Segregazione scolastica: quando muore il senso di scuola pubblica
La multiculturalità domina ormai il mondo e la nostra stessa Italia. Per questo, parlare della presenza di alunni stranieri e del loro impatto sul sistema scuola è importante e, allo stesso tempo, rivelatore delle tante facce della società che stiamo costruendo.
Partendo dai numeri, nell’anno scolastico 2020/2021 gli studenti con cittadinanza non italiana che hanno frequentato le scuole del Paese, da quella dell’infanzia alla secondaria di secondo grado, sono stati 865.388, il 10,3% del totale degli alunni. Solo nella regione Lombardia, gli iscritti non italiani alle scuole pubbliche hanno toccato quota 220.771, ovvero più di un quarto del totale presente in Italia (25,5%).
Quando si parla di alunni stranieri che frequentano le nostre scuole, cosa si intende esattamente e quali fenomeni sociali si celano dietro i numeri?
Innanzitutto, è interessante notare, come lo stesso documento ufficiale del Miur mette in evidenza, che “la percentuale dei nati in Italia sul totale delle studentesse e degli studenti di origine migratoria, nel 2020/2021, è arrivata al 66,7%”. Si tratta della cosiddetta seconda generazione, ovvero bambini e ragazzi nati nella nostra nazione da genitori stranieri, che spesso hanno iniziato a frequentare le scuole italiane sin da subito.
Più che di integrazione tra bambini di differente nazionalità nelle classi, questi dati aiutano ad approfondire un altro fenomeno italiano e, nello specifico, studiato nel milanese: quello della segregazione scolastica, legato al white flight.
Nel Laboratorio di politiche sociali del Politecnico di Milano, il team composto da Costanzo Ranci, Marta Cordini, Carolina Pacchi, Andrea Parma si occupa da anni dell’osservazione del cosiddetto “volo bianco” o “esodo dei bianchi” (white flight) che sta trasformando il sistema scolastico pubblico milanese, con tutte le conseguenze di tipo sociale, culturale, educativo e sociologico che esso porta con sé.
Voci Globali ne ha parlato con il professore Costanzo Ranci, autore con Carolina Pacchi, del libro (oltre che degli studi al riguardo) intitolato “White flight a Milano. La segregazione sociale ed etnica nelle scuole dell’obbligo”. Nella presentazione del testo si legge:
Milano è ormai una città multietnica a tutti gli effetti: quasi un quarto dei bambini residenti proviene da un paese a forte pressione demografica. Nella scuola dell’obbligo questi futuri cittadini trovano l’opportunità per integrarsi e sviluppare le loro capacità. Questo volume segnala che tutto ciò avviene solo parzialmente. A frenare il processo è la forte segregazione scolastica di cui sono vittime i bambini stranieri, al pari di quelli residenti nelle periferie.
La peculiarità del fenomeno è che tale segregazione deriva da una ““fuga degli italiani” verso le scuole private e quelle a forte dominanza di italiani. L’esito è una netta separazione tra gli alunni italiani di classe sociale elevata, e quelli stranieri o svantaggiati socialmente”.
Una dinamica da non sottovalutare perché, come sottolineato dal professore Ronci, è “ormai cronica, stabile e si è instaurata da quando c’è un aumento forte della popolazione straniera a Milano. Si presenta da circa 10 anni e tende a riprodursi in modo costante e ripetitivo, senza rilevanti segnali di diminuzione”.
L’espressione “segregazione scolastica”, a detta dello stesso docente, è piuttosto impattante, ma questo vuole essere anche il suo scopo. Il fenomeno studiato, infatti, ha caratteristiche che vanno osservate con una certa apprensione. In sintesi, si parte dall’osservazione di una concentrazione di alunni stranieri più elevata in alcuni istituti (o viceversa, una concentrazione elevata o quasi esclusiva di alunni italiani) che però non riflette la distribuzione dei bambini in quel territorio.
Piuttosto, la tendenza è figlia di un altro fenomeno, che è la scelta dell’iscrizione scolastica.
In Italia c’è il diritto di libera scelta da parte delle famiglie dell’istituto nel quale far frequentare la scuola al proprio figlio, senza alcun vincolo, nemmeno territoriale. Ronci ha spiegato che “questa dinamica crea l’effetto che alcune scuole vengono evitate più di altre dagli italiani, con una la fuga dalle scuole considerate “pericolose”, che sono in realtà miste, in cui ci sarebbe un mix 40% – 50% di alunni stranieri, per andare verso scuole dove la concentrazione dominante è di italiani… c’è quindi una ‘autosegregazione’ degli italiani che porta alla segregazione”.
Il professore ha sottolineato che molto spesso alla radice di tale preferenze non c’è semplicemente un atteggiamento razzista dei genitori che fuggono dalle scuole miste. La spiegazione è piuttosto ancorata all’imperativo, ormai dominante nelle famiglie, di voler offrire la migliore istruzione possibile ai propri ai figli, capace di dare loro una opportunità in più di successo in un mondo guidato da una sfrenata competitività.
In questo modo, però, si crea un effetto di sistema indesiderato, perverso che è appunto la segregazione scolastica. Con dei paradossi: ci sono istituti scolastici con programmi didattici stimolanti, innovativi, nei quali si parla di globalizzazione, di dinamiche mondiali, di Africa, di Sud America...”ma poi i bambini hanno pezzi di Sud America dietro l’angolo che neanche vedono…”.
Inoltre, parte del white flight si concretizza nell’iscrizione alle scuole private. A Milano, per esempio, quasi un quarto dei bambini italiani frequenta una scuola privata e ci sono quartieri in centro dove più di un bambino su 2 è iscritto in un istituto non pubblico, dove la presenza degli stranieri è quasi zero. “C’è una élite che così si chiude in se stessa e forse crea un mondo protetto, riparato, in una reazione di paura, di timore, di fuga dalle sfide di oggi del multiculturalismo…”, riflette il professore.
Studiando il fenomeno, Ronci ne ha avvertito e spiegato gli elementi negativi e per nulla rassicuranti per la futura società:
Dovremmo evitare che si crei questa selezione, perché essa prepara alle selezioni successive nelle scuole superiori e nel lavoro… Questo fenomeno poteva essere accettato o accettabile nelle prime ondate migratorie, magari come reazione di estraneità o di sorpresa.
Ma se è cronico, significa che stiamo costruendo un sistema in cui il concetto di scuola pubblica uguale per tutti perde significato, rischiando di avere scuole di serie A e di serie B, andando contro la missione stessa della scuola, che sarebbe quella di evitare la creazione di disuguaglianze di partenza… se queste diseguaglianze le creiamo e le sottolineano, stiamo lavorando nel senso contrario a quello dell’istruzione pubblica.
Il danno che può essere provocato da questo fenomeno non è di poco conto. In sostanza, si deprime la capacità integrativa della scuola, alimentando la polarizzazione nella società, la separatezza tra gruppi sociali, il reiterarsi di vecchie e nuove disuguaglianze.
Lo ha chiarito, in un intervento, anche il presidente di Con i bambini, Marco Rossi-Doria, spiegando che quando le famiglie più protette preferiscono iscrivere i propri figli in scuole di altri quartieri, mentre quelle di prossimità sono frequentate in prevalenza da bambini e ragazzi di famiglie socialmente meno protette o con storie migratorie si innesca un “deperimento dei percorsi educativi, che invece potrebbero arricchirsi delle reciproche differenze, grazie alla cura costante nell’assicurare sempre di più solide competenze disciplinari per tutti, sia nell’accoglienza per ciascuno e nella cura della relazione educativa. È così che si evitano le ‘scuole ghetto’ che rendono ancora più aspre le disuguaglianze.”
D’altronde, l’integrazione a scuola passa attraverso la mixité, ovvero la possibilità di contare su ambienti scolastici che siano eterogenei e non omogenei, dove l’eterogeneità della società possa riflettersi nella scuola, chiamata al compito di integrare, favorendo la mescolanza. Ne è convinto il professore Ronci, così come non ha dubbi che l’istituzione scolastica – e gli insegnanti – sono spesso vittime di tale dinamica sociale e non cause. L’assenza di una governance di sistema, infatti, rende assai difficile poter cambiare rotta.
La segregazione scolastica, studiata a Milano ma probabilmente tendenza visibile anche altrove in Italia, può essere evitata e limitata. Le ricette ci sono, secondo il docente del Politecnico, e passano attraverso la sperimentazione pedagogica pubblica anche in quartieri periferici, dove la concentrazione di stranieri e di bambini di classi sociali basse è alta; il fare rete tra scuole statali e non, con scambi di idee, progetti, competenze; un maggiore protagonismo e presenza degli enti locali; l’attenzione e la cura all’edilizia scolastica.
“L’istruzione è un diritto umano, un bene pubblico e una responsabilità pubblica”: questo si legge sul sito Onu dedicato alla Giornata internazionale dell’educazione, che si celebra il 24 gennaio.
L’aggettivo pubblico compare ben due volte nella breve frase, affiancato dal sostantivo responsabilità, che richiama fortemente al ruolo della politica, quella lungimirante. E non a caso, considerando il protagonismo richiesto all’istituzione scolastica nel formare i cittadini del mondo. Tutti, senza segregazioni.