Solarpunk, un nuovo linguaggio per affrontare la crisi ambientale

Quando quattro attivisti di Ultima Generazione hanno cosparso di vernice arancione la facciata del palazzo del Senato, lo scorso 2 gennaio, il mondo delle istituzioni ha parlato di oltraggio, offesa e vandalismo.

Seppure, al momento, la richiesta di sorveglianza speciale per l’attivista Simone Ficicchia sia stata ridotta (a quella semplice), l’atteggiamento rispetto all’interesse e all’azione concreta verso i temi ambientali sembra andare in contraddizione con gli impegni che i Governi si assumono di fronte ai cittadini.

Così, se da un lato gli ordinamenti internazionali si riempiono di disposizioni e impegni per regolare le emissioni e avviare una transizione sostenibile, dall’altro si denunciano gesti di presunta criminalità e profanazione. Repressione, condanna e sproporzionalità delle pene si sostituiscono alla preziosa occasione di dialogo e accoglienza delle istanze ecologiste.

Termini duri che caratterizzano sempre più spesso la descrizione della lotta ambientale e della crisi energetica, dandone un’accezione pericolosa e quasi colpevole.

E, mentre da tutto il mondo la critica alle contestazioni che dilagano tra le piazze e i luoghi d’arte si eleva, giudicandole talvolta inutili e dannose, il linguaggio con cui si parla di attivismo ambientale e di cambiamento climatico si fa sempre più aspro.

Diventa doverosa, dunque, una riflessione sulla comunicazione di cui la tutela e la ricerca di una via d’uscita per il nostro Pianeta è rivestita, senza distogliere lo sguardo anche dal generale alone di negatività che sembra caratterizzare tutti i concetti legati alle emergenze ambientali del nostro tempo.

Le rivolte giovanili, innanzitutto, se da un lato raccolgono consenso e ammirazione per l’azione, dall’altro vengono descritte sempre più sotto la luce del disturbo e del disagio che arrecano.

Gli stessi movimenti, d’altro canto, che mantengono un’identità non violenta, urlano slogan inneggianti a vie di non ritorno, colpe antropiche e sabotaggi della vita stessa. Scelgono vie sempre più estreme nella loro protesta, esprimendo la rabbia e la possibilità, forse, di allontanarsi dalla via pacifica della lotta.

Allo stesso modo, siamo circondati, nel quotidiano modo di raccontare l’ambiente, di termini che investono in modo negativo non soltanto lo stato socio-politico delle nostre società, ma anche la condizione psicologica degli uomini stessi.

Basti considerare, ad esempio, che la parola dell’anno del 2022 secondo il dizionario Collins è stata “Permacrisi”, ovvero un lungo periodo di insicurezza e instabilità. Il termine è stato usato anche da Christine Legarde, presidente della Bce, durante il suo discorso di apertura per l’annuale conferenza dell’European Systemic Risk Board.

Il cambiamento climatico, infatti, è indicato accanto alla pandemia e alla crisi dell’Ucraina come uno dei principali motivi di instabilità nel nostro Continente.

Ma la pericolosità che suscita l’incertezza di un futuro compromesso, a causa  dello stato del Pianeta, si riversa sempre più anche nello stato d’animo umano, che soprattutto tra i più giovani desta preoccupazioni per nuovi rischi psicologici come la solastagia e l’ecoansia.

Il primo, la solastalgia, è una parola coniata nel 2003 dal filosofo Glenn Albrecht e indica un particolare tipo di nostalgia e malinconia per un luogo, un ambiente familiare che, intorno, è alterato da cambiamenti profondi e repentini che sfuggono al nostro controllo.

L’ecoansia, invece, lega in maniera indissolubile i cambiamenti climatici a un aumento dei tassi di stress post-traumatico, ansia, non solo tra chi in qualche modo è stato vittima di una catastrofe o grosso evento ambientale, ma anche tra quanti hanno consapevolezza della situazione.

Insomma, dagli attori agli spettatori della crisi in atto, il clima e l’ambiente non sono tinti di verde, ma la negatività (e il linguaggio della violenza) sembrano avere la meglio.

La preoccupazione per i cambiamenti climatici conduce spesso a quella che è stata definita ecoansia. Immagine da Google Immagini con licenza CC
La preoccupazione per i cambiamenti climatici conduce spesso a quella che è stata definita ecoansia. Immagine da Google Immagini con licenza CC

In controtendenza rispetto a queste percezioni sull’assenza di soluzioni e possibili prospettive si mostra, invece, la realtà di Solarpunk.

Movimento, genere letterario, visione, si racconta a Voci Globali attraverso Romina Braggion e Silvia Treves, redattrici.

Proprio a proposito del linguaggio e della negatività che sembra caratterizzarlo ci raccontano:

Il linguaggio forma il pensiero e forma l’azione. L’abitudine alla negatività dello stesso ha portato a una situazione di stallo, in cui si fa una cronaca del presente senza una riflessione sul passato e senza alcun tipo di visione costruttiva rispetto al futuro.

Il messaggio sembra dire che non c’è speranza per risorgere da questo mondo danneggiato.

Certo, non si può negare, non si può dare un’accezione positiva ad un’evidenza che non lo è, però Solarpunk cerca di riscrivere la visione e di riscriverla in maniera concettualmente speranzosa. Il Solarpunk cerca di immaginare, anche a livello lessicale, un mondo migliore, pur non negandone la negatività.

Manifesto di Solarpunk. Immagine gentilmente concessa dall’associazione

E l’immaginazione, non l’utopia, sembra essere uno dei tratti distintivi di una realtà che seppur non facile da definire ha tante sfaccettature.

Una ideologica, ma anche molto pratica“, come ci spiega Silvia, “Solarpunk è anche un movimento letterario, con una visione scientifica ma anche politica: perché individua una serie di responsabilità del modello di sviluppo attuale, quindi è anche combattivo, è punk! C’è anche un forte elemento di solidarietà, nel tentativo di superare ad esempio l’individualismo con la collettività“.
Ancora, aggiunge Romina, “la prima cosa che non è: non è tutto ciò che viene passato per ecologico, sostenibile ma in realtà non lo è affatto. Non è una moda ed è molto critico verso l’attuale status quo, del sistema e dei meccanismi che lo sostengono.

Nel definire le modalità di azione del movimento, anche qui, il discorso si fa molto ampio, perché comprende forme di azione ed attivismo solidale, ma anche attività dal punto di vista artistico e letterario.

Quest’ultimo aspetto è quello che maggiormente caratterizza Solarpunk Italia come “parte letteraria di un movimento più generale, per sollecitare, coltivare l’immaginazione in un’ottica costruttiva e positiva. Per superare un lessico attualmente legato alla catastrofe e trasformarlo in qualcosa di migliore (ma non per forza contrapposto)“.

Esso nasce nel 2021, “un po’ per caso, molto per passione“, dall’impulso di Franco Ricciardiello, rinomato scrittore di fantascienza e insegnante di scrittura creativa. Ha cercato di creare qualcosa che fosse diverso da una distopia imperante, riunendo attorno ad un’idea qualche amico.

Infine, in un esercizio di riscrittura della comunicazione attuale del messaggio ambientalista e della tutela della sostenibilità, Silvia e Romina propongono alcuni “nuovi termini”.

Innanzitutto la volontà di contrapporsi all’idea di ecoansia è molto decisa: “comprendere che non siamo forse più abituati ad affrontare il male di vivere non ci può legittimare ad inventare delle patologie. Questa attitudine alla negatività ci porta a rendere negativo tutto, quando l’essere umano ha affrontato ben altro. Per questo il punto di partenza è discernere, capire bene cosa significano le parole“.

Tra le parole traino di questa nuova volontà ed esercizio propositivo, c’è speranza, ma anche conoscenza: per imparare attraverso il lessico a comprendere la nostra realtà.

C’è bisogno di responsabilità, delle proprie azioni e delle parole” e infine (ma non per ultima) l’immaginazione.

Per raggiungere un futuro, infatti, secondo le redattrici del movimento è necessario immaginarlo.

Immaginare un mondo per poterlo realizzare“.

Silvia Treves e Romina Braggion, redattrici di Solarpunk. Foto gentilmente concessa da Romina.
Silvia Treves e Romina Braggion, redattrici di Solarpunk. Foto gentilmente concessa da Romina.

Vanna Lucania

Laureata in Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, esprime con la parola scritta i suoi interessi per l'educazione, l'ambiente e l'Africa. Dal volontariato alle ONG coltiva l'obiettivo di "lasciare il mondo migliore di come lo ha trovato".

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