Irlanda del Nord, una ferita aperta e una società ancora segregata
La visita del Presidente americano Joe Biden in Irlanda – una nazione legata agli Stati Uniti da profondi legami culturali, politici e sociali – è stata l’occasione per rinsaldare i rapporti tra Dublino e Washington e per tornare a parlare di Irlanda del Nord. Il Capo di Stato americano ha tenuto un importante discorso, di fronte al Parlamento, in cui ha ricordato l’orgoglio derivante dalle sue origini irlandesi e il suo supporto per il processo di pace in Irlanda del Nord. Il Regno Unito, secondo Biden, dovrebbe lavorare con Dublino per supportare Belfast.
Le parole di Biden hanno ricevuto l’apprezzamento del Primo Ministro irlandese Michael Martin, che le ha definite equilibrate e ha lodato l’invito rivolto a tutti gli attori, Unione Europea inclusa, a lavorare insieme per raggiungere un futuro migliore. Non mancano però, nonostante l’ottimismo di facciata, incertezze e timori.
Il percorso storico
L’Irlanda del Nord ha vissuto un periodo di conflitto, durato oltre tre decenni, iniziato alla fine degli anni Sessanta con la degenerazione delle manifestazioni pacifiche per la rivendicazione dei diritti civili da parte dei cattolici. Questi ultimi lamentavano le discriminazioni subite dal Governo dominato dai protestanti ma, in breve tempo, nacquero formazioni paramilitari che iniziarono a scontrarsi provocando spargimenti di sangue. Ad affrontarsi c’erano i cattolici, repubblicani e favorevoli alla riunificazione con l’Irlanda e i protestanti, unionisti intenzionati a mantenere i legami con il Regno Unito. Il conflitto, che ha visto la partecipazione delle forze armate britanniche, ha provocato oltre 3500 morti e una rigida separazione tra le due comunità nordirlandesi.
L’Irish Republican Army, un’organizzazione militare clandestina sorta nel primo decennio del Novecento per liberare l’Irlanda dal dominio inglese, si rese protagonista di violente azioni dinamitarde contro i protestanti e l’esercito britannico. Una scissione, verificatasi nel 1969, portò alla formazione di un sottogruppo dell’IRA, denominato Provisional, molto radicale e che riuscì in un tempo relativamente ridotto a conquistarsi i favori della maggioranza della popolazione cattolica dell’Ulster e più in generale del movimento repubblicano locale.
Nel 1981, 10 dei suoi rappresentanti detenuti nelle carceri inglesi si lasciarono morire, con uno sciopero della fame, dopo che il Governo britannico rifiutò di riconoscergli lo status di prigionieri politici.
Alla metà degli anni Novanta si creò un clima favorevole alla pace dopo anni di negoziati falliti. Lo sviluppo di un dialogo portò ad un cessate il fuoco, nel 1994, da parte dell’IRA e dei lealisti. Il Presidente americano Bill Clinton inviò lo Speaker del Senato, George Mitchell, a mediare nei colloqui. La vittoria dei Laburisti di Tony Blair portò a un accordo tra il Governo inglese, quello irlandese e otto partiti, siglato il 10 aprile 1998.
L’accordo ribadiva l’appartenenza dell’Irlanda del Nord al Regno Unito e prevedeva una riunificazione con l’Irlanda in caso di consenso della maggioranza della popolazione. Venivano creati un Assemblea legislativa e un Governo, rappresentativo delle comunità. I partiti dovevano favorire la smobilitazione dei paramilitari.
Una stasi complessa
L’Accordo del Venerdì Santo avrebbe dovuto trasformare l’Irlanda del Nord ma non tutto è andato come previsto. Le armi hanno cessato di sparare ma Cattolici e Protestanti continuano ad essere divisi, anche fisicamente, da veri e propri muri di delimitazione. Trentamila persone sono state imprigionate in seguito a condanne per reati paramilitari. Il loro reinserimento sociale si è rivelato molto complesso e a tratti deludente. Trovare lavoro nel settore pubblico può rivelarsi difficile per gli ex combattenti e lo stesso vale per la stipula delle assicurazioni oppure per la possibilità di viaggiare. La disillusione nelle zone più repubblicane e lealiste è palpabile: un dato che ha provocato la perdita di consensi dei partiti moderati e il successo di quelli radicali.
L’IRA ha scelto, dopo 36 anni di campagna militare armata in favore di uno Stato unitario irlandese, di disarmarsi. La decisione non è stata, però, accettata da tutti dato che il gruppo dissidente New IRA ha promesso di “usare tutti i mezzi per porre fine al dominio inglese in Irlanda, violenza inclusa“. “La New IRA – come ricordato dall’esponente del Partito Socialdemocratico e Laburista Mark H. Durkan – continua a tormentare la nostra gente creando situazioni di pericolo e caos”.
La situazione nordirlandese, come ricordato in un articolo pubblicato dall’Istituto Analisi Relazioni Internazionali, è tesa perché Belfast, dopo la Brexit, si sente lontana da Londra ma non vicina a Dublino. Quello che resta dell’Impero Britannico, come dimostrato dalle vicende legate al separatismo scozzese, è in fase di progressiva disgregazione.
La Brexit è stata accolta con scetticismo in Irlanda del Nord, che ha votato in maggioranza (grazie alla posizione cattolica) per restare a fare parte dell’Unione Europea. Il protocollo nordirlandese per la Brexit ha previsto, per evitare un ritorno alla violenza, che l’Irlanda del Nord continuasse a fare parte del mercato comune europeo e l’assenza di un confine tra le due Irlande, spostando il confine doganale tra le due isole.
Le elezioni regionali, svoltesi nel maggio 2022, hanno provocato una vera e propria paralisi politica in Irlanda del Nord.
Il Sinn Fein, ex braccio politico dell’Ira, è giunto in prima posizione e ha ottenuto 27 seggi superando gli arci-rivali dei Democratici Unionisti, fermatisi a 25 scranni. Il partito politico che ottiene il maggior numero di seggi ha il diritto di esprimere il Primo Ministro, un incarico spettato tradizionalmente ai Democratici e mai al Sinn Fein. I Democratici, sfruttando il proprio potere di veto e irritati dalla sconfitta, hanno boicottato i lavori e bloccato la formazione del Governo dando un duro colpo all’accordo di condivisione del potere. Il Governo britannico non è riuscito a sbloccare la situazione ed ha indetto nuove elezioni per il 2024.
I problemi sociali del Paese
Le difficoltà politiche dell’Irlanda del Nord tendono a eclissare i problemi che incidono sulla vita quotidiana dei cittadini. Il sistema scolastico è condizionato dall’ineguaglianza, il sistema sanitario è in crisi e il sistema produttivo è meno efficiente di quelli di altre zone del Regno Unito. Un quarto dei bambini, nel 2019, viveva in condizioni di povertà e le divisioni comunitarie rimangono un problema significativo.
L’Irlanda del Nord ha la più alta percentuale di lavori sottopagati di tutto il Regno Unito e oltre il 25 per cento degli adulti è inattivo cioè non lavora e non cerca un’occupazione. La spesa pubblica per i problemi di salute mentale è più bassa rispetto ad altre regioni del Regno Unito nonostante una più alta incidenza dei disturbi di salute mentale.
Trent’anni di violenze hanno lasciato un significativo impatto psichiatrico trans-generazionale sui giovani nordirlandesi. A riferirlo è il dottor Ciaran Mulholland, un importante psichiatra intervistato dall’Irish Times. Un giovane su 20, secondo Mullholand, ha un disturbo di salute mentale legato allo stress, molte persone più anziane convivono con un disturbo post traumatico da stress e un giovane su 4 ha riferito che le violenze hanno avuto conseguenze sulla propria famiglia. Il Paese, inoltre, ha uno dei più alti tassi di uso di antidepressivi del mondo.
I “bambini della pace”, nati dopo l’Accordo del Venerdì Santo, sono testimoni della presenza di un forte settarismo in Irlanda. Cori Conlon, cresciuta in un quartiere cattolico di Belfast Ovest, ha dichiarato alla CNN di non aver incontrato un protestante prima degli 11 anni e di ricordare uno dei principali insegnamenti della sua infanzia: stare il più lontano possibile dai bambini protestanti che giocavano in fondo alla strada. Non che ci fossero molte possibilità di incontrarsi dato che frequentavano ambienti completamente diversi. Conlon parla apertamente di “una società segregata in cui c’è poco spazio per la libertà”. Il 93 per cento dei bambini, secondo un rapporto UNESCO, frequenta scuole segregate in base alla religione.
La speranza è che il futuro possa includere la cooperazione, il compromesso che supera i confini e il riconoscimento dell’interdipendenza reciproca generati dalla coesistenza. La riconciliazione, i diritti e il rispetto devono avere la priorità per dare vita ad una trasformazione costituzionale – come ricordato da Jarlath Kearney – basata sull’evoluzione e non sulla rivoluzione.