[Traduzione a cura di Gaia Resta dell’articolo originale di Lydia Namubiru e
A distanza di molti anni, Tosin Falana ha un ricordo piuttosto vivido del traumatico aborto della sua amica Amara [i nomi sono stati modificati]. All’epoca frequentavano l’Università. “Mi chiamò e mi disse che era incinta. Si vergognava perché eravamo ancora delle studentesse“, ha raccontato Falana.
Alla fine Amara decise di interrompere la gravidanza, ma l’aborto era illegale in Nigeria e, allora come oggi, può essere punito con un massimo di 14 anni di detenzione salvo che non sia praticato per salvare la vita della donna.
“Credo che siano soprattutto le ragazze più giovani e le donne in difficoltà economica a ricorrere all’aborto“, ha dichiarato Falana, che oggi ha 38 anni e insegna nello Stato di Ogun, nella zona Sud-Ovest del Paese.
“Se il bambino avrà di che mangiare, è il benvenuto. Altrimenti, le donne scelgono di interrompere la gravidanza“.
Amara, come molte altre ragazze giovani e/o indigenti, non ha potuto fare altro che abortire, in una clinica clandestina. E, come comunicato a Falana in una telefonata, ci sono state delle complicazioni.
L’operatore sanitario che aveva eseguito la procedura aveva detto che non era stata del tutto efficace e quindi andava ripetuta. Non è chiaro se l’operatore stesse raggirando Amara, ma in ogni caso la ragazza è dovuta tornare più volte in clinica perché certificassero il suo stato di buona salute.
Un cupo presagio
Gli Stati Uniti sembrano propensi a rovesciare la sentenza Roe contro Wade del 1973, annullando le leggi federali che tutelano l’accesso all’aborto [la Corte Suprema ha annullato la sentenza il 24 giugno e, in risposta, l’8 luglio il presidente Biden ha firmato un ordine esecutivo per garantire la procedura medica, NdT]. L’esperienza di tante donne in Nigeria è un cupo presagio di cosa prospetta il futuro.
Secondo una stima del 2012, in Nigeria vengono praticati circa 1,25 milioni aborti ogni anno, soprattutto in strutture non autorizzate.
“Se una donna vuole abortire e trova un operatore qualificato, bene. L’intervento sarà eseguito a regola d’arte. Ma, nella maggior parte dei casi, ci si trova di fronte a dei ciarlatani“, dice Okai Haruna Aku, direttore esecutivo di Planned Parenthood Federation of Nigeria.
Aku esercita la professione medica in Nigeria da 30 anni. Ha visto molte pazienti con l’utero perforato, corpi estranei bloccati nel canale uterino o setticemie insorte in seguito ad aborti clandestini, e altre ancora sottoposte a sovradosaggio o sottodosaggio in caso di aborto farmacologico.
“In questi casi, finiscono con il rivolgersi all’ospedale quando ormai sono in gravi condizioni“, ha raccontato.
Secondo l’OMS, l’interruzione di gravidanza è “sicura se praticata da personale qualificato con metodi raccomandati dall’OMS e adeguati all’epoca gestazionale“. Ma, come dice Aku, spesso non è così proprio perché l’accesso all’aborto è limitato. E, per questo motivo, la Nigeria detiene il non invidiabile primato mondiale del secondo numero più alto di morti materne.
Dai dati dell’OMS sulle cause dei decessi emerge che le complicazioni durante la gravidanza e il parto provocano la morte di circa 23.500 donne nigeriane ogni anno. Nonostante ospiti soltanto il 2,64% della popolazione mondiale, il Paese è responsabile del 12% dei decessi avvenuti in tutto il mondo per cause legate alla gravidanza e al parto nel 2019, l’ultimo anno per il quale vi sono dati disponibili.
Il sistema sanitario pubblico della Nigeria prende in carico le pazienti sottoposte ad aborti solo in caso di complicanze. Ma, troppo spesso, questo accade quando è già troppo tardi.
In un studio del 2019, alcuni ricercatori hanno analizzato i 5.779 ricoveri per complicazioni relative ad aborti presso 42 grandi ospedali nigeriani nell’arco di un anno; è emerso che l’8% delle pazienti ha rischiato di morire (366 casi) o ha perso la vita (78).
Sebbene le donne con complicanze rappresentino soltanto il 5,8% dei ricoveri nei reparti maternità, costituiscono il 18% delle pazienti che hanno riportato gravi sofferenze e l’8% di coloro che sono decedute.
Sul totale delle pazienti ricoverate nei suddetti reparti, il tasso di mortalità si è rivelato più alto tra chi aveva infezioni collegate all’aborto, con 1/5 dei decessi.
L’aborto negli USA
Nonostante Roe contro Wade, nel tempo “negli Stati Uniti sono state promulgate oltre 1.000 leggi o norme per limitare l’accesso all’aborto“, hanno dichiarato alcuni ricercatori della Tulane University che hanno analizzato l’impatto di tali politiche sulla mortalità materna. Circa “483 di queste restrizioni sono entrate in vigore nell’ultimo decennio“.
Se la sentenza Roe contro Wade verrà davvero annullata come sembra [come è poi accaduto, NdT], gli Stati saranno liberi di legiferare in maniera indipendente sul tema. L’andamento recente lascia pensare che molti promulgheranno leggi fortemente restrittive.
Questa situazione potrebbe portare a conseguenze nefaste. I ricercatori della Tulane hanno infatti scoperto che, tra il 2015 e il 2018, negli Stati dove l’accesso all’aborto era maggiormente limitato si è verificato un incremento del 7% della mortalità materna.
“Abbiamo rilevato che due limitazioni in particolare – la necessità di un medico abilitato e il divieto di pagare tramite i fondi del programma Medicaid – contribuiscono in misura maggiore ad aumentare il rischio di morte materna“, così è riportato nello studio pubblicato lo scorso settembre.
Attualmente, circa 800 persone muoiono ogni anno negli Stati Uniti per complicanze legate alla gravidanza e al parto. La seconda nazione più ricca del mondo si colloca così al 60esimo posto, in un elenco di 184 Paesi per i quali l’OMS ha pubblicato i dati sulla mortalità nel 2019. Chiaramente, non c’è alcun bisogno che la situazione peggiori.