24 Novembre 2024

Qatar: immigrati, sudore e sangue nel Paese più ricco del mondo

Durante il suo recente viaggio in Medioriente, il PM Enrico Letta ha ribadito il suo impegno per i diritti umani in … Russia. Non ha speso una parola per le condizioni inumane dei lavoratori immigrati nei Paesi della regione, in particolare in Qatar. Eppure, questo emirato non è un esempio per il rispetto dei diritti dei lavoratori, in special modo per quelli che stanno lavorando nei cantieri delle strutture che accoglieranno la Coppa del Mondo 2022 di calcio.

Il Qatar, il Paese più ricco al mondo per reddito pro-capite, è uno tra quelli in cui le condizioni degli immigrati sono le peggiori. Diverse organizzazioni di difesa e di promozione dei diritti umani hanno denunciato le condizioni di lavoro degli immigrati qualificandole come forma di schiavitù.

Su diversi piani il Qatar, piccolo Paese del Golfo, svolge un’attività inversamente proporzionale all’estensione del suo territorio o del volume della sua popolazione autoctona. Per perseguire questa politica, usa diversi mezzi. Primo fra tanti, l’emittente Al Jazeera, che ha dimostrato grande professionalità in più occasioni, in particolare durante le rivoluzioni che hanno portato alla caduta di regimi corrotti e spietati in diversi Paesi arabi.

Sul piano diplomatico, i negoziati internazionali di Doha sulla liberalizzazione del commercio mondiale, seppure falliti, hanno dato al Paese un’esposizione mediatica globale per diversi anni. Sul piano sportivo sponsorizza squadre in diverse discipline, tra cui le più famose del mondo, in particolare nel calcio. Nell’ultimo decennio ha ospitato una media di tre eventi sportivi a carattere internazionale. Sarà dunque il Qatar ad ospitare la Coppa del Mondo dopo il Brasile.

Sul piano scientifico, lo Stato del Qatar ha firmato contratti con molte università straniere, che hanno aperto sedi a Doha, la capitale. Inoltre, il museo di arti islamiche ha già fama internazionale grazie alle sue opere provenienti da diverse parti del mondo.

Tutto questo potrebbe far pensare che il Qatar sia un Paese in cui tutti vivono in pieno godimento dei propri diritti. La realtà dietro a questa bella immagine è invece tutt’altro che rosea per i lavoratori immigrati. Loro hanno contribuito alla prosperità di questo Paese, ma ne rimangono esclusi.

Alma Safira scrive su Reset.it:

I cittadini più ricchi del mondo vivono in Qatar accanto a quelli che ormai vengono considerati tra i più sfruttati. L’emirato ha il PIL pro capite più alto del mondo, oltre 100mila dollari secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, grazie alle 77 milioni di tonnellate di GNL (gas naturale liquefatto) che il Paese produce ogni anno dalle terze riserve di gas più grandi del mondo.

Secondo i dati del Rapporto 2013 sulla ricchezza in Medioriente pubblicato dalla Qatar Financial Center Authority in collaborazione con Campden Wealth, vi sono più di 4mila milionari in Qatar, su una popolazione locale di circa 300mila qatarini, e 290 cittadini sono ultraricchi ossia hanno un patrimonio di oltre 30 milioni di dollari.

Accanto a questa ricchezza, al contrario, le cattive condizioni di lavoro degli immigrati sono state denunciate da diverse organizzazioni della società civile internazionali. Secondo la Federazione internazionale dei diritti umani, Fidh:

Le condizioni di lavoro dei migranti, in particolare nei progetti relativi alla Coppa del mondo, sono così scarse che a volte assomigliano al lavoro forzato. Le pratiche incriminate comprendono la servitù per debiti, la confisca dei passaporti da parte dei datori di lavoro, il sovraffollamento abitativo e l’insalubrità delle strutture igieniche per i lavoratori, la mancanza di contratti e riduzioni arbitrarie degli stipendi. I lavoratori sono anche esposti a rischi mortali per la costruzione delle infrastrutture sportive a causa delle temperature che a volte raggiungono i 55°C. Secondo dati forniti dal governo del Nepal, 191 lavoratori di quel Paese sono morti a causa di queste condizioni di lavoro nel 2010, e 162 nei primi 10 mesi del 2011. Inoltre, la legge vieta ai lavoratori migranti in Qatar di formare sindacati.

Dal canto suo, Amnesty International rivela in un rapporto casi di lavoratori ricattati dai datori di lavoro. I ricercatori dell’organizzazione per i diritti umani hanno visto coi loro occhi 11 uomini firmare documenti di fronte a funzionari del governo in cui dichiaravano il falso – ovvero, di aver ricevuto il salario – per riavere indietro i passaporti e poter così lasciare il Qatar.

Molti lavoratori si sono lamentati delle cattive condizioni di salute e a proposito degli standard di sicurezza, denunciando in alcuni casi la mancata fornitura dei caschi protettivi. Un rappresentante del principale ospedale della capitale Doha ha dichiarato nel corso dell’anno che, nel 2012, oltre 1000 persone erano state ricoverate nel reparto traumatologico dopo essere cadute dalle impalcature. Il 10 per cento dei ricoverati era diventato disabile e il tasso di mortalità era definito “significativo”.

Roberta Ragni ricorda su GreenMe che:

Questi moderni schiavi alloggiano in baracche fatiscenti, in condizioni igieniche pessime, fanno turni massacranti, vengono privati dei loro passaporti e spesso non sono pagati. E muoiono a centinaia nei cantieri per via delle scarse misure di sicurezza. Le cose stanno solo per peggiorare, dal momento che saranno necessari tra 500.000 e un milione di lavoratori aggiuntivi da Nepal, India e altri paesi asiatici e del Sud Africa per le infrastrutture della Coppa del Mondo. È un aumento dell’organico di oltre il 50% e se non ci sarà alcuna riforma salirà immancabilmente anche la percentuale di incidenti mortali.

“Più di 4000 lavoratori rischiano di perdere la propria vita nei prossimi sette anni di costruzione degli impianti se non si interviene per dare diritti ai lavoratori migranti. Il numero di morti tra coloro che lavorano nei cantieri potrebbe salire a 600 in un anno – quasi dodici in appena una settimana”, spiega Sharan Burrow, Segretario Generale dell’International Trade Union Confederation.

Alla base di queste ingiustizie si trova una legge arcaica, conosciuta sotto il nome di Kafala. Nanopress spiega in cosa consiste questa legge che vige in molti paesi del Golfo arabico:

I nuovi schiavi sono legati al proprio datore di lavoro dalla Kafala (Garanzia), un sistema di reclutamento che sembra in tutto e per tutto l’acquisizione di uno schiavo: un ufficio di collocamento nel Paese d’origine trova un datore di lavoro disposto a sponsorizzare il lavoratore immigrato, che da quel momento non può cambiare posto di lavoro per tutta la durata del contratto.

Le pressioni internazionali (da parte dell’ONU, dell’UE, delle ONG umanitarie, di organizzazioni sindacali e di singoli calciatori) si moltiplicano sul Qatar affinché le condizioni dei lavoratori stranieri migliorino, e sulla FIFA per chiedere alla stessa di riassegnare i mondiali di calcio del 2022.

L’International Trade Union Confederation (ITUC), in particolare, chiede la fine del Kafala, l’adozione di leggi che proteggano i lavoratori migranti e conferiscano loro il diritto all’attività sindacale, di cambiare datore di lavoro e di lottare per salari migliori. Non senza ostacoli, come si è visto recentemente in Mauritius, secondo quanto fa sapere l’organizzazione sindacale:

Otto rappresentanti di sindacati locali e internazionali sono stati arrestati dopo aver manifestato pacificamente all’esterno del Congresso FIFA alle Mauritius per chiedere alla Federazione di rimettere ai voti l’assegnazione al Qatar dei Mondiali di calcio 2022.

Da anni il governo del Qatar fa promesse di cambiamento. Ma le riforme tardano e intanto nei cantieri in cui avrà luogo la Coppa del mondo si continua a morire.

[Pubblicato in cross-posting con Global Voices in Italiano]

Abdoulaye Bah

Cittadino italiano di origine guineana, in pensione dopo aver lavorato all’ONU. Rivendica di essere il primo clandestino ad entrare in Italia più di mezzo secolo fa. Ha tradotto o scritto oltre 1600 articoli in francese per globalvoices.org dal 2008, molti altri in inglese e italiano. È creatore e direttore del blog e della pagina konakryexpress.org che tratta dei crimini commessi nel suo paese di origine durante la dittatura del primo presidente Sékou Touré.

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