[Traduzione a cura di Davide Galati dall’articolo originale di C. Smith, E. Berenguer e J. Barlow pubblicato su The Conversation]
L’espansione dei terreni agricoli per soddisfare la crescente domanda globale di prodotti come la soia è la principale causa per cui in Amazzonia risultano abbattuti oltre 810.000 km² di foresta, un’area grande quasi quanto la Norvegia e la Svezia messe insieme.
La deforestazione non è una tragedia solo per la biodiversità ma anche in quanto vengono rilasciate nell’atmosfera enormi quantità di anidride carbonica (CO₂). Nonostante un barlume di speranza nella prima decade degli anni 2000, quando i tassi di deforestazione crollarono ai minimi storici, la perdita di foresta è ancora una volta in aumento.
I bulldozer non rappresentano in realtà sempre la fine della storia. Quasi il 30% della terra disboscata in Amazzonia risulta abbandonata, dando alla vegetazione la possibilità di ricrescere, anche se con diversi gradi di successo, a seconda di quanto intensamente, e per quanto tempo, la terra è stata utilizzata per l’agricoltura. Sebbene questi habitat in via di recupero, noti come foreste secondarie, siano un misero sostituto delle vetuste foreste primarie ricche di specie che vanno a sostituire, sono tuttavia in grado di catturare rapidamente grandi quantità di CO₂ dall’atmosfera.
In un nuovo studio abbiamo tuttavia scoperto che le foreste secondarie in tutta l’Amazzonia assorbono solo il 9,7% delle emissioni create dalla distruzione delle foreste originarie nella regione. Questo nonostante il fatto che gli habitat in ricrescita occupino il 28,8% della terra deforestata.
Ripristino contro deforestazione
Sebbene l’Accordo di Parigi presupponga la necessità di ripristinare un certo ammontare di foresta tropicale per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni, poche ricerche hanno valutato come stia cambiando la copertura forestale in Amazzonia. La ricerca tende a concentrarsi sul Brasile, che detiene il 60% del bacino, ma non tiene conto degli altri 8 Paesi coinvolti. Comprendere come le foreste siano in via di ripresa in maniera diversa tra Paesi e regioni può aiutare gli scienziati e i politici a capire quali misure contribuiscano a preservare i serbatoi di carbonio forestale e quali no.
Abbiamo deciso di colmare questo vuoto mappando la deforestazione, il recupero e gli stock di carbonio dal 1986 al 2017 in tutta l’Amazzonia, con riferimento sia alle nove nazioni che la costituiscono sia agli altrettanti Stati amazzonici del Brasile.
Abbiamo utilizzato mappe di copertura del suolo create da immagini satellitari ad alta risoluzione dall’iniziativa MapBiomas per stabilire dove, quando e quanto carbonio è stato rilasciato a causa del disboscamento. Abbiamo combinato questo dato con mappe di carbonio generate in modo simile ottenute dalle foreste secondarie per capire quale percentuale delle maggiori emissioni sia già stata compensata.
Abbiamo riscontrato grandi differenze tra i Paesi nella quantità di emissioni compensate dalla crescita delle foreste secondarie. Poiché il Brasile contiene più della metà del bacino amazzonico, non sorprende che sia responsabile di un maggiore disboscamento rispetto a qualsiasi altra nazione. Tuttavia, il contributo del Brasile alla deforestazione complessiva dell’Amazzonia (85%) e alle relative emissioni di CO₂ (80%) è andato ben oltre quanto ci si aspetterebbe dalle sue dimensioni.
Il solo Stato brasiliano del Pará ha visto più deforestazione che agli altri otto Paesi amazzonici messi insieme: un incredibile dato di 263.000 km², un’area più grande del Regno Unito. Il Brasile è in ritardo rispetto agli altri Paesi anche con riferimento alla quantità di terra disboscata in fase di ripristino. Solo il 25% della terra precedentemente deforestata del Brasile è occupata da foreste secondarie, e queste nuove foreste compensano solo il 9% delle emissioni di CO₂ dovute al disboscamento. L’Ecuador, invece, ha una foresta secondaria che cresce su oltre il 50% della sua terra deforestata. In Guyana, dove le foreste in via di recupero sono più datate e quindi hanno avuto il tempo di catturare più CO₂, è stato compensato quasi un quarto delle emissioni da deforestazione, il livello più alto di qualsiasi Paese amazzonico.
Questi modelli a livello nazionale risultano sostenuti da una tendenza che si estende a tutto il bacino amazzonico. Le regioni che hanno subito la deforestazione più estesa – e quindi hanno il maggior potenziale per il ripristino di foreste su larga scala – hanno attualmente i tassi di recupero più bassi. A peggiorare le cose, questi paesaggi amazzonici altamente deforestati non mostrano alcun segno di aumento della copertura forestale, anche 20 anni dopo che la terra era stata inizialmente disboscata.
Il ripristino su larga scala delle foreste in Amazzonia rappresenterebbe un’importante contributo naturale alla riduzione del cambiamento climatico. Gli ultimi risultati del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico indicano che il raggiungimento di emissioni nette pari a zero è essenziale per stabilizzare il riscaldamento globale, e le soluzioni basate sulla natura saranno al primo posto nella Conferenza ONU sul clima in programma nel novembre 2021, altrimenti nota come COP26, in cui i governi di tutto il mondo svilupperanno un piano per raggiungere le emissioni nette pari a zero a livello globale.
Ma, a meno che non vengano apportati cambiamenti drastici per fermare la deforestazione e incoraggiare le foreste a ricrescere, l’Amazzonia non potrà colmare il suo potenziale per mitigare il cambiamento climatico.