L’accesso alle cure non è per tutti, l’Italia che discrimina sulla salute

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Partire da questo importante articolo della nostra Costituzione è fondamentale per capire in che modo, in Italia, si può arrivare addirittura a parlare di discriminazione in ambito sanitario.

Il termine può apparire “forte” visto il riferimento a una sfera così delicata e cruciale. Tuttavia, aiuta a rendersi conto che il passo verso fenomeni discriminatori, che generano disuguaglianze inaccettabili quando si tratta di persone malate o bisognose di assistenza, è breve. E non per l’atteggiamento irresponsabile di medici o personale infermieristico. Piuttosto, per l’impossibilità di molti di accedere a un ambulatorio o di ricevere le informazioni utili per il sostegno sanitario.

Succede, anche nel nostro Paese, che “individui”, così come citati nell’articolo 32 sopra menzionato, non riescano a esercitare il basilare diritto di rivolgersi a un medico per ricevere cure perché la burocrazia, l’indifferenza, l’inefficienza di leggi e dell’amministrazione, e quindi dello Stato, lo impediscono. È così che si palesa una disuguaglianza che crea disagio non solo alle singole persone, ma a tutta quella “collettività” anch’essa menzionata nell’art.32.

Se è vero, quindi, che le discriminazioni possono indossare mille vesti e che proprio la Giornata internazionale del 1 marzo (istituita da UNAIDS, Programma delle Nazioni Unite per l’HIV) vuole ricordare, allora è altrettanto utile conoscere come l’Italia rischia di violare palesemente e in modo quasi sistemico uno dei diritti fondanti della democrazia. Contribuendo a lasciare indietro e a emarginare persone che vivono nel nostro territorio.

Voci Globali ne ha parlato con Andrea Belardinelli, responsabile del Programma Italia di Emergency, nato proprio per offrire tutti quei servizi essenziali in ambito sanitario che non vengono erogati in diversi territori periferici della nostra nazione. Nell’intervista ci ha innanzitutto spiegato che il progetto è stato creato per superare gli ostacoli e le difficoltà nell’accesso alle cure e che dal 2006 a oggi le attività non si sono, purtroppo, fermate:

Tutto è iniziato a Palermo, in Sicilia, terra di accoglienza, dove la percentuale di migranti è alta… da lì sono partiti gli ambulatori fissi o mobili attrezzati per tutte le cure di base, con medici, psicologi, mediatori culturali  – che sono anello cruciale di questo approccio sistemico – infermieri, logisti.

Queste cliniche mobili hanno avuto un successo incredibile, ha spiegato il responsabile Emergency, perché tante parti di Italia, per ragioni di geografia e orografia, sono di difficile raggiungimento per le Asl sanitarie locali. Per esempio, nella fascia trasformata di Ragusa, in Sicilia orientale, dove c’è una produzione ortofrutticola importante portata avanti da braccianti stagionali africani e dell’Est Europa, le serre sono dislocate in modo parcellizzato sul territorio e i lavoratori che qui vivono “banalmente” non riescono a spostarsi  – nemmeno per raggiungere un medico di base o un ufficio della Asl – perché non ci sono mezzi.

Sportello Emergency per servizi sanitari nei territori italiani

A Foggia, nel “ghetto di Rignano”, conosciuto per la produzione di pomodori c’è una comunità di braccianti che vive in situazioni abitative molto precarie che può contare solo sugli ambulatori mobili. Senza di essi, visto che mancano presidi delle Asl e anche mezzi pubblici di trasporto per spostarsi, nessuno si muoverebbe per cercare un medico o assistenza dopo una faticosa giornata di lavoro.

Si perde, in sostanza, quel diritto non solo alla cura, ma alla prevenzione che è alla base della medicina. La discriminazione, in questo modo, lavora a danno delle persone, impossibilitate a raggiungere un medico o un ambulatorio, e a svantaggio del sistema sanitario stesso. Se trascurato infatti, un problema di salute diventerà grave o cronicizzato e dovrà essere affrontato in emergenza in un pronto soccorso o con una ospedalizzazione. Tralasciando l’aspetto umano, solo a livello economico è una perdita per lo Stato.

È su questo ragionamento che insiste Belardinelli: “Il sistema sanitario italiano era considerato uno dei migliori al mondo proprio perché poneva l’accento sull’accesso alle cure primarie come dettato dall’articolo 32, che devono essere gratuite e date a qualsiasi persona, non solo ai cittadini italiani. Ma nel tempo questa universalità, che permetteva di non discriminare, è andata scemando.

Non è tanto il pronto soccorso che manca o non cura – continua Belardinelli – qui si parla di cure primarie. Non posso andare al pronto soccorso per un problema e per capire cos’ho… se ci fossero nei territori ambulatori e medici che ascoltano bisogni, come dice la Costituzione, ne gioverebbero tutti (anche a livello economico, visto che un accesso al pronto soccorso costa di più di un accesso ambulatoriale). In sostanza, persone e bilanci delle regioni ne beneficerebbero. Una popolazione sana, in fondo, è una popolazione che produce“.

L’assistenza deve essere di prossimità, vicina alle persone e arrivare, come sottolinea Emergency che viaggia con i suoi ambulatori mobili, nei posti d’Italia dimenticati – “nei territori terremotati, nelle periferie milanesi, nelle campagne ragusane con l’obiettivo di orientare il paziente… perché spesso per una persona vulnerabile, che vive uno stato emotivamente e di vita difficile anche chiamare il Cup, o trovare documenti sanitari per accedere alle cure è un ostacolo grande. Uno straniero che non conosce la lingua, un italiano che vive in strada… non hanno la forza di far valere il diritto alle cure”.

È così che si costruisce la discriminazione. La stessa burocratizzazione di molte pratiche sanitarie è un problema cronico italiano e una vera e propria patologia. Così come l’incapacità di leggere o applicare normative e regolamenti che cambiano di regione in regione e spesso causano disuguaglianze.

Lo sa bene l’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), che costantemente rimarca e denuncia mancanze e storture soprattutto amministrative e riguardanti anche il diritto a essere curati. Lo scorso 14 febbraio, per esempio, nell’annunciare che finalmente anche Veneto e Lombardia avevano recepito quanto stabilito dal Decreto del presidente del consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 in materia di assistenza sanitaria dei minori, ha anche allertato che persistono territori non ancora in regola su questo punto.

La mancanza è grave perché, sebbene esista la legge che permette a qualunque minore, senza di titolo di soggiorno, non accompagnato o regolare ma in attesa di rilascio o rinnovo del permesso di iscriversi al Sistema Sanitario Nazionale e avere un pediatra gratuito, se la regione non interviene con delibere ad hoc per rendere efficace la norma, il diritto non si può esercitare.

Questo è un evidente caso di come un sistema amministrativo non efficace genera discriminazione. C’è una breve storia che può meglio illuminare sull’ingiustizia creata da ostacoli burocratici. L’ha raccontata in una intervista Rosalia Maria Da Riol, pediatra della Società Italiana Medicina delle Migrazioni e riguarda il minore Amir, arrivato in Italia dal Pakistan all’età di 4 anni.

Era un bambino esile, piccolo di statura con un modesto ritardo dello sviluppo neuro-cognitivo. Il padre, privo di permesso di soggiorno, portava il piccolo al pronto soccorso solo in caso di effettivo bisogno e comunque nessun operatore sanitario gli aveva detto che poteva avere le cure di un pediatra come tutti gli altri bambini italiani.

In uno dei rari ingressi al pronto soccorso per “dermatite”, dopo più di due anni, ha avuto la fortuna di incontrare un pediatra più sensibile, o forse semplicemente meno oberato di lavoro, che gli ha fatto fare alcuni semplici accertamenti che hanno evidenziato che è affetto da celiachia. Ebbene ora Amir è seguito da un pediatra di libera scelta, ha una dieta adeguata e sta riprendendo a crescere.”

Nel frattempo, però, sono passati anni che potevano portare maggiori benefici alla salute del piccolo, grazie a una “banale” assistenza di base pediatrica, molto meno costosa per le casse statali rispetto a ripetuti interventi in pronto soccorso.

Assistenza per pratiche sanitarie negli ambulatori e uffici Emergency

Sempre l’Asgi, supportata in questa battaglia da Emergency, ha messo in luce un’altra ingiustizia, che ha avuto come esito la condanna per condotta discriminatoria in ambito sanitario della Regione Lombardia.

A gennaio 2023, il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso delle due associazioni che avevano denunciato l’ente regionale perchè chiedeva il pagamento della spesa sanitaria alle persone disoccupate se queste non avevano mai lavorato prima. Come spiegato da Asgi, la Legge 537/1993 stabilisce che sono esenti dalle spese sanitarie sia inoccupati (che non hanno mai lavorato) che disoccupati, come confermato anche in un parere del Consiglio di Stato, ma le regioni non si sono adeguate.

Le conseguenze sono palesi violazioni della norma e dello stesso spirito costituzionale. Il commento dei giuristi sul tema non può essere più esplicito:

Se la richiesta discriminatoria di pagamento del ticket colpisce in particolare i richiedenti asilo e i rifugiati, che, rispetto ad altre categorie, soggiornano sul territorio da meno tempo e, nella maggior parte dei casi, non hanno avuto rapporti lavorativi pregressi all’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale (SSN), di fatto colpisce indistintamente tutti coloro che non hanno mai potuto lavorare in precedenza e si trovano ad usufruire della sanità pubblica, cittadini italiani inclusi.

C’è una riflessione interessante di Marco Mazzetti, presidente della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, che fa luce su un aspetto: “con le nostre tasse finanziamo i torturatori libici, i quali producono i profughi vittime di violenza che poi ci troviamo a curare: una situazione davvero paradossale”. E poi, ancora:

L’epidemiologia delle migrazioni in Italia parla chiaro: nonostante le voci su presunte importazioni di malattie esotiche, gli immigrati non portano malattie. Le indagini fatte su questo argomento dimostrano che essi partono sani e sani arrivano da noi; questo è vero sia per quanto riguarda la salute fisica che quella mentale. Si ammalano poi nel nostro Paese a causa delle condizioni di vita che trovano, ad esempio quelle di lavoro.

Facendo una somma di questi fatti e testimonianze, che sottostimano la reale portata della discriminazione nell’accesso alle cure, viene da chiedersi: cosa si può fare per raddrizzare queste disuguaglianze?

Basterebbe più lungimiranza, efficienza e serietà nelle scelte e nella pratica politica. Secondo Belardinelli “La medicina è una scienza politica perché va a toccare la possibilità della persona di rigenerare se stessa e portare avanti valori in cui crede. E qual è il compito di uno Stato democratico se non quello di permettere alle persone di lavorare per questo destino?”

La ricetta per fare tutto questo c’è e non è così difficile da proporre. Il responsabile Emergency la intende così: più risorse per la sanità pubblica anche attraverso il Pnrr e la nascita di Case della Salute nei territori, in modo che si crei una rete capillare di servizi nei posti più periferici delle regioni composta da ambulatori, uffici sanitari, medici, infermieri, psicologi, mediatori culturali.

In sostanza, occorrono presidi fisici per intervenire nella prevenzione, che offrano più servizi sanitari, di orientamento e sociali: “perché se sei un indigente nella periferia di Milano già spostarsi in 6 uffici diversi è un problema; se una persona ha una profonda depressione perché non ha lavoro, lo psicoterapeuta lo aiuta, ma poi occorre intervenire per formarlo e inserirlo in percorsi occupazionali; se una donna in gravidanza non è mai andata dal ginecologo perché non sa spiegarsi in italiano, non sa dove rivolgersi, non ha informazioni. Ecco, questo è assurdo.”

Basterebbe razionalizzare le risorse, orientarle nei servizi pubblici proprio nello spirito dell’art.32 della Costituzione. Secondo chi opera tutti i giorni per eliminare queste discriminazioni si può fare. Il diritto all’accesso alle cure non può essere indebolito, a perdere è l’intera società, anche quella sana e che non ha difficltà a curarsi.

Violetta Silvestri

Copywriter di professione mantiene viva la passione per il diritto internazionale, la geopolitica e i diritti umani, maturata durante gli studi di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, perché è convinta che la conoscenza sia il primo passo per la giustizia.

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