Kirghizistan-Tagikistan, il conflitto frontaliero mette in crisi i media
[Traduzione a cura di Gaia Resta dell’articolo originale di Altynai Mambetova pubblicato su openDemocracy]
In seguito al crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, le dispute riguardanti i confini tra Kirghizistan e Tagikistan si sono susseguite in maniera discontinua.
Ad oggi, soltanto poco più della metà dei circa 1.000 chilometri che separano i due Paesi sono stati delineati, da qui il motivo dei frequenti scontri tra i due eserciti. Alla questione si aggiungono anche altri problemi irrisolti come la distribuzione dell’acqua e dei terreni, l’attraversamento illegale delle frontiere e il disaccordo rispetto all’accesso alle terre. A fine primavera del 2021, più di 50 persone sono morte durante alcuni scontri al confine.
Poi, a fine gennaio e a marzo di quest’anno, il conflitto si è riacceso e numerosi civili e militari sono rimasti uccisi o feriti. Purtroppo, la mancanza di un dialogo aperto tra Kirghizistan e Tagikistan sulla demarcazione dei confini potrebbe facilmente portare a un proseguimento del conflitto nei prossimi mesi.
Tale mancanza di dialogo ha in parte le sue radici nei media di entrambi i Paesi. I giornalisti sono rimasti invischiati nella disputa, con gli organi di stampa di ambe le parti che si sforzano di coprire in maniera equilibrata il conflitto pur incontrando numerosi ostacoli, tra la circolazione di notizie non verificate sui social media e la mancanza di informazioni verificate dai territori di confine. Questi ultimi si trovano in una provincia remota e difficile da raggiungere e gli organi di stampa – di base nelle due capitali – sono impossibilitati a monitorare l’origine e l’escalation degli scontri.
Il fatto che entrambi i Governi si aspettano che i media siano dalla “loro” parte non è d’aiuto, tra l’altro. Da parte loro, i due Governi non esitano a mettere a tacere i giornalisti indipendenti usando come alibi il nazionalismo. Una parte della cittadinanza ha protestato per questa interferenza che ritengono sia una violazione della libertà di stampa.
Una marea di notizie non verificate
In Tagikistan, i cittadini residenti nei territori di confine e i social media costituiscono le principali fonti di informazione nelle fasi di inasprimento del conflitto. I reporter hanno ammesso di venire informati degli scontri in atto dai residenti, i quali avvertono i media e condividono le notizie sui social. Bahmanyer Nadirov, un giornalista di base nella capitale Dushanbe e direttore della testata indipendente tagika Asia-Plus, ha ammesso che “è difficile ottenere informazioni aggiornate e ufficiali sulla situazione nella zona di conflitto e sulle vittime”.
Di conseguenza, i giornalisti tagiki monitorano i principali media del Kirghizistan – per la maggior parte disponibili anche in russo – per conoscere l’altra versione dei fatti. Si iscrivono ai canali Telegram (app di messaggistica crittografata molto usata) dei media kirghisi, e seguono i reportage sui siti web delle principali agenzie di stampa e governative del Kirghizistan.
“A volte finiamo con lo scrivere le notizie basandoci sulle informazioni che troviamo sui media kirghisi, per esempio se l’avvenimento in questione ci sembrava importante ma non era stato riportato dalle autorità tagike”, ha dichiarato Nadirov.
I giornalisti si ritrovano a combattere contro la disinformazione e le fake news. Rustam Gulov, un esperto di media del Tagikistan, ha spiegato che “è stato terribile quando ad aprile scorso c’è stato un enorme flusso di informazioni da entrambe le parti che non erano state verificate in alcun modo.”
Durante gli scontri dell’aprile 2021, sui social avevano provocato forti reazioni alcune foto e video falsi di sistemi missilistici tattici che venivano scaricati all’aeroporto di Chujand, vicino alla zona del conflitto sul lato tagiko, o di villaggi apparentemente distrutti a causa degli scontri.
Gulov ha detto che, per via della disinformazione dilagante, l’anno scorso in entrambi i Paesi soltanto “poche testate hanno cercato, per quanto possibile, di mantenere un equilibrio e di pubblicare informazioni verificate”.
Infatti, a parte Radio Free Europe/Radio Liberty (RFE/RL) – finanziata dal Congresso degli Stati Uniti – la testata online Kloop con sede a Bishkek e altri ancora, la maggior parte degli organi di stampa del Kirghizistan e del Tagikistan non fanno che ripetere i comunicati del Governo quando si tratta del conflitto al confine.
“Gli organi di stampa in Kirghizistan e in Tagikistan hanno assunto il ruolo dei media patriottici concentrandosi sugli aspetti negativi delle “azioni nemiche” “, ha spiegato Erica Marat, professore associato della National Defense University di Washington, Stati Uniti.
L’8 febbraio di quest’anno la Commissione del Tagikistan per la Radio e la Televisione ha indetto una conferenza stampa in cui ha illustrato il problema. “Ci siamo rifiutati in passato, ci rifiutiamo oggi e continueremo a rifiutarci in futuro di pubblicare qualsiasi informazione contro l’indipendenza del nostro Stato, contro la sicurezza e la stabilità dello Stato, contro la nascita della nostra nazione, l’auto-consapevolezza del nostro popolo, il nostro patriottismo, il nostro onore civile e la nostra dignità“, questa la dichiarazione del presidente della Commissione, Nuriddin Said, che ha inoltre definito il servizio della radio tagika RFE/RL con queste parole: “loro hanno standard differenti”.
Al contrario, invece, Marat ha detto che i media potrebbero provare “a coprire la complessità del conflitto in maniera più obiettiva e imparziale, analizzando come entrambi i Paesi siano coinvolti e quali siano le diverse responsabilità ascrivibili alle due parti”.
Parviz Mullojanov, politologo e ricercatore in Tagikistan, ha affermato che le società kirghise e tagike in passato condividevano numerosi canali di comunicazione che “aiutavano a ridimensionare le emozioni” nelle situazioni difficili. Ma ora, spiega l’esperto, “i media di entrambi i Paesi si sono isolati gli uni dagli altri”.
“Abbiamo notato la radicalizzazione dei media stessi, dei giornalisti e, infine, dell’opinione pubblica. Questo accade tipicamente quando un conflitto si trova in una situazione di stallo”.
Un atto repressivo
La pressione sui media perché seguano la linea del Governo si è intensificata anche in Kirghizistan in seguito ai recenti scontri avvenuti al confine.
Dopo che Kaktus Media aveva ripubblicato un articolo sul conflitto scritto da Asia-Plus, è stata organizzata una manifestazione davanti alla sede della testata e il pubblico ministero del Kirghizistan ha avviato un procedimento penale per presunta “propaganda al servizio della guerra”. È la prima volta che questo reato è oggetto di inchiesta nel Paese e l’articolo sarà sottoposto a una perizia prima di procedere in qualsiasi direzione. I giornalisti di Kaktus hanno dovuto affrontare interrogatori e rilasciare dichiarazioni alle autorità come parte del caso.
Il motivo di tutto questo: l’articolo di Asia-Plus citava la testimonianza di un cittadino tagiko residente al confine che aveva dichiarato che i militari kirghisi avevano sparato per primi.
Marat ha dichiarato che l’articolo “era più offensivo nei confronti dei membri del Governo e del pubblico” in Kirghizistan, e che “dare la colpa a una testata indipendente” era più facile che “affrontare la parte tagika“.
Proteste davanti alla sede di Kaktus Media il 14 marzo. Video di Kaktus Media.
In seguito alle manifestazioni e alle reazioni negative sui social, Kaktus Media si è scusato, tramite una dichiarazione ufficiale, per aver ripubblicato l’articolo. Nel testo si legge che “è in corso una guerra al sistema dell’informazione e, per reagire, è necessario comprendere chiaramente quali azioni intraprenda l’altra parte”.
“L’unico scopo di questa dichiarazione è quello di mostrare alla società kirghisa quale politica in materia di informazione stia perseguendo il Tagikistan e quale versione degli eventi le autorità stiano presentando ai cittadini tagiki”, così prosegue la nota.
Dina Maslova, fondatrice di Kaktus Media, ha riferito a openDemocracy che quando i giornalisti del Kirghizistan coprono il conflitto, si limitano perlopiù a pubblicare i comunicati stampa degli enti statali. Ha aggiunto, inoltre, che le lamentele riguardo la copertura stampa sull’argomento costituiscono un fenomeno recente rispetto a cinque o dieci anni fa.
“Stavolta vediamo una pressione deliberata [sui media indipendenti]. Ci rendiamo conto che qualcuno monitora [i media] per trovare prove contro di essi. La copertura del conflitto è stata usata come pretesto per cominciare a esercitare questa pressione“, ha affermato Maslova.
Successivamente alle manifestazioni contro i media a Bishkek, un gruppo di attivisti e blogger ha indetto una conferenza stampa in cui è stata richiesta l’adozione di una legge sugli “agenti stranieri” in stile russo contro Kaktus Media, RFE/RL e Kloop. La legge a cui si fa riferimento, adottata dalla Russia nel 2012, obbliga i media e i giornalisti – che ricevono fondi dall’estero – a contrassegnare i loro articoli, siti web e profili social con la dicitura “agente straniero”. Tale provvedimento viene largamente considerato uno strumento repressivo.
La comunità dei media indipendenti kirghisi ritiene che la situazione post-conflitto non rappresenti che un’altra modalità per fare pressione su di loro, in seguito al recente (e brutale) tentativo di arresto nei confronti del giornalista d’inchiesta Bolot Temirov, a Bishkek. Secondo quanto riportato, i loro account sui social sarebbero stati hackerati, ma senza successo.
Dina Maslova ha dichiarato che l’attuale situazione “sebbene procuri tensione a noi giornalisti indipendenti, ci unisce e ci rende più forti”. I media e gli attivisti kirghisi hanno di recente dimostrato il loro sostegno a Kaktus Media lanciando una campagna online con l’hashtag #HandsOffKaktus [Giù le mani da Kaktus, NdT].
“Nella vita normale siamo concorrenti” ha fatto notare Maslova, “ma in casi come questo ci uniamo e ci aiutiamo gli uni con gli altri”.
In definitiva, la situazione indebolisce la capacità delle voci indipendenti di parlare apertamente del conflitto.
“Questo genere di livore patriottico o pseudo-patriottico pregiudica la possibilità di un dialogo aperto in Kirghizistan. Ma un dibattito libero e schietto è necessario“, ha concluso Erica Marat.
“Sono numerose le voci indipendenti in Kirghizistan in grado di analizzare più efficacemente di altri le dinamiche al confine… Hanno un quadro più chiaro e più complesso di quanto accade in loco, ma non vogliono e non sono interessati a esprimersi pubblicamente perché – proprio come è accaduto a Kaktus Media – attrarrebbero folle di nazionalisti inferociti”.