Africa, al bivio tra crescita e involuzione

Non tendere l’arco oltre la lunghezza del tuo braccio”, recita un proverbio africano. E l’Africa, sta tenendo il passo del suo inarrestabile cambiamento nella giusta misura?

Fornitore di punta di materie prime (con circa il 40% di quelle presenti al mondo, nonché dei prodotti agricoli e delle riserve energetiche del pianeta, secondo l’istituto di ricerca Chatham House) il Continente Nero non sta forse diventando troppo dipendente dalle esportazioni esterne nei singoli settori della sua economia?

Essenzialmente, secondo quanto dichiarato dal Vice-Presidente dell’Unione Africana (UA), Erastus Mwencha  “con una base di 300 milioni di consumatori, costituisce un grande mercato in grado di avviare un processo di sviluppo”.



Ad essere certo che in Africa ci siano settori e aziende molto promettenti è Nick Price, gestore del fondo FF Emerging Markets Fund di Fidelity Worldwide Investment: “Vediamo il caso della Nigeria (primo produttore continentale di petrolio ma con fortissimi problemi di povertà interna, ndr) – ha detto – il Paese più popoloso dell’Africa: 124 milioni di abitanti nel 2000, saliti a oltre 170 milioni nel 2012, con un Pil pro capite passato nello stesso periodo da 700 dollari a di 1.500 dollari. Dato che la propensione marginale al consumo aumenta con l’incremento del reddito, in Nigeria cresce la domanda di beni di consumo, quindi si creano notevoli opportunità per le aziende meglio posizionate in queste aree”.

Lagos, che della Nigeria è la capitale economica e commerciale, è una delle sette città con il tasso di crescita più veloce al mondo: è previsto che entro il 2015 sarà la terza metropoli più grande del pianeta. Uno specchio emblematico di come in Africa la crescita della popolazione viaggi a ritmi incontrollabili: l’incremento demografico potrebbe addirittura portare a quota 11 miliardi nel 2100.

Fra i paesi in crescita economica c’è l’Africa sub-sahariana, destinata ad un incremento medio annuo del 5% fino al 2015, almeno secondo l’ultimo rapporto della Banca Mondiale Africa’s Pulse. Ed entro il 2020 si conteranno davvero sulle dita i Paesi africani non interessati da un qualche sfruttamento minerale.

Bene anche i paesi dell’area CEMAC, ovvero la Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (Camerun, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana e Ciad): il tasso medio annuo di crescita è stimato superiore al 6% fra il 2014 e il 2016.

Tuttavia la povertà delle popolazioni locali non diminuisce, anzi. Non pochi sono gli analisti ad aver sottolineato come, prendendo per esempio il Sudafrica che fa parte del blocco dei Paesi BRICS (insieme a Brasile, Russia, India, Cina: 3 miliardi di abitanti tutti insieme, un PIL complessivo che tocca quota 14.000 miliardi dollari e circa 4.000 miliardi dollari di riserve in valuta estera) il Paese, con strategie di privatizzazione e riduzione della spesa pubblica, ha visto aumentare, e non decrescere, le disuguaglianze. Infatti, se in Sudafrica ci sono settori in decisa espansione come quello delle rinnovabili (il governo di Pretoria ha varato un piano per l’installazione di 42 nuovi gigawatt di potenza elettrica entro il 2030, il 42% dei quali sarà costituito da progetti a energia verde), siamo ancora lontani da un benessere diffuso.

Se poi guardiamo all’agricoltura africana – che vale da sola il 30% del PIL – vedi “Africa Agriculture Status Report: Focus on Staple”, lo studio effettuato da AGRA, – si verifica come ci sia una diminuzione della produzione alimentare pro-capite e uno scarso investimento nella ricerca (si parla di circa 70 ricercatori per milione di abitanti).

Insomma, anche nonostante il “ruggito” dei “leoni africani” (Costa d’Avorio, Ghana, Kenya, Nigeria, Sudafrica, Tanzania e Zambia), iscritti a pieno titolo nelle economie emergenti del pianeta, molti sono gli interrogativi sul futuro prossimo venturo dell’Africa.

A pesare su uno sviluppo “autonomo” del Continente Nero – e che riapre viceversa grossi interrogativi sulla lotta all’esclusione sociale – è l’ombra lunga del Dragone (il volume “Safari cinese. Petrolio, risorse, mercati. La Cina conquista l’Africa” – Edizioni O barra O, pp.108, euro 12,50 – ha fatto da apriprista alla riflessione in merito): la Cina, fra i maggiori partner commerciale dell’Africa (penetrata nel mercato in vari settori come quello del petrolio, delle materie prime, delle telecomunicazioni, delle infrastrutture e delle costruzioni, secondo una precisa politica di crediti agevolati), conta oggi circa 2000 aziende attive, e 8000 progetti di cooperazione; il valore degli scambi è cresciuto del 28%. Ed ora il Celeste Impero ha anche definito un nuovo programma di cooperazione con Benin, Burkina Faso, Ciad e Mali, i quattro principali paesi africani produttori di cotone ( C4).

La diversificazione economica a più alto valore aggiunto e con attività ecologicamente sostenibili – ha detto Jayati Ghosh, professore di economia alla Jawaharlal Nehru University di New Delhi – rimane la chiave per la crescita e lo sviluppo non solo dei Paesi BRICS, ma anche degli altri Paesi in via di sviluppo”.

E se “diversificare” sembra la parola d’ordine che emerge dallo studio Economic diversification in Africa, condotto dall’Osaa (Ufficio del Consigliere speciale sull’Africa presso le Nazioni Unite) e dal progetto di sostegno per l’iniziativa d’investimento in Africa del Nepad/Oecd, nonché dal report  African Economic Outlook 2013, ci si continua comunque ad interrogare sul modo migliore in cui l’Africa, in questo 2014, potrà centrare il bersaglio di una crescita maggiormente equa e democratica.

Elena Paparelli

Giornalista freelance, lavora attualmente in Rai. Ha pubblicato tra gli altri i libri “Technovintage-Storia romantica degli strumenti di comunicazione” e “Favole per (quasi) adulti dal mondo animale”.