Nessuna crisi africana ha preoccupato tanto l’Europa (Italia compresa). E nessun Paese si è garantito quindi maggiore copertura mediatica quanto il Niger nelle ultime settimane. Il cui colpo di Stato ha suscitato un’attenzione alquanto inedita, almeno qui da noi. E questo in contrasto con il generale disinteresse nei confronti di questo continente. O del modo in cui si evitano approfondimenti sui fatti.
Uno dei motivi – non sempre o non chiaramente esplicitato – è la questione migratoria.
Il Niger negli ultimi anni è diventata la principale rotta delle migrazioni dall’Africa sub-sahariana. Luogo di incontro, di passaggio verso la Libia e poi l’Europa, ma anche di espulsione (dall’Algeria o anche dalla Libia) e di esilio forzato. Moltissimi in questi anni sono riusciti ad attraversare questo “imbuto”, molti altri ci sono rimasti. E anche morti. Da gennaio a giugno 2023 sarebbero non meno di 570 i migranti morti durante il loro viaggio migratorio verso il deserto del Sahara. Di questi 412 solo in Niger, principalmente ad Agadez (372). Anche se, in questo caso, non c’è un conto esatto.
Più facile sapere di quelli vivi. Nel 2019 il numero di migranti che aveva attraversato il Niger era più che raddoppiato (540.000) rispetto all’anno precedente (266.590). Sono dati dello IOM. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni il numero è continuato ad aumentare e, ad aprile di quest’anno, si contavano almeno 7.700 migranti bloccati nel Paese. Un numero enorme di persone – confermato in questi giorni – bisognose di cibo, acqua, assistenza medica e protezione. Al 15 agosto nei centri di transito ne erano ospitati 4.834. La maggior parte provenienti da Guinea, Mali, Sierra Leone, Costa d’Avorio, Nigeria.
Tutto questo mentre continuano le violenze – anzi pare siano peggiorate – soprattutto nei pressi dei confini con Mali e Burkina Faso. E che stanno generando l’aumento anche degli sfollati.
Emergono, ora, alcune domande: cosa ne sarà di tutti questi esseri umani? Quanti riusciranno a uscire da un Paese che rischia di diventare una trappola? Quanti di loro – vulnerabili più che mai – potrebbero addirittura andare da allargare le fila di combattenti o di milizie pur di dare un senso alla propria esistenza? E quanto, nel caos, aumenteranno i maltrattamenti nei loro confronti, maltrattamenti già ampiamente denunciati dalle organizzazioni umanitarie? Tutte le questioni sono legate.
Il golpe in Niger si assomma alla situazione già difficile che sta vivendo il Sahel in termini di sicurezza. Epicentro del terrorismo globale, in quest’area lo scorso anno si sono contate il 43% delle morti causate da azioni terroristiche. Erano solo l’1% nel 2007. Si legge nel report del Global Terrorism Index 2023: nel Sahel l’aumento del terrorismo è stato drammatico, oltre il 2000% negli ultimi 15 anni. Ci sono tutti i motivi per pensare che nei prossimi la situazione su questo fronte potrebbe addirittura peggiorare.
Eppure, il Niger fino alla vigilia del colpo di Stato era considerato una sorta di bastione della democrazia. Un baluardo per combattere il jihadismo da una parte e per tentare di arginare i flussi migratori dall’altro. Il presidente Mohamed Bazoum, rimosso dal golpe del 26 luglio scorso dalla guardia presidenziale con a capo il generale Omar Tiani, era considerato amico dell’Occidente, dell’Europa come degli Stati Uniti. E prima di lui Mohamadou Issoufou, che al termine del secondo mandato si era fatto da parte.
È dal 2016, infatti, dopo il vertice della Valletta dell’anno precedente, che sono cominciate le relazioni dirette tra le istituzioni e i leader europei ed il Niger. In quell’occasione l’Unione europea istituì un Fondo fiduciario di emergenza per la stabilità e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa.
Inutile dire che il fondo – di cui il Niger è stato uno dei maggiori beneficiari – più che intervenire sulle cause profonde del fenomeno migratorio si è risolto nella solita logica dell’esternalizzazione delle frontiere. Una politica che negli anni è stata fortemente criticata.
Il Niger non è diventato solo capolinea e corridoio di ritorno per le persone migranti e in fuga, ma anche un laboratorio per lo spiegamento di pattuglie mobili di frontiera in terreni impraticabili e per l’esternalizzazione della protezione dei rifugiati. Il Niger, colpito da numerose crisi, sta generando esso stesso sempre più movimenti di rifugiati.
Ma si procede su questa linea, l’accordo (2022) tra il Governo nigerino e Frontex avrebbe nelle intenzioni lo scopo di combattere il traffico di esseri umani. Negli anni il flusso di denaro arrivato dall’Europa in questa parte del Sahel è stato notevole. E, ultimamente, solo per il periodo 2021-2024, 503 milioni di euro. Soldi che dovrebbero essere (stati) spesi nel settore della governance, dell’educazione, della crescita economica e sociale. E si tratta solo di un determinato programma, il MIP – Multiannual Indicative Programme.
A questo vanno aggiunti altri finanziamenti, prestiti, sovvenzioni. Il sostegno dell’UE al bilancio ammonta a 195 milioni di euro. E poi ci sono gli aiuti umanitari, che in realtà, sono assai inferiori agli altri citati: per il 2023 si tratta di 25 milioni di euro. Nel 2022 ne erano stati allocati 49,7 milioni. Infine, non va dimenticato la recente partnership militare tra il Consiglio europeo e le autorità nigerine con il fine di rafforzare la capacità delle forze armate del Paese di combattere il jihadismo. Una spesa, tanto per iniziare, pari a 27,3 milioni di euro.
Nonostante tutto, misure preventive e securitarie – sia sul fronte dei movimenti jihadisti sia su quello delle migrazioni – non hanno cambiato granché le cose. Anche se sembravano aver rassicurato i leader europei che oggi, avendo perso il loro principale interlocutore, sono in difficoltà. Chi fermerà ora i migranti?
Sul golpe e le sue ragioni c’è una riflessione riportata dal Guardian. Quella secondo la quale il colpo di Stato sarebbe collegato al sostegno di Mohamed Bazoum alle politiche dell’Unione Europea volte a soffocare le rotte migratorie attraverso il Nord Africa.
Pare che non gli sia stato perdonato di aver sostenuto la politica europea (avviata come dicevamo nel 2015) sui migranti. Una politica per la quale, appunto, il Governo di Bazoum ha ricevuto negli anni notevoli aiuti in denaro in cambio del blocco delle rotte verso Nord. Nel Paese l’accordo firmato con l’UE era definito “legge Bazoum” e pare fosse fortemente contrastata anche da esponenti dell’esercito che del traffico di esseri umani si avvantaggiavano con mazzette in cambio di un generale laissez faire.
E in realtà ad avvantaggiarsi dell’”industria migranti” sono sempre stati in molti: ufficiali del’esercito, autisti, mediatori. Insomma, come affermano intellettuali ed osservatori, la politica UE ha finito per destabilizzare il Paese e perfino il processo democratico che pure era in corso nel Paese.
Intanto, mentre è ancora tutto da capire cosa accadrà – con l’ECOWAS pronta a inviare truppe e l’Unione Africana che ha sospeso il Niger – la situazione economica nel Paese è critica.
Nel 2021 – dati World Bank – più di 10 milioni di persone (il 41,8% della popolazione) vivevano in condizioni di povertà estrema. Il Niger, inoltre, ha un’economia scarsamente diversificata, con l’agricoltura che rappresenta il 40% del PIL. Nei gradini più bassi a livello mondiale sugli indici di sviluppo umano (HDI) il Niger affronta anche la continua scarsità d’acqua e una grave insicurezza alimentare. Condizioni a cui si aggiungono gli effetti del cambiamento climatico e una crescita demografica notevolmente elevata.
Secondo le Nazioni Unite, la crisi potrebbe peggiorare le cose, con prevedibili effetti sulla sicurezza. Già prima del golpe il Paese contava 3,3 milioni di persone in stato di grave insicurezza alimentare e 7.3 milioni a rischio fame. Mentre nelle ultime settimane sono continuati a salire i prezzi dei generi di prima necessità.
L’International Rescue Committee (IRC) insieme con 43 agenzie umanitarie locali e internazionali che lavorano in Niger chiedono l’intervento della comunità internazionale per introdurre “esenzioni umanitarie” sulle sanzioni imposte contro il Paese. L’unico modo – affermano le organizzazioni – per garantire un accesso ininterrotto ai servizi di assistenza per le popolazioni vulnerabili.
Secondo il Piano di risposta umanitaria del 2023 (HRP), oltre 4,3 milioni di persone in Niger hanno estremo bisogno di assistenza umanitaria. Tra questi ci sono gli sfollati interni, i rifugiati, i richiedenti asilo. L’IRC denuncia che “scorte di beni di prima necessità, come aiuti nutrizionali e forniture mediche, sono bloccate alle frontiere a causa delle sanzioni”. E aggiunge: “in una nazione in cui i tassi di malnutrizione acuta sono allarmanti, questi ritardi potrebbero rivelarsi catastrofici”.