 dollari mensili, con le mance si può guadagnare anche 50, 100 dollari al giorno se ci si apposta fuori dagli alberghi giusti dove sfortunatamente anche la prostituzione dilaga.
Parlo con uno dei ragazzi che mi insegue da giorni per capire come vive:
“Sei di Addis Abeba? Dove vivi ora?”
“Sono di un villaggio ad est vicino Nazret, ora vivo a casa di un amico, mi sono spostato ad Addis Abeba perché qui è più facile fare soldi“.
“Fare soldi, esattamente come cerchi di guadagnare?”
“Qualsiasi cosa, accompagno i turisti, faccio da guida, li porto nei posti giusti, a volte mi faccio comprare dei libri dicendo di essere uno studente e poi d’accordo con il libraio riporto indietro i libri e dividiamo la quota“.
“Questo non è rubare, secondo te?”
“No, rubare è mettere le mani direttamente nelle tasche a qualcuno, noi qui prendiamo questi soldi come aiuto perché siete più ricchi, è un modo per aiutarci, tutto quello che indosso mi è stato regalato da qualche turista, anche tu dovresti darmi qualcosa o almeno comprare un po’ di Ganja [marijuana, NdA].”
Provare a spiegare a Kidane che questo non è un modo corretto per vivere è stato inutile, dal suo punto di vista questo tipo di guadagno è perfettamente logico, dopo un po’ di tempo in Africa si può comprendere il perché.
Ovviamente non tutta la popolazione è dedita ad espedienti, il cuore vero della gente come al solito si trova nelle zone rurali, quelle più povere ma ospitali dove si vive di pastorizia e raccolta del sale che avviene ancora utilizzando il dorso di cammelli.
Incontro un anziano signore e davanti a un caffè mi racconta:
“Io ho combattuto prima contro gli italiani a Nord, nella battaglia di Axum che tutto il mondo ricorda, e poi contro l’Eritrea, eravamo un popolo fiero ma ora le nuove generazioni vedono solo questo” mi dice indicando i nuovi grattacieli e centri commerciali.
“Vedi, è impossibile per questi ragazzi pensare di non avere qualcosa quando vedono grattacieli, macchine lussuose, uomini con abiti su misura mentre qui in tantissimi luoghi non si mangia per giorni: tu non faresti la stessa cosa? La loro domanda è: perché a me no?”
Difficile se non impossibile controbattere alle parole dell’anziano combattente, molte sono le campagne in atto rivolte a turisti e viaggiatori sul non dare mance, quello che a noi a volte sembra un gesto gentile e dovuto sta diseducando quasi un intero continente, sempre in attesa di un aiuto che non potrà sempre arrivare. Un vecchio missionario italiano in Sierra Leone una volta mi disse:
“La chiamiamo sindrome di Babbo Natale, tutti aspettano un regalo, aspettano un aiuto se qualcosa si guasta o se il cibo scarseggia; le ONG alimentano questo discorso da anni, lavorano per qualche mese e poi vanno via non pensando ai danni che produce questo tipo di educazione ad intermittenza. Noi viviamo qui, io ci vivo da 45 anni, ci ammaliamo con loro e soprattutto cerchiamo di insegnare a cavarsela da soli, forse è arrivato il momento che tutti dicano che Babbo Natale non esiste.”
[Fine della Parte I, per la parte II leggi qui ]
Molto interessante… sono stato in Etiopia ad agosto e ho avuto la stessa percezione… ottimo articolo
Ti ringrazio Silvano,
credo che quello che ho scritto non si sappia molto perchè molti dei turisti in Africa viaggiano con tour organizzati e quindi non percepiscono tanto di quello che accade.
gli italiani mi ricordano la pubblicità di un famoso tour operator ” turista fai da te?? ai ai ai ”
quelli che viaggiano con i tour organizzati non è che percepiscono poco dei luoghi,non percepiscono proprio nulla!e se lo percepiscono è solo un teatrino fatto a doc per i turisti.
un saluto da uno “zingaro”.