Salute mentale, la poesia africana come atto di denuncia e terapia
A word does not rot unless it is carried in the mouth for too long, under the tongue (Una parola non marcisce, a meno che non venga tenuta in bocca, sotto la lingua, troppo a lungo) – Yvonne Vera
Quanto può essere utile, essenziale, magari anche definitivo, il ruolo della parola nell’affrontare il disagio mentale? Nell’esprimere, scavare, portare a galla quel male che scava dentro?
Scegliere di usarla, quella parola, è un atto di coraggio, sicuramente. Quello scatto che supera una barriera e che offre un’alternativa. Per molti, una vera e propria tecnica di sopravvivenza, per evitare di “marcire dentro”.
Voci Globali da qualche anno sta lavorando nella ricerca e valorizzazione di giovani poeti e poetesse africane, interpreti di slam e spoken word che usano, appunto, la parola per raccontare l’alienazione mentale.
Perché l’Africa? La popolazione africana è la più giovane in assoluto, nel 2022 circa il 40% aveva 15 anni o meno, rispetto a una media globale del 25%. E, in circa 40 Paesi africani, oltre il 50% della popolazione ha meno di 20 anni.
Al contrario, nei 30 Paesi più ricchi al mondo, meno del 20% della popolazione ha meno di 20 anni. Perché quella che si vuole far passare per criticità, l’emigrazione verso l’Occidente, può essere invece un’opportunità. In ogni caso è un segnale di quanto questa gioventù non sia disposta a stare ad aspettare il tempo che passa e nel frattempo sperare in un futuro migliore.
Ma anche perché, soprattutto negli ultimi anni, nel Continente sono emerse voci poetiche di grande valore e che hanno superato i confini territoriali con tematiche forti e importanti. Tra queste, appunto, la salute mentale. Un discorso che, evidentemente, riguarda tutti.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità circa un miliardo di persone al mondo soffre di un disturbo mentale. Di questi il 14% sono adolescenti. L’ansia è la malattia mentale più diffusa al mondo. Ma anche depressione, schizofrenia, disturbo bipolare o distimia (disturbo dell’umore o depressione cronica) sono molto frequenti.
A livello globale, la malattia mentale colpisce più donne (11,9%) che uomini (9,3%). E anche il tasso di mortalità è più alto nelle persone con disturbi mentali. Si stima che i disturbi mentali siano attribuibili al 14,3% dei decessi in tutto il mondo, ovvero a circa 8 milioni di decessi ogni anno. I dati dell’ultimo report dell’OMS sono allarmanti e contengono solo alcuni accenni agli effetti della pandemia che non ha certo migliorato le cose.
E in Africa? Prima della pandemia l’OMS stimava 116 milioni di persone affette da problemi mentali (erano 53 milioni nel 1990). E cresce il numero di giovani adolescenti che soffrono di tali disturbi. Si calcola che nella regione sub-sahariana questo riguardi un adolescente su sette. Aumentano, inoltre, i casi di suicidio. Circa 11 persone su 100.000 si tolgono la vita ogni anno nella regione africana. Il tasso più alto al mondo: la media globale è di nove persone su 100.000. Inoltre, l’Africa ospita sei dei dieci paesi con il tasso di suicidio più alto al mondo.
Ma la situazione non è meno grave nel nostro Paese. Dai dati raccolti dalla Fondazione BRF – Istituto per la Ricerca in Psichiatria e Neuroscienze risulta che dal 1° gennaio di quest’anno si contano 608 suicidi e 541 tentati suicidi. La media è di 4.000 all’anno e circa 500 sono giovani. Con il disagio mentale aumenta anche l’uso di sostanze e di alcol – per l’Africa si parla di un tasso di consumo episodico fino all’80% tra gli adolescenti dai 15 ai 19 anni – e così, in un letale circolo vizioso, si precipita sempre più a fondo.
Oltretutto a questa situazione non fa fronte un’adeguata assistenza. Secondo i dati a disposizione, nel Continente ci sono meno di due operatori di salute mentale ogni 100.000 persone, la maggior parte dei quali sono infermieri psichiatrici e assistenti infermieristici nel campo della salute mentale.
Senza contare lo stigma sul tema che ancora portano a modalità di reclusione ormai arcaiche, come l’anacronistica caccia alle streghe in Ghana. La risposta all’aumento dei casi di disturbi mentali di vario tipo risiede in fattori socioeconomici: disuguaglianza di reddito, povertà, disoccupazione, urbanizzazione. Ma anche a conflitti, instabilità politica, sfollamenti dovuti non solo a guerre ma agli effetti del cambiamento climatico. Traumi e stress post traumatici che spesso fanno fatica a ricomporsi.
Ed ecco che la parola assume una funzione sociale, oltre che politica. Denuncia e terapia. Perché, come affermava Franco Basaglia: il problema è riconoscere la follia là dove essa ha origine, nella vita.
Negli ultimi anni tantissime sono state le pubblicazioni – narrativa, poesia, saggi – di autrici e autori africani che hanno affrontato questo argomento. Determinando una narrazione – ognuna nella sua forma – che non solo fa capire quanto il problema sia forte e sentito ma che mostra una strada per capire, interpretare. E magari agire. La consapevolezza delle giovani generazioni su questo tema si manifesta nei tanti blog, campagne, azioni collettive, programmi radiofonici e altre forme d’arte – oltre la poesia – che affrontano la questione e la portano a galla.
Il 10 ottobre si celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale. E quest’anno il tema è “La salute mentale è un diritto umano universale”.
In quella data Voci Globali concluderà idealmente un triennio dedicato al tema, con il progetto One Global Voice (progetto che, annunciamo, non abbandoneremo). Lo faremo con una conferenza dal titolo: Parole in folle. La poesia come terapia. Perché appunto quello è il nostro focus. Scoprire a capire come la parola (e la voce) possano diventare – consapevolmente o meno – percorso di cura. Ne discuteremo con quattro professionisti di diversi campi della cultura e del sapere.
Anticipiamo – in poche righe – il loro intervento
Marilena Parlati – professoressa ordinaria di Letteratura inglese moderna – DiSLL UniPD
Nel 1915, il capitano W. H. R. Rivers porta nell’ospedale militare scozzese di Craiglockhart la pratica freudiana per “curare” soldati e ufficiali affetti dal cosiddetto “shell-shock” (con il mandato di rispedirli al fronte al più presto). Per lui, la narrazione del trauma è il mezzo per superarlo, in particolare attraverso la parola poetica, che più di ogni altra dà materialmente e letteralmente voce alla vulnerabilità e che ha aiutato a trovare una voce inconfondibile in poeti come W. Owen e S. Sassoon.
La poesia poteva allora e ancora può aprire la strada alla vita, assicurare una resilienza ostinata a soggetti altrimenti marginalizzati e “rinchiusi”, spinti lontano dalla vista e dalla coscienza di chi “sta fuori”.
Cento anni dopo, di fronte a guerre, genocidi e violenze di ogni genere, la poesia offre ancora un canale potente per trovare voce. Soprattutto risuonando parole di giovani, di disperazione e di speranza, di solitudine e di solidarietà.
Gaia Caputi Iambrenghi – psicologa clinica, scrittrice
La mente si costruisce nel “dialogo” continuo tra il neonato e chi se ne prende cura stabilmente: un dialogo chiamato “sintonizzazione.”
Tramite questa “sintonia”, l’adulto costruisce i “barattoli delle parole”, dove racchiuderà ciascun gesto, umore e impulso del bambino, attribuendogli un nome e, quindi, un senso che il piccolo potrà portare con sé nell’esplorazione del mondo.
Allo stesso modo, da adulti, il terapeuta esplora i “barattoli delle parole” che il paziente porta con sé nel mondo, e aiuta a spolverarli, riaprirli, ridefinirli e a costruire nuovi nessi tra loro, traducibili in parole nuove.
La parola è quindi il nostro modo di interpretare il mondo e noi stessi. Noi siamo le parole che conosciamo per descriverci. E in un gioco di specchi possiamo usare quelle parole per cercare noi stessi negli altri, per farli vibrare con noi dello stesso brivido, dello stesso dolore. Oppure, sempre in un gioco di specchi, possiamo usare le parole per aiutare gli altri a cambiare il modo che hanno di narrare la propria storia, portandoli a riscriverla.
Rahma Nur – poetessa italo-somala
Audre Lorde dice che” la poesia non è lusso, è una necessità vitale alla nostra esistenza di donne”, dice anche che la poesia è “l’architettura portante delle nostre vite… getta un ponte sulle paure che abbiamo”.
La poesia per me è quel mezzo che mi ha aiutato e mi aiuta ancora ad esprimere i miei pensieri, a liberarmi dalle pene, a urlare le ingiustizie perché mi manca la voce a volte. Nella poesia ho trovato LA PAROLA, per determinare me stessa, ho trovato respiro, sollievo e cura, terapia per la mia anima. Infatti, essa erompe quando il dolore è troppo e non riesco a trattenerlo.
Dome Bulfaro – poeta, performer, artista visivo, cofondatore LIPS (Lega Italiana Poetry Slam)
Dieci consigli per produrre parole sane
Cura i semi delle parole
Semina parole nutrienti
Coltiva delle parole suoni e significati nutrienti
Coltiva un ascolto vivo delle parole
Dai il giusto peso alle parole che ascolti
Dosa ed esercita bene le parole che dici e che taci
Dosa ed esercita bene il silenzio eloquente
Salvaguardia le parole dai suoi parassiti
Metti il giusto sale nelle parole
Esalta il sapore delle parole
(da Ecopoeti in difesa della “bellezza antica” di ogni lingua di Dome Bulfaro)
Il 15 e il 16 ottobre, invece, vivremo direttamente la forza delle parole di alcuni tra i più rilevanti – non solo nel Continente africano, ma a livello internazionale – giovani artisti di spoken word e slam. Sul palco Poetra Asantewa (Ghana), Xabiso Vili (Sudafrica), Placide Konan (Costa d’Avorio) e la campionessa italiana 2023 di slam, Gloria Riggio.
Appuntamento il 15 ottobre a Padova, ore 20.30, Auditorium del Centro Culturale Altinate/San Gaetano, Via Altinate 71 e il 16 ottobre a Bologna allo spazio MET di Cantieri Meticci, ore 20.30, Via Gorky 6.
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