Russia, il timore della repressione frena chi si oppone alla guerra

[NdR: al momento della pubblicazione di questa traduzione, Evgenij Prigožin – fondatore della compagnia militare privata Wagner – ha guidato la rivolta di un gruppo di 25.000 mercenari che hanno marciato fino a 200 km da Mosca. L’offensiva militare è stata fermata dalla de-escalation proposta dal dittatore bielorusso Alexandr Lukashenko in qualità di mediatore. Sebbene la crisi sembri ora rientrata, è stata sufficiente a scalfire l’immagine di Putin di leader invincibile. Da notare come gli eventi delle ultime 48 ore non abbiano visto la mobilitazione popolare dei russi, né da una parte né dall’altra.]

[Traduzione a cura di Luciana Buttini dell’articolo originale di Anna Kuleshova pubblicato su openDemocracy]

Guardie nazionali mentre arrestano un partecipante a una manifestazione a sostegno del leader dell'opposizione Alexei Navalny nel febbraio 2021. Immagine ripresa da Flickr/Michał Siergiejevicz in licenza CC
Guardie nazionali mentre arrestano un partecipante a una manifestazione a sostegno del leader dell’opposizione Alexei Navalny nel febbraio del 2021. Immagine ripresa da Flickr/Michał Siergiejevicz in licenza CC

Da quando Putin ha invaso l’Ucraina lo scorso anno, ci si è domandati perché i cittadini russi non scendano in piazza a protestare contro la guerra.

In primo luogo, vale la pena sottolineare che c’è stata molta opposizione: nel 2022 sono stati registrati oltre 21.000 arresti e 370 azioni penali per dichiarazioni contro la guerra, e a metà giugno media russi indipendenti, tra cui Meduza e Mediazona, hanno organizzato una giornata di maratona mediatica per raccogliere fondi per i prigionieri politici.

Tuttavia non si vedranno grandi folle di persone manifestare per le strade di Mosca o di San Pietroburgo. Per un osservatore non immerso nella realtà russa, ciò potrebbe far pensare che la popolazione sostenga in massa la guerra. Ma per gli stessi russi, la questione della protesta nello Stato totalitario repressivo in cui vivono ora sembra irrilevante.

In qualità di sociologa, ho aderito per prima a un progetto di ricerca sull’immigrazione dalla Russia dopo gli eventi di marzo 2022 nell’ambito del quale sono state intervistate circa 100 persone. Più di recente, ho condotto una decina di interviste informali con russi in Russia che si oppongono alla guerra, chiedendo loro il motivo per cui non hanno partecipato alle proteste a sostegno di Alexei Navalny il 4 giugno scorso, o ad altre manifestazioni. I risultati ottenuti rivelano che ci sono otto motivi principali, elencati a seguire, per cui le persone non protestano.

1. L’arresto è solo l’inizio

I russi dissenzienti non vedono alcuna possibilità di protestare, e non solo perché temono di trascorrere del tempo in un centro di custodia cautelare (15 giorni è la norma per un primo arresto). Hanno paura di percosse, violenze, umiliazioni, lunghe pene detentive, vedersi portare via i figli, perdere il lavoro e confrontarsi con le autorità che si rifiutano di rilasciare passaporti e altri documenti essenziali.

Questa situazione è aggravata dal fatto che dopo l’annuncio della mobilitazione lo scorso settembre, la ripartizione di genere – già demograficamente alterata in Russia – è peggiorata. Molti uomini sono stati arruolati o sono fuggiti dal Paese, mentre le donne sono rimaste ritrovandosi responsabili della cura sia dei bambini che degli anziani. Se protestassero, causerebbero grossi problemi a tutta la famiglia.

Inoltre, dal 2011 in Russia si tengono ogni anno proteste di massa di vario genere, con scarso effetto. Ci sono state manifestazioni contro i risultati delle elezioni legislative del 2021; una serie di manifestazioni su larga scala che chiedono la fine della corruzione del Governo, proteste ambientali e, solo per citarne alcune, marce a sostegno del governatore regionale Sergei Furgal e del leader dell’opposizione Alexei Navalny (entrambi ora in prigione).

Dopo il 2018, le manifestazioni pubbliche sono diventate quasi impossibili a causa dell’aumento della repressione, ma sono comunque continuate. In questo momento, coloro che protestano per le strade rischiano con molta probabilità il carcere, la tortura e i maltrattamenti, nonché la perdita del posto di lavoro e rappresaglie indirette contro i propri cari.

2. Sistemi di tracciamento elettronico

Gli intervistati hanno riferito che non è che non possano o non vogliano scendere in piazza per protestare, ma difficilmente ci arrivano: vengono fermati per strada, riconosciuti dalle telecamere in metropolitana, gli operatori telefonici danno informazioni sui loro movimenti alle forze di sicurezza, e così via. Anche se non vengono fermati e arrestati immediatamente, la probabilità di conseguenze nell’immediato futuro è alta. Le registrazioni video e i sistemi di riconoscimento facciale consentono alle forze dell’ordine di rintracciare i partecipanti al termine dell’azione di strada.

La pandemia ha permesso alle autorità di perfezionare il tracciamento e il controllo dei propri cittadini con il pretesto di combattere il Covid, in altre parole attraverso il totalitarismo digitale. Hanno anche aumentato l’uso dell’intelligenza artificiale e della tecnologia di riconoscimento facciale, limitando ulteriormente le libertà e i diritti della popolazione.

Dall’esterno, può sembrare che nel mondo moderno, con l’uso diffuso dei social media e di altri modi per connettersi online, sia semplice e diretto organizzare una protesta e incoraggiare le persone a scendere in piazza. Ma non in Russia.

Qui, le applicazioni di messaggistica vengono hackerate e lette dai servizi di sicurezza, quindi le persone evitano di inoltrare informazioni sensibili sui social media. Oppure passano a quella che viene chiamata lingua esopica, un tipo di linguaggio particolarmente diffuso in epoca sovietica che consente di eludere la censura.

Ciò rende più difficile coordinare le proteste o informare in maniera completa le persone sugli eventi successivi. Eventuali passi contro lo Stato, anche virtuali, vengono di fatto soppressi, grazie al maggiore controllo consentito dalla tecnologia digitale. Tutto ciò influisce sulla vita quotidiana e sul comportamento dei russi dissenzienti che sono rimasti nel Paese dall’inizio dell’invasione lo scorso anno.

3. Nessun aiuto

Questo stato di intimidazione non riguarda l’apatia o la mancanza di volontà di protestare ma l’assenza di esempi di vittoria sul sistema. Prendiamo ad esempio Alexei Navalny: è famoso in tutto il mondo, ma qualcuno è riuscito a liberarlo dalla prigione? No. Se nessuno viene ad aiutare i personaggi pubblici, cosa succederà ai comuni cittadini? Come sopravviveranno i loro cari? Le persone cercano di aggrapparsi alla sensazione che la loro vita sia accettabile e di non perdere quel poco che hanno.

4. Le proteste non cambiano nulla

Le persone che ho intervistato hanno dichiarato che nella Russia di oggi le proteste sono inutili. Le forze di sicurezza sono enormi e secondo le stime del media indipendente russo Proekt, circa 2,6 milioni di persone sono impiegate dalle forze dell’ordine. Senza la capacità di unirsi, per paura di finire emarginate o di rovinare la propria vita, le persone scelgono di restare a casa. Puoi organizzare una protesta, ma non porterà a nessun cambiamento, tranne gravi conseguenze per l’individuo.

5. Sentirsi isolato

Non è facile lasciare la Russia, motivo per cui così tanti sono rimasti. E chi ha provato ed è tornato ha avuto problemi: la carta di credito è stata bloccata, gli è stato negato il visto o il permesso di soggiorno oppure ha perso il lavoro e quindi i mezzi di sostentamento.

A causa delle difficoltà incontrate all’estero, alcuni russi si sentono abbandonati dal mondo esterno. Sembra che non rimanga loro altro che continuare la loro vita in Russia, per quanto imperfetta possa essere. La maggior parte delle persone con cui ho parlato ritiene che la partecipazione alle proteste non possa migliorare la loro vita, ma invece rovinarla del tutto.

6. Dipendenza dallo Stato

Il numero di russi dipendenti dai pagamenti dello Stato, come impiegati o beneficiari, ha superato i 60 milioni nel 2021, corrispondente al 42% della popolazione del Paese. Se qualcuno partecipa a una protesta e di conseguenza viene licenziato, rimarrà senza impiego e senza la possibilità di trovarne un altro, poiché il settore privato è in gravi difficoltà. Le presunte imprese indipendenti che rimangono dipendono, di norma, ancora indirettamente dal bilancio dello Stato.

7. Partenza dei manifestanti più attivi

Un numero significativo di persone che prendevano parte alle proteste ha lasciato la Russia. Questo ha cambiato le cose. Nessuno sa con certezza quante centinaia di migliaia sono rimaste o quante sono tornate. Ma tra coloro che se ne sono andati vi sono persone che hanno partecipato a manifestazioni per la libertà, l’espressione di sé e la difesa dei valori democratici. La loro assenza nel Paese si fa sentire.

8. Diffidenza nei confronti dell’opposizione

Le autorità russe hanno sistematicamente distrutto i leader dell’opposizione: li hanno imprigionati, uccisi o costretti a lasciare il Paese. Anche i giornalisti indipendenti sono stati rinchiusi o uccisi. I russi non hanno molta fiducia in coloro che sono rimasti e sono sopravvissuti, poiché non ci sono processi politici a pieno titolo nella società o l’accesso a una stampa libera.

Le persone non vedono e non capiscono cosa stia pianificando ciò che rimane dell’opposizione e non possono valutarne la forza. Di conseguenza ritengono che, partecipando a una manifestazione, rischiano soltanto di diventare invano altre vittime senza senso.

Nonostante tutto ciò, la resistenza politica continua a esistere in Russia. Per le strade delle città ci sono proteste visive, scritte contro la guerra e graffiti (che vengono rimossi in poche ore, a volte anche in pochi minuti). Nelle interviste, i russi dissenzienti fanno riferimento a mostre clandestine, poesie contro la guerra, incontri a porte chiuse negli appartamenti di persone che la pensano allo stesso modo, performance e altre opere d’arte che condannano la guerra in Ucraina, e volontari che forniscono assistenza agli ucraini.

Tutto questo sta accadendo, nonostante la paura di essere arrestati e mandati in prigione. Parafrasando la celebre affermazione dei dissidenti sovietici: le autorità russe possono crocifiggere la libertà, ma l’animo umano non conosce catene.

Luciana Buttini

Laureata in Scienze della Mediazione Linguistica e Specializzata in Lingue per la cooperazione e la collaborazione internazionale, lavora come traduttrice freelance dal francese e dall'inglese in vari ambiti.

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