Ucraina, fasi e motivi di otto anni di crisi e instabilità geopolitica

[Traduzione di Rosamaria Castrovinci dell’articolo originale di Stefan Wolff e Tatyana Malyarenko pubblicato su The Conversation]

Ufficiale delle truppe interne che punta un’arma durante le proteste dell’Euromaidan. Foto di Mstyslav Chernov da Wiki Commons con licenza CC BY-SA 3.0

La guerra russo-ucraina ha avuto inizio nel 2014, dopo che il Governo sostenuto da Mosca e presieduto da Victor Yanukovich è stato rovesciato per mano dei manifestanti filo-europeisti. Questo evento ha condotto alla rapida escalation di una crisi che ha portato all’annessione della Crimea da parte della Russia, nel marzo 2014, e alla creazione di due Stati de facto protetti dalla Russia nell’Ucraina orientale: le cosiddette Repubbliche Popolari di Donetsk e Luhansk (DPR e LPR).

Nel febbraio del 2015, con l’aiuto della Russia, è iniziato il consolidamento del loro territorio e già in quel momento si registrava la morte di circa 10.000 persone avvenuta durante i combattimenti. Da allora il numero delle vittime ha superato le 13.000, comprese circa 300 persone che erano a bordo del volo Malaysia Airlines MH17.

Negli ultimi sette anni la guerra sul territorio dell’Ucraina è andata avanti. Si combatte tra le forze armate ucraine e le forze della DPR e della LPR, queste ultime sostenute dalla Russia lungo la linea del cessate il fuoco del 2015. I combattimenti sono monitorati dagli osservatori dell’OSCE in missione speciale in Ucraina.

Per quel che riguarda la dimensione economica della guerra, questa è principalmente correlata alla perdita, da parte dell’Ucraina, del suo status di Paese di transito per il gas russo verso l’UE, situazione che costa al Paese circa l’1% del PIL – più di 1 miliardo di dollari USA (876 milioni di euro) – oltre a creare seri problemi nell’approvvigionamento del gas.

Dal punto di vista diplomatico, invece, il conflitto è strettamente connesso alle tensioni irrisolte tra Mosca e l’Occidente. Queste tensioni vengono discusse in arene internazionali come l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), composta da 57 membri, e il Formato Normandia, che riunisce Ucraina, Russia, Francia e Germania. Ed è proprio grazie a queste organizzazioni se si è riusciti a impedire una maggiore intensificazione della guerra e una vasta crisi umanitaria.

La situazione lungo la linea di contatto nell’Ucraina orientale, tuttavia, è rimasta altamente instabile. Inoltre, la Russia ha gradualmente intensificato la pressione sull’Ucraina e sui suoi alleati occidentali. Ci sono state continue violazioni del cessate il fuoco, pressioni economiche, attacchi informatici, alcuni già nel 2014, guerre mediatiche – e ora riecheggia la minaccia di un’invasione su vasta scala, a seguito delle garanzie occidentali per una “zona d’influenza” russa nello spazio post-sovietico.

Proteste Euromaidan a Kiev. Foto di grocap con licenza CC BY-NC-ND 2.0

Oltre la Russia e l’Occidente

Ciò che spesso non viene considerato quando si parla della crisi ucraina è il peso complessivo che ha avuto sullo Stato e sulla società. La crisi, infatti, ha influito notevolmente sulla situazione geopolitica facendo finire il Paese – che ha un’autorità limitata – nel mirino delle grandi potenze rivali.

Tutto ciò ha notevolmente ostacolato gli sforzi riformatori e, di conseguenza, i progressi nella lotta alla corruzione, nel rafforzamento dello stato di diritto, nel decentramento e in altre riforme amministrative sono stati accantonati, o addirittura riconsiderati totalmente, di fronte alla possibilità dell’invasione russa, che adesso è considerata sempre più probabile.

Le continue preoccupazioni per la sicurezza dell’Ucraina negli ultimi otto anni hanno ridotto allo stremo le istituzioni statali e diminuito ulteriormente la loro operatività. A questo si deve sommare l’aumento costante delle spese militari che sono passate da 1,6 miliardi di dollari nel 2013 (l’1,6% del PIL) a 4,1 miliardi di dollari nel 2020 (il 4% del PIL). Si stima che la spesa per i soli approvvigionamenti debba aumentare dagli 838 milioni di dollari dello scorso anno a poco più di un miliardo di dollari nel 2022. Questo ha ulteriormente ridotto la capacità dello Stato di investire in servizi pubblici e infrastrutture, il che a sua volta comporta anche una diminuzione del potere attrattivo del Paese per gli investimenti esteri.

Dopo il grave crollo seguito alla crisi finanziaria del 2008 e l’inizio dell’attuale crisi nel 2013, gli investimenti esteri diretti nel 2019 sono stati di poco superiori a 5,8 miliardi di dollari rispetto agli 8,2 miliardi di dollari investiti nel 2012 e ai 10,7 miliardi di dollari nel 2008. E se il Paese ha visto una progressiva crescita economica a partire dal 2016, nel 2020 il PIL (pari a 155 miliardi di dollari) era ancora ben al di sotto del picco massimo raggiunto nel 2013, nel periodo post-indipendenza, quando aveva raggiunto i 190 miliardi di dollari.

Il PIL è diminuito di un ulteriore 4% nel 2020 a causa in parte del COVID – ma, secondo le previsioni per gennaio 2022 del Global Economic Prospects della Banca Mondiale, “le prospettive di crescita a lungo termine dell’Ucraina sono limitate dal debole slancio riformatore, che ha ostacolato la competitività e lo sviluppo del settore privato“.

La società ucraina e i partner occidentali di Kiev si sono mostrati  più tolleranti alle restrizioni dei diritti umani. La considerano una risposta comprensibile, seppur poco lungimirante, alla grave minaccia esterna che il Paese si trova a fronteggiare, ma è destinata a danneggiare il Governo sia a livello nazionale che estero e può compromettere l’assistenza da parte dell’UE. Questa ulteriore forzatura delle istituzioni ucraine potrebbe potenzialmente condurre a un punto di rottura.

Crisi di legittimità e identità

In risposta al recente intensificarsi della crisi, l’Ucraina ha adottato la dottrina della “resistenza nazionale“, in base alla quale tutti gli uomini e le donne sotto i 60 anni sono soggetti a mobilitazione per il servizio militare. I sondaggi rivelano che il 33% degli ucraini sono pronti a fare resistenza armata alla Russia in caso di invasione, mentre il 21% presterebbe resistenza non violenta. Ma rivelano anche che il 14,5% della popolazione preferirebbe emigrare verso un posto più sicuro all’interno dell’Ucraina, e il 9,3% lascerebbe il Paese in caso di invasione da parte della Russia. E infine quasi un ucraino su cinque (il 18,6%) non opporrebbe resistenza all’aggressione russa.

Considerando che solamente nel 2021 sono emigrate 600.000 persone (pari a circa l’1,5% della popolazione) – il numero annuale più alto dall’indipendenza, indicativo della crisi demografica del Paese – questi dati testimoniano anche la continua crisi di legittimità e di identità dello Stato ucraino.

La necessità di istituzioni resilienti

In definitiva, la crisi Ucraina non è solo militare o geopolitica. Questi aspetti sono certamente al primo posto nelle preoccupazioni dei politici e devono essere affrontate con velocità e determinazione. Ma al di là di queste crisi – e strettamente connesse a loro – c’è anche una crisi interna che richiede costanti attenzioni. In assenza di istituzioni resilienti, l’Ucraina rimarrà sempre subordinata al sostegno esterno e sarà vulnerabile alle variazioni geopolitiche.

La situazione interna dell’Ucraina rappresenta un contributo per la sicurezza europea e globale a lungo termine tanto importante quanto l’immediata necessità di scoraggiare l’attacco della Russia.

Rosamaria Castrovinci

Laureata in Lingue e Letterature Straniere, ha conseguito la magistrale in Metodi e Linguaggi del Giornalismo con una tesi dedicata all'emigrazione italiana in Australia. Speaker radiofonica e redattrice, è siciliana ma da 3 anni è approdata a Venezia, dove lavora nell'ambito museale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *