21 Novembre 2024

Rumba congolese, da voce di libertà a strumento di propaganda

La rumba congolese, nota anche come rumba lingala è emersa attorno al 1948 nei due centri urbani che si stagliano uno di fronte all’altro sulle due sponde del fiume Congo – Brazzaville e Leopoldville (ora rinominata Kinshasa), dominando per decadi le radio e i club di gran parte dell’Africa francofona. Ciò nonostante, non molti sono a conoscenza della storia che sta dietro a questo popolare genere musicale.

Chitarra costruita a mano, Kinshasa, via Wikimedia Commons

Il ruolo della rumba nella storia politica del Congo

Sebbene molti associno questo stile musicale al Sudamerica, le sue radici affondano nelle tradizioni e nelle culture dell’Africa Centrale. La rumba nasce nella Cuba del XIX secolo, come una combinazione fra i tamburi degli schiavi neri e le melodie dei colonizzatori spagnoli. Più del 75% degli schiavi trasportati dai portoghesi verso le Americhe provenivano dal bacino del fiume Congo e l’origine della parola deriva con tutta probabilità da quella kikongo “nkumba”, letteralmente “ombelico”, riferendosi al caratteristico modo di ballare ancheggiante.

Durante i primi anni Trenta e Quaranta, grazie alle trasmissioni radiofoniche, l’importazione di vinili e l’arrivo di band per il diletto degli amministratori belgi e francesi, i suoni e gli strumenti tipici della musica latina cominciarono a fondersi con le sonorità locali. I ritmi ancestrali sopravvissuti nella rumba vennero immediatamente riconosciuti come propri nel Congo coloniale.

A fine novembre l’UNESCO pubblicherà la sua decisione relativa alla possibile inclusione della rumba lingala alla lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Eppure, questo genere ricopre un’importanza che supera di gran lunga il suo inestimabile valore artistico-culturale. Quando si parla di musica in Congo la narrativa sociopolitica prevale con forza.

Statua di Leopoldo II imbrattata durante delle proteste a Bruxelles. Dalla piattaforma Flickr. Licenza CC con attribuzione

Il colonialismo belga è tristemente noto per aver sviluppato e mantenuto per quasi cento anni uno dei sistemi più violenti e coercitivi dell’oscuro capitolo che è l’imperialismo europeo. I locali venivano considerati alla stregua di schiavi, sfruttati e torturati nei modi più crudeli. L’apparato governativo fu minuziosamente strutturato affinché nessun nativo potesse ricoprire ruoli di leadership, prevenendo così insurrezioni e rivolte.

La musica divenne per molti un modo per evadere dall’opprimente realtà della colonia e riprendere controllo sulla propria umanità. Nei testi di musicisti quali Joseph Kabasele Tshamala (Grand Kallé) e della sua orchestra African Jazz la vita cittadina veniva ritratta e analizzata, producendo una sorta di commentario sociale. Nelle canzoni venivano trattati i temi più disparati, incluse le difficoltà quotidiane di vivere in una città in cui di fatto vigeva un’apartheid.

Il sassofonista May Plau, membro di una delle prime band di rumba lingala a Kinshasa. Dalla piattaforma Flickr. Licenza CC con attribuzione

Nonostante contestare il potere non fosse lo scopo principale degli artisti, al contrario per esempio delle chimurenga songs in Zimbabwe, la rumba lingala giocò indubbiamente un ruolo chiave nel mobilitare e risvegliare la coscienza collettiva del popolo congolese. Essa ha condizionato significativamente l’identità locale, incoraggiando l’unità nazionale a dispetto delle differenze etniche.

Verso la fine degli anni Cinquanta, la costruzione di questa nuova identità congolese urbana pose le basi per il diffondersi dei sentimenti indipendentisti e della lotta contro il Belgio. La rumba può essere intesa come il “luogo in cui si esprime la crisi sociale e si cerca la redenzione collettiva.”

Orchestra OK Jazz a Bruxelles. Dalla piattaforma Flickr. Licenza CC con attribuzione

A Leopoldville la musica era ovunque. Nel 1960 vi erano 400 nganda, bar/sale dal ballo, per solo 500.000 abitanti – uno ogni milleduecento persone. I musicisti erano (e sono tuttora) parte integrante del paesaggio urbano e venivano guardati con grande ammirazione. Ancora oggi, i suoni e le parole della rumba sono onnipresenti nel panorama cittadino e nella vita dei congolesi.

Ciò dovrebbe far riflettere sull’incidenza di questo genere nella cultura popolare locale ed è un ottimo esempio del potenziale sociopolitico della musica e della sua funzione di promotore di cambiamento.

Tuttavia, la sua importanza non si esaurisce nella cultura popolare di massa. Infatti, l’intreccio fra musica e politica in Congo interessa anche le alte sfere pubbliche. Durante la Table Ronde tenutasi a Bruxelles nel 1960 per discutere l’indipendenza furono inviti assieme all’équipe diplomatica anche una band di musicisti ai quali fu richiesto di comporre un pezzo per celebrare l’imminente liberazione e i politici che la resero possibile.

Fu così che il pezzo Indipendance Cha Cha divenne la colonna sonora di un’epoca e inno non ufficiale della nazione ora conosciuta come Repubblica Democratica del Congo. Nel brano venivano citati ad uno ad uno i nomi di Bolikango, Kasa-Vubu, Lumumba, Kalondji Bolya, Tshombe, Kamitatu e molti altri.  Il diplomatico Thomas Kanza aveva ben intuito il fascino della rumba sui cittadini, e diede il via alla tradizione di invocare nomi di leader all’interno dei testi musicali.

Statua di Franco Luambo Makiadi, via Wikimedia Commons

Ma le aspirazioni democratiche non durarono a lungo e dopo il violento assassinio nel 1965 del Primo ministro Patrice Lumumba e l’inizio della dittatura totalitaria del Maresciallo Mobutu Sese Seko il Paese ricadde rapidamente nell’caos. Una cosa però Mobutu l’aveva ben compresa, il potere che la musica poteva avere nel propagandare e promuovere il regime.

Con l’avvio delle politiche culturali dell’“autenticità volte a celebrare la tradizione indigena, il ruolo della rumba cambiò radicalmente, divenendo un mezzo per condizionare l’opinione pubblica e rinforzare il culto della personalità.

Copertina del singolo “Candidat Na Biso Mobutu“. Dalla piattaforma Flickr, licenza CC con attribuzione

Il Maresciallo si assicurò che i musicisti più popolari ricevessero incentivi e sponsorship statali. Uno degli esempi più celebri è certamente il coinvolgimento di Franco Luambo Makiadi, icona della musica congolese e dell’orchestra OK Jazz nella campagna elettorale del 1984 con il pezzo Candidat Na Biso Mobutu (Il Nostro candidato è Mobutu). Fu così che l’intera nazione cominciò a cantare Mobutu assieme a Franco.

Questo rappresenta forse l’inizio di una relazione strategica fra i top musicisti locali e gli alti livelli del potere in Congo, la quale si mantiene tuttora.

Il boicottaggio dei concerti in Francia ed in Belgio 

Il dibattito relativo alla connessione fra musica e politica in Congo è tornato da poco al centro dell’attenzione mediatica. Questo perché a molti musicisti congolesi viene impedito di esibirsi in Francia e Belgio a causa delle continue proteste di gruppi di attivisti appartenenti alla diaspora africana.

Dadi Nganga Puati, nato a Kinshasa ma originario della regione del Kongo Central, è diplomato alla Accademia di Belle Arti di Kinshasa e laureato all’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne. È inoltre professore di genio civile, pittura e restauro, nonché artista plastico. Conosciuto come Zorobilele Ingeta Solarien, milita da anni fra le file di attivisti che lottano per la pace e i diritti del popolo congolese.

L’attivista e artista Zororbilele Ingeta

Attivo dal 1991, si autodefinisce un “combattente” per il riconoscimento del genocidio attualmente in corso nelle regioni nord-orientali della RDC. Il suo scopo è risvegliare le coscienze dei connazionali invitandoli a riflettere sulla situazione attuale del Paese e ad agire contro le violenze perpetuate sulle donne locali.

Dal 2011, lui e molti altri si impegnano nel boicottare i concerti di alcuni musicisti identificati come in connessione diretta o indiretta con il Governo corrotto. I primi concerti a venir ostacolati furono quello di Papa Wemba e Werracon nel 2011, ai quali seguirono JB Mpiana e Fally Ipupa nel 2012, Ferré nel 2013, Eritie Watanade nel 2016, e di nuovo Fally Ipupa nel 2020.

La scelta d’impedire agli artisti di esibirsi in Europa divide la collettività. Per alcuni sono degli eroi nazionali, per altri invece estremisti radicali che ostacolano la diffusione e celebrazione della cultura congolese all’estero. Quello che è certo è che i “combattenti” non hanno alcuna intenzione di fermarsi, almeno fino a quando la situazione in Congo non cambierà.

Zorobilele Ingeta parla con Voci Globali e spiega le ragioni che stanno alla base dei boicottaggi:

[…] noi (i combattenti) abbiamo compreso che i musicisti e gli artisti sono dei leader d’opinione. Sono delle persone che hanno una voce forte, una voce che è ascoltata. Nel momento in cui il Paese è nel disordine e il popolo muore coloro che dovrebbero parlare di questa situazione sono gli artisti […] Dunque, abbiamo deciso di fermare quella musica che sta distraendo il popolo, che impedisce al popolo di riflettere sui problemi del Paese, che non vuole che il popolo si interroghi sulla situazione attuale. […] noi boicottiamo solo qualche artista, solo quelli identificati in connessione con il potere e il sistema in RDC.

Poi continua:

[…] abbiamo compreso che molti dei nostri artisti sono in copulazione, in fornicazione con coloro che uccidono il popolo congolese e dunque abbiamo deciso che tutti i musicisti direttamente legati a coloro che massacrano i congolesi non devono più suonare in Europa, dove noi siamo attivi.

Nei testi musicali degli artisti sopracitati vengono nominati diversi politici e leader responsabili della crisi in Nord e Sud Kivu come ad esempio il Generale Maggiore Gabriel Amisi Kumba (Tango Four), Jhon Numbi (sanzionato nel 2016 dall’UN per intimidazione violenta), il Capo di Stato Maggiore Vital Kamerhe (arrestato nel 2020 per corruzione e sottrazione illecita di fondi pubblici), l’ex Presidente Joseph Kabila (rimasto al potere per 18 anni consecutivi), l’ex-sindaco di Kinshasa Andre Kimbuta e l’attuale Presidente Felix Tshisekedi assieme a molte altre personalità la cui fama non è certo fra le migliori.

Zorobilele ritiene che i nomi di questi personaggi siano

citati come dei mantra, come delle preghiere, i loro nomi sono ripetuti tutto il tempo. Come possiamo accettare che i responsabili di ciò che sta succedendo nel Paese siano decantati da artisti che si esibiscono in tutto il mondo?

Manifestazione contro le violenze sessuali in Congo. Dalla piattaforma Flickr, licenza CC con attribuzione

I combattenti non chiedono ai musicisti di divenire politici, chiedono loro di dire la verità sulle atrocità che stanno avendo luogo in RDC. La musica è parte integrante della quotidianità di molti congolesi e ha il potere di viaggiare attraverso frontiere e nazioni.

Se i musicisti parlassero il popolo avrebbe la possibilità di riflettere su ciò che accade e invece essi distraggono i cittadini dai veri problemi […] nel momento in cui il popolo muore e compito degli artisti, dei musicisti, dei poeti in quanto leader d’opinione dire la verità in modo che il popolo possa uscire dalla situazione disastrosa in cui si trova.

Nonostante la situazione sociale e politica rimanga difficile, un velo di omertà sembra essere calato sul Congo. Per Zorobilele e gli altri “combattenti” questa è soprattutto

[…] un’occasione per attirare l’attenzione e parlare di ciò che succede in Congo. Questi sono artisti molto celebri e il chiacchiericcio provocato dai boicottaggi fa sì che la gente parli anche del motivo per cui vengono boicottati e dunque della crisi, della situazione disastrosa del Paese e della sua popolazione!

Quello che accade nell’Est del Congo non dovrebbe interessare solo il resto della nazione ma il mondo intero. La giustizia sociale e la salvaguardia dei diritti umani fondamentali dovrebbero essere il primo punto dell’agenda di ognuno. La storia musicale africana è piena di esempi di musicisti che si sono esposti per il bene comune come Alfa Blondi, Miriam Makeba, Youssu N’Dour, Fela Kuti, Lucky Dube. Perché i musicisti congolesi non sembrano essere in grado di fare lo stesso?

Quando il tessuto sociale è danneggiato è l’intera nazione a risentirne. […] ma i nostri musicisti non mostrano la luce al popolo, al contrario intrattengono la sua letargia in modo che non si possa rendere conto di ciò che realmente avviene […] la rumba è passata dall’essere musica di libertà a essere musica di distrazione perché coloro che hanno preso il potere dopo l’indipendenza hanno compreso che essa è un’arma eccezionale per abbruttire il popolo.

I “combattenti” ritengono che i leader politici siano riusciti a comprare coloro che hanno il potenziale di mobilitare le masse affinché queste non possano ribellarsi. Una rumba corrotta è dunque ciò che rimane.

Se il Paese è in lutto non vuoi ballare, cantare e ridere. Vuoi piangere e rendere memoria a coloro che non ci sono più,

conclude Zorobilele.

L’annullamento del tanto atteso ritorno in scena di Koffi Olomide

L’ultima azione dei “combattenti” è stata contro il concerto di Koffi Olomide, inizialmente previsto per il 27 novembre prossimo all’arena di Paris La Defence. Al musicista è stato impedito di esibirsi in Francia per undici anni e questo doveva essere il suo grande ritorno. Le ragioni dietro il boicottaggio sono molteplici.

Olomide è accusato di aver più volte negato il genocidio in Nord Kivu, Sud Kivu e Ituri e di sostenere con la sua musica il Governo e i politici corrotti. In questa storia è bene tenere a mente che Koffi non è un musicista qualunque. Egli è probabilmente il più importante musicista di rumba congolese attualmente attivo e ha realizzato decine di pezzi in collaborazione con la stragrande maggioranza dei più famosi artisti africani contemporanei.

I “combattenti” lo accusano di essere il “griot dei dittatori”. In effetti non è difficile trovare canzoni in cui elogia politici come Joseph Kabila, Paul Biya, Ali Bongo, e Denis Sassou Nguesso – incitando a votare per loro ed esibendosi durante le loro campagne presidenziali. Il cantante si esprime spesso su questioni politiche e si è recentemente unito alla Alliance des Forces democratiques du Congo (AFDC) capitanata da uno dei bracci destri di Joseph Kabila.

Allo stesso modo, non è raro vederlo indossare abbigliamenti che rimandano al caratteristico stile del Maresciallo Mobutu o fare riferimenti positivi a quest’ultimo. In una clip recente si vede Olomide durante un’esibizione inneggiare alle qualità dell’attuale Presidente Felix Tshisekedi.

Selfie di Koffi Olomide con foto di Maresciallo Mobutu, disponibile su Instagram @koffiolomide_officiel

Inoltre, il musicista è attualmente sotto processo per l’accusa di stupro e violenze ai danni di quattro delle sue ex-ballerine, una delle quali minorenne all’epoca dei fattiKoffi Olomide è anche accusato di promuovere l’oggettificazione e la sessualizazione delle donne nella sua musica. La situazione già di per sé spiacevole, è intesa in maniera ancora più dura dai “combattenti” dato le condizioni generali delle donne in Congo. Lo stupro viene notoriamente usato come arma di guerra e almeno 48 abusi sessuali sono registrati ogni ora nel Paese.

L’artista non è colui che deve veicolare la perversione, è colui che deve risvegliare il popolo per la sua emancipazione. (Zorobilel Ingeta)

Purtroppo, nel caso di Olomide separare il suo indubbio contributo artistico dai suoi ideali personali risulta un impresa difficile.

La campagna messa in piedi dai combattenti sembra aver sortito i suoi effetti. Il rischio di tensioni e violenze era troppo elevato e il 20 ottobre La Defense Arena ha annunciato di aver annullato il concerto. Il musicista sembra non aver commentato né la cancellazione dell’evento né l’imminente sentenza che si terrà il 13 dicembre a Parigi.

Dai video pubblicati su i suoi profili social pare che il giorno dopo il processo del 27 ottobre Kofi Olomide sia rientrato immediatamente a Kinshasa e continui a pubblicizzare le sue prossime date in tutta l’Africa.

I musicisti che osano esprimersi contro il regime in RDC non hanno vita facile. Il 9 novembre il ministro della giustizia, Rose Mutombo Kiese, ha emesso una misura di censura contro due canzoni considerate critiche nei confronti del governo Tshisekedi. I pezzi in questione sono “Nini Tosali Te” (Cosa non abbiamo fatto?), del gruppo MPR (Movimento Rivoluzionario Popolare), e “Lettre à Ya Tshitshi” (Lettera a Tshisekedi), del cantante Bob Elvis. Entrambe criticano la mancanza di progressi in Congo, e il peggiorare della situazione sociale.

Vittoria Paolino

Antropologa e analista con una specializzazione nella regione dell'Africa Sub-Sahariana ha lavorato con diverse organizzazioni internazionali e locali in progetti di sviluppo in Sudafrica, Kenya e Camerun. Appassionata di arte e cultura contemporanea le piace esplorare come questi elementi contribuiscano a favorire il cambiamento sociale e la resistenza politica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *