Sarajevo, la seconda vita del rock ex-yu, il racconto di Amir Misirlić

Insegna al neon che accoglie i visitatori dell’EX-YU Rock Centar di Sarajevo

Esasperati da nazionalismo e settarismo in ogni aspetto della vita pubblica, in Bosnia-Erzegovina sempre più giovani si appassionano al rock ex-jugoslavo. Ispirandosi alle grandi band del passato, i giovani riscoprono una storia che non hanno vissuto, ma da cui traggono spunto per creare qualcosa di nuovo. Nonostante sia un fenomeno trasversale che coinvolge anche altre città come Belgrado e Zagabria, Sarajevo è senza dubbio la protagonista in assoluto. Ne è l’esempio l’Ex-yu Rock Centar nato pochi mesi fa nel quartiere olimpico di Skenderija. Creato con il sostegno della comunità internazionale e animato dall’impegno dei giovani volontari che lo gestiscono, è ben presto divenuto uno dei centri culturali di punta della città. La storia del rock a Sarajevo è viva più che mai tra i giovani che affollano il centro. Questa nuova ondata di popolarità è assai rilevante, poiché esula dalla tradizionale aura di nostalgia tipica nell’Est-Europa e nei Balcani dopo il crollo del socialismo. Per avere un quadro più approfondito riguardo alla seconda vita del cosiddetto rock ex-yu tra le nuove generazioni, Voci Globali ha raccolto la testimonianza dell’artista, critico musicale e personaggio televisivo Amir Misirlić. Autore di numerosi volumi sull’argomento è una delle figure di riferimento nel panorama musicale bosniaco contemporaneo, nonché uno dei volti dietro l’Ex-yu Rock Centar. Parlando della scena musicale di Sarajevo, il popolare critico ne rintraccia il successo proprio a partire  dalla specificità delle sue origini:

A Belgrado, Zagabria e Lubiana i figli dei diplomatici e degli alti funzionari governativi che avevano la possibilità di acquistare dischi dall’estero, li compravano e poi li copiavano. Sarajevo era una provincia e non aveva una popolazione così ricca. I dischi erano difficili da trovare e da comprare. Perciò, si ascoltava Radio Luxembourg e le sue hit. Il suono era pessimo, ma all’epoca era la top chart più importante d’Europa. Il sabato sera quelle hit venivano riproposte nei club. Se poi non ricevevano una buona accoglienza, allora si doveva improvvisare sul momento. Così a Sarajevo si sviluppò un rock and roll del tutto originale, non più basato solo sull’imitazione e le cover di ciò che proveniva dall’estero.

Amir Misirlić

Per lungo tempo la vita culturale della capitale bosniaca è stata considerata non all’altezza delle altre capitali jugoslave ma verso la fine degli anni Settanta la situazione cambia. Misirlić afferma:

Tutto iniziò con i Bijelo Dugme. Loro furono il primo prodotto di Sarajevo che divenne un successo di massa in Jugoslavia. Dopo i Bijelo Dugme, la porta si aprì per tutti gli altri. Il sarajevese Zdravko Čolić diventò la più grande star musicale del Paese. E poi tutti gli altri: gli Ambasadori, i Teška Industrija e Kemal Monteno. Sarajevo divenne la Mecca della musica pop. […] Tutto ciò che c’era di popolare al livello musicale, cinematografico e televisivo veniva da Sarajevo. Nel 1984 arrivarono gli Zabranjeno Pušenje, i Bombaj Štampa e gli sketch televisivi della Top Lista Nadrealista che lanciarono la subcultura giovanile dei Nuovi Primitivi (Novi Primitivizam). Nello stesso anno ospitammo poi le Olimpiadi invernali.  Gli anni Ottanta segnarono anche la fama di Sarajevo nel cinema di Emir Kusturica.

Album fotografico dei Bijelo Dugme con il frontman Goran Bregović sulla destra e nastri originali dell’epoca

Diversamente dal blocco sovietico, la censura in Jugoslavia era decisamente più morbida, Misirlić prosegue:

A differenza di altri luoghi, la musica rock in Jugoslavia era più che tollerata. Lo Stato lasciò che si sviluppasse questa valvola di sfogo, permettendo uno spazio critico (controllato) per le nuove generazioni. Un altro aspetto da tenere in considerazione è che persino durante le proteste studentesche degli anni Sessanta a Belgrado, Zagabria e Sarajevo, nessuno dei leader studenteschi mise mai in dubbio il carattere socialista della società. Nonostante la sua anima anticonformista quella musica criticava la corruzione, il nepotismo, non il socialismo in sé o l’idea di Jugoslavia. Lo stesso Goran Bregović fu membro della Lega dei Comunisti. Lo è stato fino al 1982-1983, quando è stato cacciato per non aver partecipato alle riunioni, non perché si fosse scontrato con il partito.

Quando la Jugoslavia entrò nella sua fase finale, il nazionalismo iniziò a polarizzare anche il campo musicale e i segnali dell’imminente catastrofe sono evidenti nelle produzioni dell’epoca:

Dal 1986 inizia il declino verso la guerra. L’ultimo album dei Bijelo Dugme rappresentò il tentativo da parte della band e di Bregović di tenere unita la Jugoslavia. La canzone ”Pljuni i zapjevaj moja Jugoslavijo” (Sputa e canta, mia Jugoslavia) ne è l’emblema. Uno dei versi più distintivi recita “Ko ne sluša pjesmu, slušat će oluju” ovvero “Chi non ascolta la canzone, ascolterà la tempesta”. È un chiaro richiamo all’unità antifascista che aveva fondato la Jugoslavia, purtroppo il destino era già segnato. Nel loro ultimo tour, i Bijelo Dugme furono costretti a censurare il proprio repertorio a causa della virata nazionalista in Serbia e Croazia, quello fu l’inizio della fine.

Il 5 aprile 1992 la guerra arriva a Sarajevo e per la capitale inizia il più lungo assedio della storia militare moderna. Tuttavia, nonostante i continui bombardamenti, il tiro incessante dei cecchini e la disumanità delle milizie serbe, a Sarajevo non si smise di produrre musica:

Una buona parte della produzione di guerra riguardava le canzoni patriottiche composte per cercare di sollevare il morale. Allo stesso tempo però, sono nate moltissime nuove band durante l’assedio. Paradossalmente, il fatto che non ci fosse mercato permetteva di produrre e suonare dando libero sfogo alla propria creatività. Nonostante l’isolamento e la guerra, Sarajevo ha ospitato artisti e festival senza precedenti. Tra i nomi più importanti c’è stata Joan Baez, che ha suonato nel 1993. Poi c’è stato Bruce Dickinson nel ’94, dal suo concerto è nato poi il documentario “Scream for me Sarajevo“. Infine il nome più celebre è certamente quello Bono Vox che ha inserito Sarajevo nel tour promozionale per l’album “Zooropa”. Bono si è legato profondamente a Sarajevo. Pochi sanno che nel 1995 passò anche la vigilia di Capodanno in città, per poi tornare con gli U2 nel celebre concerto di Koševo nel 1997.

Installazione che riproduce la copertina dell’album di lancio degli Zabranjeno Pušenje

Finita la guerra, la scena musicale di Sarajevo è tornata a brillare con nuovi talenti come i Letu Štuke e  la celebre band Dubioza Kolektiv, oggi famosa in tutto il mondo. Tuttavia, il rock ex-yu è ancora assai popolare. A renderla di nuovo attuale sono proprio i più giovani. Secondo Misirlić le cause sono molteplici:

Per prima cosa bisogna riflettere sulla capacità della musica di unire. La Jugoslavia non esiste più come realtà politica, ma esiste ancora come spazio culturale, fatto di canzoni, libri e film. Questi prodotti sono in contrasto con la logica dicotomica del nazionalismo. I giovani che oggi non si sentono rappresentati da questa continua divisione trovano nel rock ex-yu qualcosa che unisce. […] All’epoca le band erano multietniche, questa è già una caratteristica dirompente per i giovani, poi il carattere ribelle della musica rock decostruisce la rigidità asfissiante della retorica nazionalista. Inoltre, la disillusione per l’attuale dibattito politico e per la mancanza di prospettive per il futuro porta i giovani ad interessarsi a questo tipo di musica prendendo da essa ciò di cui hanno bisogno. Nella mia esperienza ho notato che i giovani tendono a preferire dei messaggi diretti e chiari, è per questo che la musica rock è ancora così popolare.

La carica anticonformista e dissacrante delle subculture giovanili del passato oggi torna a vivere nelle nuove generazioni. Tramite la contaminazione tra passato e presente, oggi i giovani di tutta la regione sperimentano nuovi linguaggi creativi. Attraverso di essi, rivendicano i propri spazi nel campo della dell’arte e della cultura, da troppo tempo considerati ostaggio dell’immobilismo stagnante della società postbellica. [Tutte le foto utilizzate nell’articolo sono state scattate dall’autore tra il 4/01/2023 e il 15/01/2023 a Sarajevo]

Alessandro Cinciripini

Laureato in Studi dell’Africa e dell’Asia presso l’Università di Pavia, interessato a Vicino Oriente, Balcani e diritti umani. Attualmente a Sarajevo dove si occupa di progetti di promozione sociale e interculturale.

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