[Traduzione a cura di Gaia Resta dell’articolo originale di e
Quando con gli aiuti degli Stati Uniti è stato costruito un argine sull’isola di Vanua Levu – facente parte delle Figi – con lo scopo di proteggere la popolazione dall’innalzamento del livello del mare, quest’argine si è comportato come una diga, accumulando acqua e detriti a ridosso della costa.
In un altro caso verificatosi in Bangladesh, la World Bank ha erogato 400 milioni di dollari per l’ampliamento delle vecchie barriere poste lungo la costa per contrastare le inondazioni provocate dai fenomeni climatici e l’aumento del livello del mare. Ma, questa operazione sta provocando nuovi problemi tra cui l’allagamento dei campi e la perdita di fertilità del suolo.
In tutto il mondo, l’industria che si occupa di adattamento al clima a volte impone soluzioni che esacerbano i problemi che si propongono di risolvere. Spesso, ciò avviene a spese di comunità vulnerabili.
Questa è una storia che si ripete a livello globale, anche ad Aotearoa in Nuova Zelanda dove i progetti di adattamento imposti dall’alto possono accrescere la vulnerabilità delle comunità rispetto al clima. Il nostro lavoro si prefigge di riempire un vuoto critico stabilendo un sistema di monitoraggio e valutazione per identificare il rischio di maladattamento.
Il maladattamento è un problema crescente
Nell’ultimo report curato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sono emerse preoccupazioni circa le conseguenze impreviste dell’adattamento al clima. Gli autori hanno osservato che:
Aumentano le prove relative al maladattamento in alcuni settori e sistemi, evidenziando come risposte inadeguate al cambiamento climatico producano un persistere sul lungo termine della vulnerabilità, dell’esposizione e di rischi difficili e costosi da modificare e come esasperi le diseguaglianze esistenti rispetto alle popolazioni indigene e ai gruppi vulnerabili.
In genere il maladattamento si riferisce alle conseguenze accidentali di misure implementate con la buona intenzione di ridurre la vulnerabilità al clima. Ma include anche le conseguenze negative derivanti da decisioni che favoriscono soluzioni di tipo tecnico rispetto ad un approccio più olistico.
Quello dell’adattamento al clima è un processo che non è né neutrale né apolitico. Può perpetuare approcci problematici, tra cui pratiche di tipo coloniale rispetto alle terre e l’esclusione delle opinioni dei popoli indigeni.
Questo può portare a una distribuzione delle risorse inconsistente, erodere una governance democratica e compromettere la sovranità indigena, aggravando le fragilità preesistenti. Può, inoltre, minare l’adattamento dal basso guidato dalle comunità e concentrare l’attenzione sulle agende nazionali assorbite dalla politica internazionale.
Affrontare queste strategie maladattive è fondamentale per raggiungere la giustizia climatica.
La situazione ad Aotearoa in Nuova Zelanda
In Nuova Zelanda, la ricerca sull’adattamento climatico è ancora in fase embrionale.
Molti progetti di adattamento sono in via di ideazione e implementazione in tre categorie chiave: la protezione dalle inondazioni (tenendo sotto controllo l’erosione senza costruire altri argini), le soluzioni basate sulla natura (con la piantumazione di alberi e il ripristino delle aree umide) e la prevenzione dei rischi (tramite il ritiro controllato e i frangiflutti).
Questi tentativi spesso rientrano nei DAPP, “percorsi di adattamento dinamico”. Ciò significa che la pianificazione deve essere flessibile per adattarsi alle nuove informazioni, man mano che queste sono disponibili.
Tuttavia, in un recente simposio sull’inventario decennale relativo a quest’approccio sono stati sollevati numerosi punti critici, tra i quali:
- la necessità di coinvolgere maggiormente i Māori e le comunità locali nel corso del progetto
- la condivisione della governance tra tutti i livelli dell’amministrazione
- la soluzione degli sbarramenti ai sussidi per l’implementazione
- ed evitare investimenti che perpetuano i problemi nel tempo.
Consideriamo, per esempio, la strategia di prevenzione dei rischi lungo la costa da Clifton a Tangoio nella Hawke’s Bay. Questo progetto è nato con lo scopo di individuare le aree più a rischio di inondazioni costiere ed erosione.
È stato ostacolato dall’ambiguità della politica e da problemi di finanziamento. Attualmente questa regione si trova a parlare di ritiro controllato in quanto il territorio è stato classificato come inabitabile dopo il ciclone Gabrielle.
Altri hanno osservato la mancanza di sinergia tra le attività di adattamento climatico pianificate e quelle guidate dalle comunità. La misure gestite dal Comune spesso inasprivano la vulnerabilità al clima, specialmente per le comunità già residenti in aree svantaggiate.
Affrontare il maladattamento
Ci siamo riuniti in quanto studiosi e professionisti di origine Māori, Pasifika, Pākehā e tauiwi per sviluppare uno strumento per la valutazione del maladattamento da utilizzare in Nuova Zelanda.
Lo scopo di tale strumento è raggiungere sostenibilità e giustizia che siano autentiche. Valuntando il rischio di maladattamento, getta le fondamenta per un sistema di monitoraggio nazionale con funzioni sia normative che formative.
Il nostro obiettivo è illuminare e, idealmente, correggere gli impatti sociali ed ecologici dell’adattamente climatico che sono stati sottovalutati, ed anche affrontare i limiti degli attuali sistemi di controllo. Questi ultimi spesso trascurano la giustizia e il benessere locali per concentrarsi su progetti pianificati in un’ottica centralizzata il cui scopo è ridurre i rischi identificati dalle società di ingegneria e assicurazioni.
I risultati preliminari ottenuti dall’analisi di 79 progetti di adattamento mostrano come il ritiro controllato, la protezione strutturale contro le inondazioni e i progetti di sviluppo per la relienza al clima sono a maggior rischio di maladattamento.
Per essere giusto, l’adattamento al clima richiede un approccio contro-intuitivo. Dovrebbe dare la priorità al benessere delle comunità ed esaminare i rischi causati sia dal cambiamento climatico che dall’adattamento stesso.
Tale prospettiva non sminuisce la realtà degli impatti climatici. Li contestualizza all’interno di una complessa storia di sradicamento degli indigeni, alterazione forzata del paesaggio e delle crisi sociali tuttora in corso.
Affrontando la minaccia del maladattamento, speriamo di promuovere un modo di pensare e pianificare che vada oltre le soluzioni meramente tecnologiche e cominci a riparare la relazione tra noi e il pianeta e tra tutti noi.
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