Pandemia e diritto allo studio, sale la povertà nell’apprendimento

Se c’è un diritto che più degli altri è stato scosso pesantemente dalla pandemia, questo è stato il diritto all’istruzione. Al culmine della diffusione del Covid-19, nell’aprile 2020, circa 1,6 miliardi di studenti dai 12 anni, in più 190 Paesi, sono stati privati ​​della scuola frequentata in presenza.

La riapertura è avvenuta gradualmente, passando per programmi di didattica a distanza nei Paesi che hanno avuto la possibilità di permetterselo. Le chiusure più lunghe si sono verificate in Asia meridionale, America Latina e Caraibi, con una media rispettivamente di 429 e 387 giorni in cui le scuole sono state totalmente o parzialmente chiuse, equivalenti a più del 75% del tempo solitamente dedicato all’istruzione in quel lasso di tempo.

Il triste primato lo ha conquistato l’Uganda, che solo a gennaio 2022 ha posto fine allo stop delle lezioni più lungo del mondo, ordinando a milioni di studenti di tornare in classe dopo un intervallo di quasi due anni.

Secondo il World Economic Forum, la crisi globale dell’apprendimento avrà un impatto inaspettato: la generazione di studenti che è stata colpita dalle chiusure pandemiche ora rischia di perdere 17.000 miliardi di dollari di guadagni, o l’equivalente del 14% di PIL globale, molto più di quanto stimato.

Inoltre, la lotta contro il fenomeno del learning poverty rischia di subire una drastica battuta d’arresto. Prima della pandemia, il 53% dei bambini nei Paesi a basso e medio reddito non riusciva a leggere e comprendere una semplice storia entro la fine della scuola primaria. Nelle nazioni povere, il livello raggiungeva l’80%. I doppi shock che hanno scosso i sistemi educativi – la chiusura delle scuole e la conseguente crisi economica – hanno solo aggravato questa situazione. Con più di un intero anno di scolarizzazione perso in molte parti del mondo, si stima che la povertà nell’apprendimento salirà al 63% nelle aree in via di sviluppo.

Solo per fare alcuni esempi di questo disastro: in Etiopia, si stima che i bambini delle scuole primarie abbiano appreso tra il 30 e il 40% della matematica che avrebbero imparato se ci fosse stato un normale anno scolastico. Negli Stati Uniti, sono state osservate perdite di apprendimento in molti Stati tra cui Texas, California, Colorado, Tennessee, Carolina del Nord, Ohio, Virginia e Maryland. In Texas, ad esempio, nel 2021 due terzi dei bambini di terza media hanno raggiunto un livello in matematica più basso di quanto atteso. In diversi Stati brasiliani, circa tre bambini su quattro della scuola primaria non hanno le normali abilità nella lettura, rispetto a un bambino su due nel pre-pandemia. In tutto il Brasile, uno studente su dieci di età compresa tra 10 e 15 anni probabilmente non riprenderà nemmeno le lezioni.

In Europa, quando la pandemia ha colpito per la prima volta, gli studenti olandesi hanno partecipato all’apprendimento virtuale per otto settimane prima della riapertura dei loro edifici scolastici. Per Engzell, ricercatore presso il Leverhulme Center for Demographic Science dell’Università di Oxford, quelle settimane sono state uno spreco in termini di apprendimento accademico, poiché un suo studio ha messo in evidenza che da casa i bambini non avevano appreso quasi nulla. Nel suo report dell’aprile 2021 è emerso che gli studenti delle elementari hanno ottenuto risultati in media peggiori del 20% nei test rispetto ai tre anni prima della pandemia. Tra i bambini provenienti da famiglie svantaggiate, le perdite di apprendimento tendevano ad essere ancora maggiori, fino al 60% in più rispetto alla popolazione generale.

Bambini emarginati e gruppi a rischio, come ragazze a basso reddito, disabili e minoranze etniche, sono colpite in modo sproporzionato e rischiano di rimanere indietro. Le chiusure hanno reso le ragazze più vulnerabili ai matrimoni precoci e alla violenza di genere e a gravidanze, con il rischio che 5,2 milioni di studentesse in tutto il mondo nelle scuole primarie e secondarie abbandonino definitivamente la scuola.

Bambini entrano in una scuola in Sud Africa durante la pandemia
Bambini entrano in una scuola in Sud Africa tenendosi a distanza di sicurezza davanti ai cancelli di ingresso. Foto tratta da un video di Africanews

È quello che è successo, per esempio, in Uganda. Secondo la National Planning Authority (NPA), si prevede che fino al 30% degli studenti non torni sui banchi di scuola a causa di gravidanze adolescenziali, matrimoni precoci e lavoro minorile. Tra marzo 2020 e giugno 2021, il Paese ha registrato un aumento del 22,5% delle gravidanze tra le ragazze di età compresa tra 10 e 24 anni.

La scuola, in effetti, riesce spesso a costruire una rete protettiva e una spinta all’emancipazione sociale e culturale insostituibili quando i suoi cancelli sono chiusi. Per molti bambini nel mondo essa rappresenta un luogo sicuro e di garanzia dei diritti basilari. Circa 388 milioni piccoli studenti di tutto il mondo ricevevano pasti scolastici ogni giorno prima dell’inizio della pandemia. I programmi delle mense scolastiche spesso fungono da motivazione per l’iscrizione scolastica e per la frequenza continuativa nei Paesi poveri, fornendo una valida risposta all’insicurezza alimentare. Tuttavia, la chiusura delle scuole ha interrotto questo collegamento.

Nell’aprile 2020, 370 milioni di bambini in tutto il mondo stavano perdendo i pasti scolastici, proprio in un momento in cui la pandemia aveva già aumentato la povertà. Di conseguenza, si prevede che la malnutrizione infantile, soprattutto nei bambini sotto i 5 anni, registri un incremento. La pandemia ha anche esacerbato le disuguaglianze di genere. Ad esempio, un sondaggio in Kenya ha rilevato che il doppio delle ragazze (16%) non è riuscito a fare ritorno a scuola a gennaio 2021 rispetto ai ragazzi (8%), e le adolescenti hanno notato che la chiusura delle scuole ha negato loro l’accesso ai prodotti necessari per il periodo di ciclo mestruale.

E poi si è palesato il grande divario nella disponibilità e nell’accesso ai dispositivi tecnologici per le lezioni a distanza. Per esempio, con circa 250 milioni di studenti iscritti in 1,5 milioni di scuole, l’India ha la seconda popolazione scolastica al mondo. Ma l’accesso all’apprendimento online è stato estremamente limitato tra i gruppi a basso reddito, in particolare per le ragazze, sia a causa della mancanza di smartphone che della connettività Internet irregolare nelle sue vaste aree rurali. Solo l’8% circa degli studenti nei villaggi e il 24% nelle aree urbane studiava regolarmente online. Ben il 37% non riusciva affatto seguire le lezioni.

Il disagio nell’accesso alla modalità scolastica virtuale, molte volte è accentuato anche da schemi culturali. Come testimoniato dalla storia di Pooja Sharma, una studentessa di terza media della periferia di Nuova Delhi, che ha iniziato le lezioni online con il lockdown di marzo 2020. Con un solo smartphone in famiglia, i quattro fratelli devono alternarsi per usarlo e frequentare la didattica a distanza. In un Paese dove le norme patriarcali sono comuni, la priorità nell’uso va al maschio e questo ha significato una frequentazione molto discontinua per le ragazze della famiglia.

L’urgenza di evitare un totale scollegamento tra la scuola e i ragazzi durante il blocco della didattica in presenza ha ingegnato i diversi Paesi del mondo, portando allo scoperto tutte le fragilità e le diversità nelle soluzioni tecnologiche a disposizione. In Italia, per esempio, 3 milioni di bambini non sono stati in grado di seguire le lezioni a distanza, per mancanza di accesso a Internet o di dispositivi adeguati.

Non solo, in una indagine Unicef sul nostro Paese è emerso che tra i ragazzi che navigano solitamente in Rete, il 6% non ha potuto prendere parte all’apprendimento da remoto a causa della scarsa connessione. Un sondaggio condotto da Save the Children ha mostrato che il 28% dei bambini di età compresa tra 14 e 18 in Italia conosceva almeno un compagno di classe che ha smesso di frequentare la scuola (a distanza o di persona) da quando è scattato il lockdown, citando proprio l’inadeguatezza della connessione come motivazioni principale all’abbandono.

In Romania, ad esempio, le scuole sono state chiuse per una media di 32 settimane tra il 2020 e il 2021, ma solo a 6 studenti su 10 è stata offerta l’istruzione online. In questo Paese, il 19% degli studenti che vivono nelle aree rurali e il 10% nelle città non hanno accesso ad alcuna connessione. Nel Regno Unito, circa il 9% degli studenti non è dotato di una buona Rete e un ragazzo su cinque non è stato in grado di accedere all’apprendimento virtuale. Tutto questo favorisce le disuguaglianze sociali.

Tuttavia, alla luce della situazione, sono stati compiuti sforzi per ridurre l’impatto di queste divergenze. In Francia, ad esempio, i dispositivi elettronici vengono presi in prestito da studenti bisognosi. In Portogallo, gli insegnanti si sono impegnati a inviare per posta ai propri studenti privi di una buona copertura di rete una copia scritta di appunti e lezioni.

La scuola riparte proprio da qui, da queste debolezze che possono però trasformarsi in appigli utili all’inclusione didattica.

Analizzando quanto è accaduto, vi è stata una sorprendente eterogeneità nei tipi di soluzioni tecnologiche impiegate per fare lezione senza presenza. Il 96% delle nazioni ad alto reddito ha adottato piattaforme online, rispetto al solo 16% dei Paesi poveri. Al contrario, la radio e la televisione sono stati gli strumenti di erogazione dell’istruzione più gettonati negli Stati a basso reddito.

Allo stesso modo, il 75% degli Stati ricchi ha riferito di utilizzare pacchetti pronti per gli studenti da inviare a casa, rispetto al 25% dei territori meno sviluppati. ​​Da segnalare, poi, che oltre l’80% delle famiglie in aree a basso e medio reddito possiede telefoni cellulari, ma soltanto il 17% ha riferito di aver utilizzato questa tecnologia per l’istruzione, suggerendo un potenziale non sfruttato.

Voltare pagina dopo questi due anni così travagliati sul fronte dell’istruzione non sarà per nulla semplice per chi parte già svantaggiato nella fruibilità scolastica. Per questo, in un certo senso, l’uso “creativo” in ambito pandemico di alcuni strumenti potrebbe essere una iniziale svolta per il sistema scolastico nei Paesi poveri e nelle aree rurali delle nazioni meno sviluppate.

Studenti in Zimbabwe seguono le lezioni via radio durante la chiusura delle scuole
Studenti in Zimbabwe seguono le lezioni via radio durante la chiusura delle scuole. Foto tratta da un video di Al-Jazeera

L’accesso alla radio, per esempio, è piuttosto alto tra le popolazioni più svantaggiate. L’istruzione radiofonica è stata proposta in diversi Paesi durante la pandemia e sebbene non ci siano ancora studi approfonditi sulla qualità di apprendimento da essa ricevuta, gli esperti insistono sul rafforzamento di questo canale.

Alcune piccole storie di successo ci sono state. Per esempio, Il Governo dello Zambia ha capito i limiti infrastrutturali del Paese: il 74% delle famiglie possedeva un cellulare, il 47% una radio, il 37% una TV e solo il 7% ha avuto accesso a Internet. Nell’ambito della sua strategia multicanale, lo Stato si è impegnato a rafforzare il suo programma di apprendimento via radio, con la distribuzione di apparecchi a energia solare e la formazione degli insegnanti per interagire con gli studenti tramite l’insegnamento a distanza.

Anche in Sierra Leone è stato rafforzato un sistema di apprendimento radiofonico esistente e il Governo del Kenya ha incentivato il suo programma di istruzione a distanza multimodale esistente, raddoppiando il numero di ore del suo programma in radio e migliorando l’interattività delle sessioni TV.

Ripartire dopo la pandemia, per la scuola, significa anche ripensare i metodi di insegnamento per colmare il gap di apprendimento noti già prima del lockdown, soprattutto nelle aree del mondo meno avanzate. Molti più bambini del solito adesso saranno rimasti indietro nei curricula scolastici, con il divario tra gli emarginati e i più abbienti in forte espansione durante la pandemia.

In molti Paesi a basso e medio reddito, l’elevata disuguaglianza nei livelli di apprendimento nelle classi, insieme a programmi di studio eccessivamente complicati, ha creato un’istruzione inefficiente. I percorsi didattici validi per tutti non si adattano al livello di apprendimento di ogni studente e chi non padroneggia le abilità di base rimane indietro, pur frequentando. La pandemia ha accelerato questa sfida, visto che ora alcuni Governi si stanno ingegnando per il recupero delle ore scolastiche perse attraverso sistemi più mirati, per esempio privilegiando alcune materie piuttosto che altre o favorendo lezioni in piccoli gruppi di bambini con le stesse esigenze.

La crisi pandemica ha anche acceso i riflettori sull’uso dei messaggi via cellulare, con lo scopo di incentivare le motivazioni alla frequentazione dei corsi e combattere l’abbandono scolastico. Durante la pandemia, per esempio, messaggi di testo tra docenti e alunni sono stati utilizzati con successo in Brasile per favorire migliori risultati di apprendimento.

Un altro approccio è stato quello di telefonate individuali settimanali mirate da parte degli insegnanti e tutor per genitori o tutori e/o studenti, come accaduto in Botswana, Bangladesh e Nepal, con miglioramenti nella partecipazione alle lezioni. Un metodo, quest’ultimo, molto promettente in quei contesti in cui i computer sono poco fruibili e, invece, i telefoni cellulari hanno un forte potenziale da sfruttare. Anche per evitare la fuga dalle aule di bambini poveri e meno seguiti.

La pandemia ha ostacolato, in generale, l’accesso all’istruzione degli studenti di tutto il mondo, a volte peggiorando situazioni già in forte difficoltà. Ha tuttavia acceso anche nuove luci, che potrebbero spianare la strada a un più completo godimento di questo diritto.

Violetta Silvestri

Copywriter di professione mantiene viva la passione per il diritto internazionale, la geopolitica e i diritti umani, maturata durante gli studi di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, perché è convinta che la conoscenza sia il primo passo per la giustizia.

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