Haiti, quel lontano miraggio della sicurezza e di una vita normale

Haitivive in un incubo“, e nell’ombra. L’isola caraibica è devastata da un rincorrersi di crisi che pare inarrestabile, e per la popolazione, ostaggio a un tempo delle bande armate e di uno Stato fallito, ogni diritto fondamentale è ormai un miraggio.

Tra i più alti livelli di povertà estrema al mondo, sicuramente i più alti in America Latina, le epidemie di colera che tornano a correre per il Paese, i disastri naturali che continuano ad abbattersi contro la Terra delle alte montagne. E, ancora una volta, un rovinoso stallo politico che dall’assassinio nel 2021 dell’ex presidente Jovenel Moïse abbandona Haiti, brutalizzata, violenta e insicura come mai prima, nelle mani di centinaia di bande criminali in lotta per il territorio.

Solo tra gennaio e metà agosto di quest’anno, segnalano le Nazioni Unite, almeno 2439 cadaveri sono rimasti stesi per le strade dell’isola. Giustiziati, smembrati a colpi di machete, dati alle fiamme. Non meno di 902 sono i feriti.

Di Digital Democracy. In licenza CC su Flickr
Di Digital Democracy. In licenza CC su Flickr

A fine giugno aveva già superato quota mille il numero dei rapiti, stranieri compresi, sempre di più donne e bambini, che alle bande servono soprattutto a finanziarsi dietro ricatto o per altri guadagni tattici. E troppe sono le ragazze e le donne stuprate, spesso da gruppi – 49 solo lo scorso aprile, solo a Citè Soleil – perché la violenza sessuale si è fatta arma di controllo sulla popolazione terrorizzata.

Una ragazzina di 11 anni mi ha detto che cinque uomini l’avevano presa per strada. Tre di loro l’hanno violentata. Era incinta di otto mesi quando abbiamo parlato e ha partorito solo pochi giorni dopo. [..] Una donna ha raccontato che uomini armati hanno fatto irruzione in casa sua e l’hanno violentata. Sua sorella di 20 anni si è opposta con così tanta forza che l’hanno uccisa dandole fuoco. Poi hanno bruciato la loro casa“, Catherine Russell, direttrice esecutiva di Unicef, aveva parlato così di ritorno da una visita nel Paese, lo scorso giugno.

Poi ci sono i saccheggi, e le case che vanno a fuoco. E le strade in entrata e in uscita dalle città e dai quartieri contesi, sbarrate e mortali. Gli adolescenti sono reclutati quotidianamente, coinvolti nelle rapine, nei rapimenti, nelle estorsioni, e in ogni  altro tipo di attività criminale di interesse alle gang. I mercati, gli ospedali e le scuole sono obiettivo di attacchi armati, e chiudono. In alcune aree le bande controllano, e negano, persino acqua potabile, aiuti umanitari e servizi sanitari.

Così è catastrofe umanitaria. Già quasi 200 mila sono gli sfollati interni ad Haiti, molti altri in fuga dalla violenza hanno dovuto cercare rifugio oltre confine (quando lo hanno trovato, considerando che già 100 mila haitiani sono stati forzatamente e spesso abusivamente rimpatriati nel 2023). Con i servizi critici al tracollo, 5,2 milioni di persone hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria e 4,9 milioni stanno soffrendo una gravissima crisi alimentare.

Mentre la solidarietà internazionale è praticamente svanita, ogni giorno è peggiore di quello prima. Dall’inizio del discusso mandato di Ariel Henry, presidente (non eletto) e primo ministro ad interim della nuova Haiti che da due anni e più attende la sua transizione democratica, i numeri continuamente al rialzo raccontano di bande sempre più potenti, sempre più violente.

Haiti è affamata, ammalata e armata fino ai denti nonostante l’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite lo scorso ottobre.

Ormai l’80% del territorio della capitale Port-au-Prince è proprietà delle bande, che, ha dichiarato a Human Rights Watch un funzionario giudiziario haitiano, “erano e continuano ad essere armate dai partiti politici e dalle élite economiche per controllare la popolazione e gestire le elezioni e i loro monopoli. È la storia di Haiti, un ciclo infinito di violenza“.

Milioni di persone sono in trappola, private della libertà di movimento e di ogni idea di sicurezza. Lo Stato, intanto, non esiste. Non c’è più legge, né istituzione democratica che regga nel Paese.

Foto di Digital Democracy, in licenza CC su Flickr
Foto di Digital Democracy, in licenza CC su Flickr

Haiti è diventato un luogo in cui il diritto alla vita è banalizzato e dove crimini atroci vengono commessi impunemente ogni giorno. Il Governo non detiene più il monopolio della violenza legittima e intere regioni sono controllate da bande armate, alcune delle quali sono meglio armate ed equipaggiate delle forze di pubblica sicurezza“, dichiara a Voci Globali Marie Yolène Gilles, direttrice esecutiva dell’organizzazione di difesa dei diritti umani e promozione di leader responsabili tra gli haitiani Fondasyon Je Klere.

Con almeno 150 bande in controllo di quasi un terzo del territorio nazionale, dice, le libertà fondamentali sono gravemente minacciate, lo stato dei diritti delle donne è penoso. E anche l’accesso alla giustizia è negato, con i tribunali di Port-au-Prince – la più grande giurisdizione del Paese – fermi dal giugno 2021 e il numero delle detenzioni preliminari illegali che cresce vertiginosamente: “degli 11.753 detenuti, solo 1.904 sono stati effettivamente condannati, l’83,3% è rimasto in detenzione preventiva prolungata“.

È terra di nessuno, Haiti. “Le autorità statali non hanno adempiuto al loro dovere di proteggere, rispettare e sostenere i diritti umani – accusa Gilles – La libertà e la dignità sono il fondamento dei diritti umani e fungono da cartina di tornasole per verificarne lo stato attuale. E attualmente questo test rivela che la condizione dei diritti umani si sta deteriorando a un ritmo allarmante, e che si sta facendo poco per affrontare la crescente illegalità all’interno della società haitiana“.

Riferendosi agli stupri collettivi, ai rapimenti, alle violenze e alle aggressioni sessuali contro le giovani donne che “sono tragicamente comuni“, ci offre un’immagine che dà chiara l’idea di cosa sia oggi Haiti: “è inquietante come alcuni di questi atti atroci vengano registrati e condivisi sui social media da criminali armati a volto scoperto, sembra sfidino la polizia impotente ad agire contro questa crescente crudeltà“.

Tanto dovrebbe bastare per rendersi conto di quanto fondamentale sia, raccomanda Gilles, “rivedere la polizia nazionale per renderla più credibile davanti alla popolazione e più capace di svolgere la sua missione di proteggere e servire“.

Ma c’è ancora un tema che è indispensabile affrontare perché la sistematica violazione dei diritti umani sia compresa e mitigata, spiega la veterana dell’attivismo haitiano per i diritti umani, e cioè che “è necessario rafforzare la governance pubblica e combattere la corruzione“.

La cattiva gestione dei Fondi PetroCaribe è un chiaro esempio di questi problemi. Incredibilmente, la stragrande maggioranza dei funzionari pubblici non ha dichiarato il proprio patrimonio dopo aver lasciato l’incarico, come rivelato dal nostro sondaggio del 2019. Queste sfide richiedono un’attenzione urgente per ripristinare i diritti umani e lo stato di diritto“, denuncia sollecitando la comunità internazionale a supportare lo Stato haitiano anche nell’instaurazione di giusti processi, “principalmente sui fondi PetroCaribe, sui massacri di La Saline, Carrefour-Feuilles, Cul-de-Sac, Canaan, Artibonite, e sui casi di stupro“.

Foto di Digital Democracy, in licenza CC su Flickr
Foto di Digital Democracy, in licenza CC su Flickr

A definire il fallimento dello Stato, com’era prevedibile, intanto è arrivata la “giustizia” popolare. Disordini e scontri infuocano quotidianamente le strade della perla dei Caraibi.

Dal 24 aprile a metà agosto 2023, oltre 350 persone sono state vittime di linciaggio da parte della popolazione locale e di gruppi di autoproclamati vigilantes: 310 erano sospetti membri di gruppi criminali, uno era agente di polizia, gli altri solo comuni cittadini.

Il 26 agosto scorso è andato in scena un massacro: decine di fedeli protestanti in marcia per la città di Bethesda, guidati alla lotta armata contro le bande dal pastore Marco (alias Marcorel Zidor) della Evangelical Pool Church, sono finiti uccisi, feriti, torturati, rapiti.

Ciò che Haiti sta vivendo oggi è sintomatico di diversi decenni di politica e di un’economia incentrata sulla violenza e sulla criminalità, nonché di una cooperazione internazionale non adattata alle esigenze del Paese. Senza un intervento rapido per bloccare l’avanzata delle bande, proteggere la popolazione e aiutare la polizia nazionale a compiere operazioni reali per contenerle, la situazione peggiorerà. E la popolazione ricorrerà a Bwa Kale (il movimento popolare anti-gang, ndr). E, infatti, c’è una tendenza al rialzo. Ciò potrebbe portare alla guerra civile…“, avverte il direttore del Centre d’analyse et de recherche en droits de l’homme, Gèdèon Jean, sentito da Voci Globali.

La crisi, insomma, è totale e ha radici profonde. Ma, sostiene Jean, “una via d’uscita c’è, a condizione che i protagonisti abbiano la consapevolezza della gravità della situazione e la volontà di risolverla“. Si chiama, ne è certo, forza di interposizione internazionale.

L’opzione è di fatto sul tavolo da molti mesi ormai. Era ancora fine 2022 quando Haiti aveva richiesto alla comunità internazionale il dispiegamento di una “forza armata specializzata” che potesse soccorrere la polizia nazionale.

E pare che la proposta di una missione “statica” (e non poco controversa) guidata dal Kenya e sostenuta dalle Nazioni Unite sia adesso prossima a dichiararsi, facendo in parte seguito all’invito (non l’unico, non il primo) che il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aveva rivolto lo scorso luglio al Consiglio di Sicurezza e ai Paesi tutti perché considerassero la necessaria risposta all’instabilità e alla violenza che “se non agiamo ora [..] avranno un impatto duraturo su generazioni di haitiani“.

Per ripristinare la sicurezza, commenta Jean, è essenziale l’intervento di una forza multilaterale o bilaterale adeguata che contrasti il dilagare delle bande, e supporti e rafforzi (nelle operazioni anti-gang su larga scala, ma anche offrendo formazione, fornendo attrezzature e risorse, costruendo unità ad hoc, garantendo controlli e supportando riforme) la polizia nazionale che, tra le altre problematiche, “non è stata concepita per affrontare questa che è una situazione di guerriglia urbana“.

E che abbia, non di meno, la missione di “stabilire un processo elettorale credibile per la realizzazione di buone elezioni affinché i cittadini possano scegliere i propri rappresentanti e il Paese possa tornare alla normalità istituzionale e costituzionale“, sottolinea il leader dell’organizzazione haitiana per i diritti umani con status consultivo al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite.

Gli chiediamo quale sia il sentimento dei cittadini di fronte all’opzione di un nuovo intervento straniero, considerati i danni mai riparati del passato. “La popolazione, soprattutto quella che sta soffrendo, vuole sicurezza“, risponde citando gli unici sondaggi ad oggi disponibili sulla questione (AGERCA, gennaio e agosto 2023: per la larga maggioranza l’intervento di una forza internazionale è necessario). E la comunità internazionale, ricorda, “ha l’obbligo di aiutarla in nome del principio della responsabilità di proteggere“.

Intanto che aspetta, attraversata dalle marce armate di Barbecue (alias Jimmy Chérizier) – l’ex agente di polizia oggi a capo della più grande coalizione di bande haitiane, la G-9, che proprio in questi giorni minaccia a favore di stampa il rovesciamento del Governo Henry e annuncia battaglia a qualsiasi forza multinazionale che “commetta abusi” contro il suo popolo -, Haiti vacilla sull’orlo del collasso.

Clara Geraci

Siciliana, classe 1993. Laureata in Giurisprudenza, ha recentemente conseguito il Diploma LL.M. in Transnational Crime and Justice all’Istituto di Ricerca delle Nazioni Unite. Si occupa di diritto internazionale, diritti umani, e migrazioni. Riassume le ragioni del suo impegno richiamando Angela Davis: “Devi comportarti come se fosse possibile cambiare radicalmente il mondo, e devi farlo costantemente”.

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