Haiti, l’assassinio di Moïse e gli effetti sulla campagna vaccinale
[Traduzione a cura di Luciana Buttini dell’articolo originale di Rashmee Roshan Lall pubblicato su openDemocracy]
L’assassinio del presidente di Haiti Jovenel Moïse avvenuto lo scorso 7 luglio è stato il primo caso di omicidio di un Capo di Stato haitiano dal 1915. Quella lontana tragedia, in cui fu ucciso l’allora presidente Jean Vilbrun Guillaume Sam, accelerò l’invasione del Paese da parte degli Stati Uniti, un’occupazione durata quasi 20 anni. In questo caso l’uccisione di Moïse non avrà una conseguenza di quel genere, ma potrebbe far fallire gli sforzi compiuti dalla nazione per far fronte alla pandemia da Covid-19.
Consideriamo, ad esempio, la realtà della situazione ad Haiti. Negli USA, la pandemia di coronavirus sembra regredire ma nell’isola caraibica, che dista solo due ore di volo, il lancio della campagna vaccinale non ha ancora avuto inizio. Haiti è infatti l’unico Paese dell’emisfero occidentale a non aver ancora vaccinato una sola persona. Una simile triste statistica aggiunge un ulteriore dato dolente a quello che è già lo Stato più povero nella parte occidentale del pianeta.
Oltre ad aver vissuto ad Haiti per tre anni, ho lavorato in loco come corrispondente e dunque so quanto sia facile puntare il dito contro l’inefficienza cronica dello Stato di fronte alla mancanza di una campagna vaccinale. Questa sua incapacità costituisce senz’altro un fattore ma non tutta la storia.
Al 6 luglio scorso, la Repubblica Dominicana, che condivide l’Isola di Hispaniola con Haiti, aveva somministrato 77,4 dosi di vaccino ogni 100 abitanti. Sulla mappa delle vaccinazioni gestita da Our World In Data, il progetto dell’Università di Oxford che si occupa di tracciare la pandemia, se si sposta il cursore sulla vicina Haiti la dicitura “nessun dato disponibile” rivela la dura realtà del Paese.
D’altra parte, nell’isola si registrano dati pandemici di un altro tipo. Nel periodo compreso tra il 3 gennaio 2020 e il 29 giugno 2021, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha segnalato nel Paese la presenza di 18.341 casi confermati di infezione e 415 decessi. Il bilancio risulta notevolmente inferiore rispetto alla Repubblica Dominicana, che nello stesso arco temporale contava 323.650 casi confermati e 3.801 vittime.
Eppure, ciò dipende piuttosto da un vantaggio demografico che da una politica strategica o da una particolare competenza manifestata dal Governo di Haiti. Nel Paese vive la popolazione più giovane della regione caraibica in quanto oltre la metà dei suoi 11 milioni di abitanti ha meno di 25 anni, e questo aspetto costituisce una realtà fortunata di fronte a una malattia che raramente si rivela fatale per chi ha meno di 40 anni. (I dati dell’OMS vengono costantemente aggiornati; per consultare quelli più recenti, clicca qui per Haiti e qui per la Repubblica Dominicana).
Tuttavia, secondo alcune voci non confermate, in assenza di un qualsiasi tentativo di vaccinare la popolazione, il numero di casi è in aumento. Un medico dell’ospedale di Cap-Haitien, nel nord del Paese, ha affermato di vedere dai 15 ai 20 casi giornalieri in clinica. Inoltre, il controverso referendum costituzionale previsto per lo scorso 27 giugno è stato posticipato, almeno in parte per la necessità di dover dichiarare un nuovo stato di emergenza sanitaria.
Helen La Lime, la rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite ad Haiti, di recente ha manifestato al Consiglio di sicurezza la sua preoccupazione circa il peggioramento delle condizioni sociali e di sicurezza a causa dell’incremento di casi di coronavirus nel Paese e del “crescente processo di polarizzazione della politica locale.”
Nessun vaccino per la politica di Haiti
La politica è stata a lungo il flagello di Haiti, una terribile afflizione che l’ha fatta passare da una crisi all’altra: economiche, sanitarie e di ordine pubblico. Dalla deposizione nel 1986 dell’ex dittatore Jean-Claude Duvalier, conosciuto come “Baby Doc”, la nazione è stata tormentata dall’instabilità.
Fino al giorno del suo violento omicidio, il presidente Moïse aveva trascorso 18 mesi a governare a colpi di decreto in quanto aveva destituito tutti i membri tranne 10 dell’assemblea legislativa bicamerale composta da 30 seggi. Nel frattempo, gli oppositori avevano denunciato la sua presunta illegittimità e il suo rifiuto di dimettersi lo scorso 7 febbraio, cinque anni dopo l’uscita di scena del suo predecessore. Moïse aveva affermato che l’inizio del suo mandato quinquennale andava fissato a febbraio 2017, dopo che erano state indette nuovamente le elezioni in seguito a delle irregolarità, e che pertanto aveva il diritto di rimanere in carica fino al 2022.
Le proteste contro il Governo di Moïse, scoppiate per la prima volta nel 2017, hanno paralizzato l’economia. La sua reazione tirannica alle manifestazioni ha poi forse peggiorato una situazione già estremamente grave. La violenza tra bande è aumentata in modo esponenziale negli ultimi mesi provocando l’esodo di centinaia di famiglie dai quartieri poveri della capitale di Port au Prince e aggravando il senso di insicurezza degli abitanti. Si pensava infatti che le elezioni, previste per il mese di settembre, non avrebbero risolto nulla poiché il Consiglio istituito dal Governo per organizzare le votazioni era largamente considerato di parte. Ora, l’assassinio del presidente mette in dubbio tutto, compreso il lancio della campagna vaccinale.
Ma la politica di Haiti, per la quale non esiste un vaccino e, a quanto pare, nemmeno una cura, non può spiegare del tutto l’attuale difficile posizione di unico Paese dell’emisfero occidentale a non avere dosi di vaccino da somministrare ai suoi cittadini.
C’è anche la tentazione di accusare gli abitanti di Haiti per la loro ben comprovata esitazione verso i vaccini, il che si è tradotto in un notevole calo di immunizzazioni contro malattie prevenibili, quali difterite e tubercolosi. Di fronte a un’epidemia di colera nel 2010, la peggiore del mondo nella storia recente, molti cittadini hanno risposto con una straordinaria esplosione di coraggio e incoerenza. “Mikwòb pa touye Ayisyen”, un detto creolo haitiano che significa che un semplice microbo non può uccidere gli abitanti di Haiti, riassume l’opinione comune.
Dopo che i vaccini contro il Covid-19 sono stati sviluppati e consegnati in molti Paesi, ad Haiti hanno iniziato a circolare dei video in cui si affermava che si trattasse di un complotto per diffondere l’HIV, l’AIDS e la malaria tramite le iniezioni. Justin Colvard, il direttore nazionale dell’ONG Mercy Corps, ha osservato che tra le voci e la disinformazione girava anche la credenza secondo cui “il Covid-19 non fosse reale e se lo fosse stato, gli abitanti di Haiti sarebbero stati inattaccabili.” Era evidente dunque che allo stesso modo anche il colera non fosse stato preso sul serio. Ed ecco che il proverbio “mikwòb pa touye Ayisyen” ritorna di nuovo.
Contro il vaccino AstraZeneca
Eppure, l’approccio intrapreso dal Governo del Paese per fermare la campagna vaccinale della popolazione contro il Covid-19 potrebbe avere a che fare con qualcos’altro che va oltre l’irrazionalità o i passi falsi commessi in fase organizzativa. In particolare, riguarda il vaccino Oxford-AstraZeneca.
Nel mondo, sono già numerose le persone che hanno manifestato timori circa il vaccino AstraZeneca, tanto da causare gravi problemi al lancio delle vaccinazioni. La Gran Bretagna stenta a riconoscere questo dato di fatto perché questo vaccino è nato nell’Università di Oxford, da cui ha poi preso il nome. Tuttavia, da come ho potuto vedere in questi ultimi 6 mesi operando come volontario nei centri vaccinali, questi timori sono una realtà in alcune zone dell’Inghilterra così come in Francia, Danimarca, Italia e in diversi altri Paesi europei.
La stessa situazione si è verificata anche in alcune zone dell’Africa, con il Malawi che accusa l’incertezza dell’opinione pubblica sul vaccino per la sua scarsa diffusione e la necessità di distruggere quasi 20.000 dosi scadute. Lo stesso succede negli Stati Uniti che non hanno nemmeno autorizzato l’uso di AstraZeneca, e ad Haiti che lo scorso aprile ha rifiutato le 750.000 dosi di AstraZeneca che le erano state offerte gratuitamente nell’ambito del programma COVAX coordinato dall’OMS e volto a fornire vaccini alle nazioni più povere.
Al contrario, Haiti ha chiesto di ricevere i vaccini di qualsiasi altra casa farmaceutica. Si tratta però di una richiesta difficilmente attuabile in quanto il Paese non dispone di una catena dell’ultra-freddo a livello nazionale, un aspetto quest’ultimo che limita la scelta al vaccino di AstraZeneca o di Johnson & Johnson, nessuno dei quali deve essere conservato a temperature estremamente basse.
Lo scorso maggio, quando un’impennata di casi di coronavirus ha contribuito a indebolire la resistenza del Governo di Haiti al vaccino anglo-svedese, la sua richiesta per le stesse dosi che aveva rifiutato non poteva essere soddisfatta. Il motivo derivava dal fatto che il Serum Institute of India, la più grande azienda produttrice di vaccini su scala mondiale, aveva riscontrato dei problemi di realizzazione e, data in generale l’ampiezza del fabbisogno globale, le case farmaceutiche non riuscivano a stare al passo.
Sono circa 130.000 le dosi del vaccino di AstraZeneca che dovevano arrivare ad Haiti a metà giugno, ma l’Organizzazione Sanitaria Panamericana (PAHO) ha ammesso che ci sarebbe stato un ritardo non definibile. Il 21 giugno, l’amministrazione Biden aveva promesso 14 milioni di dosi per i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, il che avrebbe messo Haiti in lista per ricevere il tanto agognato soccorso. Ma a fine mese, l’ambasciata americana ad Haiti ha soltanto lanciato un tweet speranzoso in cui si augurava di condividere presto altre notizie.
Chiaramente, l’emergenza vaccinale di Haiti mostra un problema più grande: il valore del marchio di AstraZeneca. Questo vaccino, facile da conservare, da utilizzare e più economico degli altri è stato leso da ondate di cattiva pubblicità. Gli scienziati dell’Università di Oxford che lo hanno sviluppato e l’azienda farmaceutica anglo-svedese che lo ha prodotto, senza fini economici finché durerà la pandemia, hanno svolto un pessimo lavoro di comunicazione delle informazioni. Nel frattempo, la fiducia pubblica nei confronti di AstraZeneca è andata scemando.
Mentre la pandemia imperversa, la grave situazione del Paese rispetto ai vaccini non dovrebbe essere vista come la somma di molti elementi, piuttosto che come un sintomo di tutti i suoi malesseri fin troppo noti, e di cui l’assassinio del presidente è una preoccupante recrudescenza?