21 Novembre 2024

Colombia, le mille ferite che il presidente di sinistra dovrà curare

Archiviata l’euforia per la vittoria a sorpresa del primo presidente di sinistra, Gustavo Petro, e in attesa del suo ufficiale insediamento, per capire qual è davvero la posta in gioco per il cambiamento in Colombia basta spostare i riflettori su eventi non elettorali.

Dopo il ballottaggio del 19 giugno, infatti, un altro fatto significativo ha suscitato attenzione: la Commissione per la verità della Colombia ha presentato il suo rapporto finale sul conflitto civile durato più di 50 anni, dichiarando che almeno 450.664 persone sono state uccise in quasi sei decenni di combattimenti.

È questa la piaga più profonda e non ancora guarita della nazione, che ha plasmato per generazioni un Paese diviso, spesso violento, con una povertà e una disuguaglianza sociale a livelli record, affamato di giustizia e del riconoscimento di diritti umani basilari. Il tanto atteso rapporto della Commissione per la verità del 28 giugno ha affermato che l’effetto del conflitto tra l’esercito colombiano e i gruppi ribelli è stato “massiccio e intollerabile”. Esso è presente ovunque e, come spiegato da Darwin Molina, attivista nella città portuale di Buenaventura, “per capire la Colombia, devi capire la guerra civile. Tutto si ricollega a quello”.

La Commissione è stata istituita nell’ambito di un accordo di pace del 2016 tra il Governo e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC), che ha posto le premesse per la fine della guerra civile più lunga nelle Americhe. Il suo compito era documentare gli abusi e spiegare cosa ha causato il persistere del conflitto per così tanto tempo. La guerra, iniziata con una rivolta armata di contadini marxisti nel 1964, si è estesa in tutto il Paese nel corso di quasi sei decenni ed è deteriorata negli anni ’90 a causa del traffico di droga e dell’ascesa di fazioni paramilitari che spesso operavano in collusione con militari e politici.

Sulla base di interviste con oltre 14.000 vittime del conflitto, oltre a leader militari ed ex combattenti, il rapporto ha fornito un bilancio aggiornato delle violenze. Oltre alle 450.664 persone uccise tra il 1985 e il 2018, ne sono scomparse almeno 121.768. Circa 55.770 sono state rapite tra il 1990 e il 2018, mentre almeno 7,7 milioni di persone sono state sfollate tra il 1985 e il 2019.

Il rapporto ha mostrato che l’economia locale della droga ha potenziato i gruppi armati ed esacerbato la violenza. Mentre gli Stati Uniti hanno versato milioni di dollari al Governo colombiano nell’ambito del Plan Colombia, lanciato nel 2000, per aiutare a combattere una “guerra gemella” contro il traffico di droga e i ribelli armati, la coltivazione della coca è continuata senza sosta.

Secondo l’accordo di pace, migliaia di agricoltori avrebbero dovuto sostituire la coca con piante legali, come il cacao o il caffè, ma quando i sussidi governativi per sostenere la transizione non sono mai arrivati, i contadini sono ricorsi ancora una volta alle colture di coca. Più di qualcosa, infatti, non ha funzionato dal 2016 in poi, quando Governo e FARC avevano promesso un nuovo inizio.

La violenza si è inizialmente placata. Ma due anni dopo, la nuova amministrazione di Iván Duque ha ritardato la sua attuazione e ha ostacolato le promesse precedenti, in particolare gli investimenti nelle aree di conflitto. Quando nuovi gruppi armati o scissionisti hanno iniziato a colmare il vuoto lasciato dalle FARC, il conflitto armato è ripreso. Il Governo ha preferito le soluzioni militari alle strategie sociali. Di conseguenza, molte comunità che erano punti di crisi durante la guerra civile ora si sentono abbandonate.

In questa cornice, non stupisce che l’anno appena trascorso sia stato contrassegnato da un ritorno alla violenza al livello più alto degli ultimi cinque anni.

Bandiera dell'Esercito di Liberazione Nazionale per le vie della Colombia. Il gruppo di guerriglieri non ha firmato la pace del 2016 - Foto Flickr Creative Commons - Julián Ortega Martínez
Manifesto dell’Esercito di Liberazione Nazionale per le vie della Colombia. Il gruppo di guerriglieri non ha firmato la pace del 2016 – Foto Flickr Creative Commons – Julián Ortega Martínez

Nell’analisi del Comitato Internazionale della Croce Rossa è emerso che in Colombia sono in atto sei conflitti. La riconfigurazione degli attori armati non statali e l’aumento degli scontri, del controllo sulla società da parte dei guerriglieri e delle controversie territoriali hanno aumentato la pressione sulla popolazione civile e hanno posto nuove sfide per l’assistenza umanitaria. Omicidi, sfollamenti forzati, confinamento e reclutamento sono incrementati vertiginosamente. Gli schieramenti militari colombiani nelle aree più colpite non sono riusciti a invertire questa ondata di insicurezza.

Nel 2021 il CICR ha contato 486 vittime di ordigni esplosivi e 52.880 nuovi sfollati. In realtà questi ultimi sono molti di più e, tra gennaio e novembre dello scorso anno, l’organismo di coordinamento degli aiuti di emergenza delle Nazioni Unite, OCHA, ha segnalato più di 72.000 nuovi sfollamenti, quasi triplicati rispetto allo stesso periodo del 2020. Con circa 5,2 milioni, la Colombia è tra i primi Paesi al mondo per sfollati interni a causa del conflitto.

Inoltre, la tragedia delle sparizioni non è cessata. Da un lato, migliaia di famiglie continuano a vivere incertezze e angosce perché non conoscono il destino e il luogo in cui si trovano i loro cari, anche se, in molti casi, gli eventi sono accaduti diversi anni, anche decenni, fa. D’altra parte, in diverse aree del Paese continuano a registrarsi sparizioni e le misure che sono state messe in atto per prevenire questo fenomeno sono insufficienti. Ne è prova che nel 2021 solo la Croce Rossa ha documentato ogni due giorni, in media, un nuovo caso di scomparsa legato a conflitti armati e violenze.

Da sottolineare che fornire servizi sanitari in Colombia è sempre più pericoloso, soprattutto nelle aree maggiormente colpite dalla guerriglia. Con 553 aggressioni registrate nel 2021 dal National Medical Mission Board, si registra per il terzo anno consecutivo un aumento storico, con un balzo del 70% rispetto al 2020.

Nel frattempo l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), il principale gruppo di guerriglia di sinistra che non è entrato a far parte dell’accordo del 2016, ha ampliato le sue attività, esercitando efficacemente il controllo su 189 dei 1.123 comuni della Colombia nel 2022, in forte aumento rispetto ai 136 del 2018, secondo Indepaz. Il presidente neoeletto Petro, non a caso, ha già lanciato un appello di cessate il fuoco e di apertura di colloqui con i guerriglieri.

La presenza ancora così solida di gruppi armati in alcune aree della nazione ha innescato una catena di violenze inaudite anche contro le donne. A Tibú, piccola città lungo il confine con il Venezuela, un’ondata crescente di atti aggressivi in quella che è la principale regione produttrice di coca della Colombia, ha preso di mira le donne, provocando un aumento senza precedenti di omicidi e costringendo molte alle fuga.

I crescenti femminicidi sono legati ai gruppi armati che combattono per il potere e l’influenza sul territorio, diffondendo paura tra i residenti locali. L’aumento delle violenze sottolinea un crollo dell’autorità di Governo, che si sta verificando anche in altre parti del Paese.

Tutto questo è iniziato nel 2021, quando un gruppo armato composto da ex membri delle Forze armate rivoluzionarie (FARC) aveva creato un elenco di donne considerate objetivo militar, ovvero un bersaglio di violenza. I video che incolpavano le donne accusate di essere collegate ad agenti di polizia, soldati o altri funzionari statali hanno poi iniziato a circolare sui social media.

Almeno 12 donne sono state uccise tra aprile e dicembre dello scorso anno. Con una popolazione di soli 21.500 abitanti a Tibú, quel numero è significativo, dato il bilancio nazionale di 210 femminicidi per l’anno. Nella città, la dozzina di omicidi rappresenta un aumento del 400% di tali omicidi rispetto al 2020.

Il momento è considerato di enorme agitazione e tensione in Colombia anche per i quattro anni caratterizzati da lunghi blocchi pandemici, shock economici, proteste urbane di massa e accelerazione del conflitto violento nelle aree rurali. Uno sciopero nazionale nel 2021 ha messo in luce una profonda frustrazione per la disuguaglianza e la mancanza di mobilità sociale che deve ancora essere affrontata. Le proteste iniziate nell’aprile di quell’anno si sono diffuse rapidamente in tutto il Paese, bloccando numerose grandi autostrade e molte strade intraurbane, soprattutto nella città di Cali.

Proteste della popolazione fermate dalla polizia, aprile 2022 – Foto da video France24

Amnesty International ha segnalato anche episodi di uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza contro manifestanti pacifici, in particolare a Cali. La polizia ha arrestato e torturato persone in protesta e sono state segnalate violenze sessuali e di genere contro donne e persone LGBTI.

I disordini alla fine si sono esauriti per sfinimento dei protestanti, non per risposte offerte dal Governo. Tuttavia l’indignazione popolare per le iniquità dello status quo sociale e politico della Colombia ribolle ancora. C’è tutto un sistema economico da cambiare radicalmente nella nazione sud-americana.

Petro ha condotto la sua campagna promettendo di espandere i programmi sociali, tassare i ricchi e abbandonare un’economia dipendente dai combustibili fossili. Ha affermato che da quando ha abbandonato un’economia basata sul caffè 30 anni fa, la Colombia è diventata troppo dipendente dalle esportazioni di petrolio, carbone e cocaina, la cui produzione è triplicata dal 2012. I primi due sono insostenibili a causa dell’emergenza climatica e l’ultimo è un “cancro” da estirpare secondo le statistiche commerciali, visto che ha alimentato una micidiale rinascita di bande armate.

Lo scrittore John Bunyan, economista di formazione, ha ricordato che “il traffico di droga è fiorito dove l’industria urbana è scomparsa e l’agricoltura non redditizia ha permesso ai gruppi di narcotrafficanti di conquistare le campagne”. Ricostruendo l’agricoltura e l’industria, l’obiettivo è indebolire le organizzazioni criminali colombiane e il loro potere politico.

La professoressa Antonella Mori, a capo del programma America Latina di Ispi, ha spiegato a Voci Globali qual è l’attuale situazione del Paese.

La congiuntura economica è abbastanza positiva, migliore di altri Paesi della regione (il Fondo Monetario Internazionale stima una crescita del 5,8% nel 2022), anche grazie agli alti prezzi internazionali delle materie prime, soprattutto energetiche. L’inflazione era in crescita, ma la politica monetaria restrittiva dovrebbe mantenerla sotto controllo. La povertà è molto alta (36% della popolazione nel 2021) ed è cresciuta con la pandemia. La distribuzione del reddito è molto iniqua, tra le peggiori nel mondo (Indice di Gini circa 0,55) e il 10% della popolazione più ricca guadagna il 50% del reddito nazionale.

Non solo. Anche se la pandemia ha di certo peggiorato la situazione, l’elevata povertà e disuguaglianza erano preesistenti anche al conflitto interno, con alcuni studiosi che ne fanno risalire le cause alla colonizzazione, ha precisato Mori.

C’è davvero molto da fare in Colombia per colmare i solchi profondi scavati dalla guerriglia e da una politica poco coraggiosa e improntata sulla disuguaglianza sociale. Una riflessione amara, ma realistica sulla società colombiana ferita, l’ha suggerita proprio il rapporto della Commissione per la verità:

Un elemento centrale che potrebbe spiegare la persistenza del conflitto è la stigmatizzazione come meccanismo di costruzione del nemico e come base per la persecuzione e lo sterminio fisico, sociale, politico… Questo meccanismo è installato nella nostra cultura come estensione dei tanti pregiudizi che hanno accompagnato la costruzione della nazione.

Dopo decenni in cui tutti sono stati nemici di qualcuno in Colombia, secondo questa analisi è giunto il tempo dell’empatia. Una sfida importante e di grande valore per la rinascita di un popolo.

Violetta Silvestri

Copywriter di professione mantiene viva la passione per il diritto internazionale, la geopolitica e i diritti umani, maturata durante gli studi di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, perché è convinta che la conoscenza sia il primo passo per la giustizia.

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