Siria, dopo il terremoto si fa sempre più grave la crisi alimentare
[Traduzione a cura di Luciana Buttini dell’articolo originale di Hanna Davis e Abd Almajed Alkarh pubblicato su The New Humanitarian]
Sono passati quattro mesi da quando l’abitazione di Dalal Jomaa Hasan nel Nord-Ovest della Siria è stata distrutta da un terremoto, costringendo la donna a sradicare la sua famiglia per la sesta volta dallo scoppio della guerra nel 2011.
I robusti muri di cemento hanno protetto per qualche anno dai temporali invernali e dalle estati torride, la casa in cui la 52enne Hasan vive con i suoi 13 figli e nipoti, ma non hanno resistito ai terremoti che lo scorso 6 febbraio hanno decimato la Regione, uccidendo più di 50.000 persone in tutta la Siria e la Turchia.
Al riparo in una piccola tenda assemblata con teloni e coperte, Hasan e la sua famiglia stanno ora lottando per avere cibo a sufficienza. Le ripercussioni economiche a seguito dei terremoti e l’inflazione galoppante si traducono per i cittadini nel rincaro dei prezzi del cibo, ma anche la diminuzione degli aiuti alimentari – che i funzionari attribuiscono ai bassi livelli di finanziamento – fa la propria parte.
Quello delle fame è un fenomeno in aumento da anni nel Nord-Ovest della Siria e le Nazioni Unite hanno stimato alla fine del 2022 che 3,3 milioni di persone, ovvero il 70% della popolazione della Regione, si trovavano in condizioni di insicurezza alimentare.
Hasan, che deve lottare anche solo per permettersi i generi di prima necessità, afferma che l’unico aiuto che la sua famiglia ha ricevuto dopo il sisma è stato un cesto di beni non alimentari di emergenza contenente coperte e spugne, e pertanto si sente abbandonata. Ha riferito a The New Humanitarian: “Tutti ci hanno deluso“.
Su un fuoco di legna e cartone accanto alla sua tenda a Idlib, ha fatto bollire l’acqua per preparare un piatto di bulgur e yogurt, che dovrà sostenere la sua numerosa famiglia per tre o quattro giorni.
La maggior parte dei giorni non mangia altro che pane. Ha dichiarato:
Noi adulti possiamo essere pazienti e non mangiare, ma i bambini non possono. Piangono e non possono stare a lungo senza pasti.
Inflazione e problemi valutari
Hasan e la sua famiglia stanno cercando di cavarsela in un piccolo campo improvvisato chiamato Fardous, nella provincia settentrionale di Idlib. Data la sua vicinanza all’epicentro nel Sud-Ovest della Turchia, è stata particolarmente colpita dai terremoti.
Secondo il conteggio delle Nazioni Unite, la ripresa è ancora più difficile per via del fatto che circa 2,9 milioni di persone in tutta la Regione erano già sfollate all’interno del proprio Paese.
Oltre un decennio di combattimenti tra l’esercito del presidente siriano Bashar al-Assad e le diverse forze ribelli che controllano la maggior parte del Nord-Ovest della Siria ha ridotto l’economia a brandelli.
I terremoti hanno peggiorato le cose nella zona, dove 4,1 milioni di persone ovvero oltre il 90% della popolazione hanno bisogno (ma non necessariamente ottengono) di una qualche assistenza umanitaria.
Ancora più persone hanno avuto bisogno di aiuto subito dopo i terremoti, nello stesso momento in cui i prezzi del cibo aumentavano vertiginosamente poiché strade, supermercati e panetterie sono stati danneggiati.
A distanza di quattro mesi, i prezzi continuano a salire ma gli esperti affermano che ciò è dovuto principalmente all’inflazione della lira turca, che ha perso circa il 77% del suo valore rispetto al dollaro negli ultimi cinque anni. Inoltre, è stato recentemente raggiunto un altro minimo storico di circa 21,5 lire per dollaro dopo le elezioni presidenziali del mese scorso in Turchia.
Le parti del Nord-Ovest controllate dal gruppo ribelle Hayat Tahrir al-Sham (HTS) hanno adottato la lira turca nel 2020, come alternativa alla lira siriana in crollo.
Secondo l’economista politico siriano Karim Shaar, la mossa aveva anche lo scopo di privare la banca centrale siriana delle entrate. Ma senza un organismo di regolamentazione per gestire la politica monetaria, ha riferito Shaar a The New Humanitarian, il passaggio si è rivelato un passo falso che ha limitato l’attività economica e frenato la risposta umanitaria nella Regione.
La maggior parte dei beni di prima necessità viene importata dalla Turchia e l’inflazione della lira (oltre a prezzi più elevati causati degli effetti duraturi della guerra in Ucraina) ha danneggiato tutti coloro che dipendono da un reddito fisso, poiché gli aiuti alimentari mensili e i salari ora hanno un minore potere d’acquisto rispetto al passato. Secondo una stima, nell’ultimo anno i prezzi sono aumentati del 66% in tutta la provincia di Idlib.
Alaa Yahya, 27enne proprietario di una macelleria a Idlib ha riferito in un’intervista: “I prezzi sono così alti adesso… non come una volta“.
Un mese fa la carne di pecora costava 180-190 lire al chilo, ma ora la vende a circa 220, ha riferito, aggiungendo che il costo del pollo è più che raddoppiato, passando dalle 30 lire al chilo dell’anno scorso a quasi 65.
Yahya ha detto che gli affari sono diminuiti in modo significativo: vende solo la metà di quello che vendeva un anno fa. Ha dovuto licenziare 14 dipendenti e ora è rimasto solo un impiegato.
Sebbene il grupppo HTS abbia adottato la lira turca, quest’ultima non è utilizzata in tutto il Nord-Ovest, e nemmeno in tutta Idlib. Shaar ha sottolineato che questo ha peggiorato la situazione, poiché spesso il denaro viene perso nel processo di scambio. Ad esempio, ha detto, ci sono casi in cui il prezzo è pattuito in dollari, poi pagato in lire turche, e il resto è dato in lire siriane.
In fondo alla strada del negozio di carne di Yahya, Ibrahim al-Zir, 38 anni, gestisce un piccolo supermercato che ha assistito anche al suo declino commerciale. Ha osservato che anche i prodotti di base vengono importati, un altro fattore che si aggiunge ai prezzi altissimi.
Ma non è solo il costo delle merci a scoraggiare le persone. Come afferma al-Zir: “La gente non ha entrate né lavoro“.
Fabbisogno, prezzi in aumento e aiuti in diminuzione
A peggiorare le cose è il fatto che nella Regione arrivano meno aiuti concreti.
Secondo Mazen Alloush, addetto ai media e alle relazioni pubbliche per la parte siriana del valico di frontiera di Bab al-Hawa, controllato dal gruppo HTS e principale punto di ingresso per gli aiuti dalla Turchia nel Nord-Ovest della Siria, la quantità di assistenza che attraversa il confine è in calo rispetto allo scorso anno. Come ha dichiarato a The New Humanitarian:
Il numero di camion di soccorso è diminuito fino a raggiungere livelli record.
Per anni Bab al-Hawa è stato l’unico valico che il Consiglio di Sicurezza ha autorizzato l’ONU ad utilizzare per portare aiuti attraverso il confine turco nel Nord-Ovest, ma dopo i terremoti al-Assad ha consentito l’apertura e l’impiego di altri due valichi.
Stando ai dati inviati a The New Humanitarian dall’OCHA, l’ente di soccorso delle Nazioni Unite, tra gennaio e maggio poco più di 2.099 camion di aiuti sono entrati da Bab al-Hawa (su un totale di 2.496 camion che hanno attraversato tutti e tre i valichi). In confronto, sono stati 3.506 i camion entrati da Bab al-Hawa nello stesso periodo dell’anno scorso.
Sanjana Quazi, capo dell’ufficio OCHA della Turchia, ha dichiarato a The New Humanitarian che l’operazione di aiuto transfrontaliero nel Nord-Ovest della Siria è stata a lungo sottofinanziata. Ha riferito inoltre il dato allarmante secondo cui i donatori hanno offerto poco più dell’11% dei 5,41 miliardi di dollari per i quali le Nazioni Unite hanno fatto appello per aiutare i siriani nel 2023.
Tuttavia, una richiesta di emergenza delle Nazioni Unite di 398 milioni di dollari per aiutare i siriani dopo il terremoto è stata interamente finanziata, e Quazi ha sottolineato che l’ONU e le ONG con cui collabora hanno intensificato la risposta transfrontaliera subito dopo i terremoti, a causa del crescente fabbisogno.
Ha affermato inoltre che le Nazioni Unite hanno raggiunto più di mezzo milione di persone nel Nord-Ovest con assistenza in denaro contante da quel 6 di febbraio, una fonte cruciale di aiuto che non ha bisogno di essere caricata sui camion.
Tagli alle razioni
Il Programma alimentare mondiale (PAM) ha ridotto l’assistenza che fornisce alle persone nel Nord-Ovest della Siria e in tutto il Paese, nonostante un mese prima dei terremoti avesse annunciato che la carestia avesse raggiunto il livello più alto degli ultimi 12 anni di guerra, con più di un siriano su due in uno stato di insicurezza alimentare e malnutrizione in aumento.
Probabilmente la situazione è peggiorata dopo i terremoti. Lina al-Qassab, portavoce del PAM in Siria, ha affermato che l’impatto del disastro sull’insicurezza alimentare è ancora in fase di valutazione, ma ha chiaramente peggiorato la vita di milioni di persone che soffrivano la fame già prima del terremoto.
Tuttavia, come ha dichiarato al-Qassab, a causa dell’aumento del costo del cibo unito ai vincoli di finanziamento, il PAM ha dovuto diminuire progressivamente le razioni in Siria, aggiungendo che sarà costretto a ridurre il numero di persone che aiuta del 40% già a luglio in quanto ha bisogno urgentemente di altri 280 milioni di dollari per continuare i suoi programmi.
Ahmed Muhammad al-Mustafa, 38 anni, riceve assistenza alimentare dal PAM dal 2019, quando è fuggito dal Sud di Idlib al campo di Abu Bakr al-Siddiq, nel Nord della provincia.
In un’intervista ha raccontato che quattro anni fa il paniere mensile di aiuti alimentari del PAM che include generi di prima necessità come riso, olio e farina era sufficiente per soddisfare i bisogni di sua moglie e dei loro quattro figli, ma ora non basta più nemmeno per due persone.
Ha continuato:
Abbiamo perso tutto e siamo stati sfollati nei campi, e non abbiamo lavoro. Guardiamo al cestino ogni mese come un modo per mantenere in vita noi e i nostri figli.
“Andiamo a letto senza aver mangiato”
Per Amany Qaddour, direttore regionale di Syria Relief and Development (SRD), una ONG di soccorso umanitario che opera nel Nord-Ovest della Siria, le razioni in diminuzione indicano una dura realtà:
La domanda di aiuti supera semplicemente ciò che è disponibile.
Ha detto a The New Humanitarian che i già alti livelli di insicurezza alimentare nella Regione sono stati aggravati dai terremoti e dalle emergenze climatiche come la siccità che ha impattato sulla produzione agricola. Ha poi aggiunto che le zone della Siria più colpite dai terremoti hanno registrato gravi carenze idriche, osservando che gran parte dei terreni agricoli della Regione viene ora utilizzata per ospitare le persone rimaste senza casa a causa del disastro.
Tutto questo si ripercuote sulla sofferenza di persone come Tareq Hasan al-Hasan, che vive nella tenda accanto a Dalal Hasan (non vi sono legami di parentela tra loro) con suo fratello disabile, sua moglie e i suoi due bambini piccoli.
Il trentenne al-Hasan vive nello stesso villaggio di Hasan e, come lei, è stato costretto dai terremoti a lasciare la sua casa insieme alla famiglia per la sesta volta.
Come ha affermato in un’intervista:
Tutto costa caro. Non ci sono opportunità di lavoro.
Operaio agricolo, al-Hasan non è riuscito a trovare un impiego e, con i prezzi in aumento, fa fatica a comprare persino l’essenziale.
Al-Hasan ha detto di aver chiesto cibo ai gruppi umanitari della zona, ma gli hanno risposto che non ce n’è abbastanza. Ha poi aggiunto:
La situazione è così grave ora che a volte andiamo a dormire senza mangiare nemmeno del pane.
Nonostante l’attenzione dei media dopo i terremoti, al-Hasan crede che i riflettori si siano ora spostati e che le persone come lui siano state abbandonate a loro stesse:
Dai Paesi Arabi alle Nazioni Unite, tutti ci hanno abbandonato.
L’uomo ora è estremamente preoccupato per ciò che porterà l’avvenire e ha detto:
Il futuro mi terrorizza. Non ci sono molte opportunità. Ora, senza l’arrivo degli aiuti, la situazione è davvero allarmante.