L’estrattivismo verde che non può risolvere l’emergenza climatica

[Traduzione a cura di Davide Galati dall’articolo originale di Hannibal Rhoades e Andy Whitmore pubblicato sulla rivista The Ecologist.]

Un nuovo e spinoso dibattito ambientale sta irrompendo nelle conversazioni dominanti sull’emergenza climatica.

Cominciamo ad avere sempre più bisogno di una vasta offerta di “minerali di transizione“, come il litio e il nichel – utilizzati in tutto, dalle turbine eoliche ai pannelli solari ai veicoli elettrici – se vogliamo accelerare rapidamente il nostro passaggio alle energie rinnovabili.

Ottenere una quantità sufficiente di questi minerali, aumentandone contemporaneamente l’offerta per soddisfare la domanda in rapida crescita, rappresenta un potenziale serio collo di bottiglia nel raggiungimento degli obiettivi climatici globali. Come otterremo questi minerali e metalli – e riusciremo a disporne abbastanza velocemente?

Ingresso a una miniera di cobalto nel Katanga, foto di Fairphone su licenza CC.
Ingresso a una miniera di cobalto nel Katanga, foto di Fairphone su licenza CC.

Colonialismo

Questa discussione si è spostata dalle sale riunioni di attivisti e accademici a Washington, Pechino e Bruxelles. E le società minerarie, sempre all’erta per un’opportunità di guadagno, hanno iniziato a presentarsi come i salvatori del clima.

Un’estrazione pulita, verde, sostenibile e responsabile, dicono, fornirà i materiali di cui abbiamo bisogno per rispettare i nostri impegni sul clima. I politici hanno in larga parte accettato la descrizione scintillante che l’industria mineraria ha fatto di se stessa.

Le task force sui minerali critici e le alleanze industriali stanno proliferando tra le nazioni ricche. L’obiettivo è trovare modi per garantire l’approvvigionamento. I governi di tutto il mondo, sia nel Sud che nel Nord, sono in competizione per attrarre investimenti minerari stranieri, spesso legati alla ripresa economica a seguito della pandemia da COVID-19.

Per chiunque abbia a cuore la giustizia climatica, questa non è una buona notizia.

L’estrazione mineraria su scala industriale è sinonimo di una lunga storia di colonialismo, oppressione e devastazione ecologica. L’industria detiene un numero record spaventoso di violazioni di diritti umani fino ad oggi, per quanto riguarda le comunità e i lavoratori coinvolti in prima linea.

Ecosistemi

L’industria estrattiva è costantemente classificata come la più letale al mondo per coloro che vi si oppongono.

Quella mineraria è anche un’industria ad alta intensità di combustibili fossili che distrugge gli ecosistemi e la biodiversità, che svolgono un ruolo vitale nel funzionamento del nostro sistema climatico.

In pratica, l’impatto climatico provocato dalla perdita e dalla distruzione della biodiversità – causate dall’estrazione mineraria – potrebbe effettivamente annullare qualsiasi vantaggio in termini di mitigazione del clima consentita dall’aumento della capacità rinnovabile fornita attraverso uno scenario non pianificato e di sviluppo business-as-usual dell’estrazione di minerali di transizione.

In breve, una transizione verso le energie rinnovabili basata sull’estrazione “sporca” non è affatto una transizione. E non è nemmeno un “male necessario”, come alcuni sostengono.

L “estrattivismo verde” – l’idea che i diritti umani e gli ecosistemi possano essere sacrificati all’estrazione mineraria in nome della “soluzione” al degrado climatico – è ingiusta. E in tali termini fallirà: probabilmente contribuirà, piuttosto che arrestarlo, al collasso climatico incontrollato.

Giusta transizione

Ma come possiamo procurarci i minerali di transizione di cui abbiamo effettivamente bisogno per fare a meno dei combustibili fossili nocivi al pianeta, se l’espansione mineraria massiccia è un autogol climatico?

Un nuovo rapporto, “A Material Transition: Exploring supply and demand solutions for renewable energy minerals”, dell’organizzazione benefica War on Want cerca di rispondere a questa domanda, indicando percorsi verso una società veramente circolare, post-estrattiva e che sia allineata con le esigenze di giustizia climatica.

Nel rapporto si sostiene la necessità di soluzioni sia sul lato dell’offerta che su quello della domanda per mitigare i danni causati dall’estrazione di minerali di transizione, nonché per garantire il minor numero possibile di nuove attività estrattive.

Queste soluzioni possono essere raggruppate in tre categorie principali: solidarietà internazionale con i territori impattati dai minerali di transizione; catene di approvvigionamento globali eque per le tecnologie delle energie rinnovabili; trasformazioni sociali al fine di ridurre il consumo di materiale non sostenibile.

Il rapporto A Material Transition sostiene che i concetti di una giusta transizione e di un’equa ripresa non possano fermarsi alle priorità nazionali e dei lavoratori, ma debbano estendersi alle comunità in prima linea. 

Catene di fornitura

La soluzione è nell’affrontare il disequilibrio cronico di potere che attualmente esiste tra le società minerarie e gli Stati da un lato, e le comunità e gli ecosistemi dall’altro, che vengono sacrificati per l’estrazione mineraria.

In tutto il mondo, le comunità colpite dalle attività minerarie raramente godono di diritti significativi e vincolanti alla loro consultazione e al loro consenso.

Una transizione equa deve quindi garantire che le comunità, in particolare quelle indigene, siano in grado di far valere il loro diritto al consenso libero, preventivo e informato sulla possibilità, o sulle modalità, di un’estrazione.

Ciò include il diritto democratico di dire no a progetti indesiderati o inaccettabili come forma essenziale di controllo del potere aziendale.

Sono in corso discussioni per garantire il rispetto dei diritti umani nell’intera catena di approvvigionamento dei minerali, dall’estrazione alla vendita di veicoli elettrici e dispositivi elettronici.

Disaccoppiare

Alcuni segnali positivi indicano che gli investitori e gli utenti finali dei minerali di transizione, come i produttori di batterie o di veicoli elettrici, prenderanno provvedimenti per sradicare le violazioni dei diritti umani e ambientali nelle loro catene di approvvigionamento.

Vi è tuttavia un’urgente necessità di migliorare, consolidare e coordinare i numerosi schemi di due diligence delle catene di approvvigionamento in tutto il mondo per garantire il rispetto di standard minimi rigorosi.

Questi standard minimi dovrebbero essere obbligatori, non una questione di autogoverno aziendale, affermano gli autori, sottolineando il fallimento delle iniziative multi-stakeholder guidate dalle aziende che hanno emarginato le comunità e non sono riuscite a raggiungere i loro obiettivi.

Gli approcci dell’ “estrattivismo verde” all’approvvigionamento dei minerali e dei metalli cruciali per una transizione giusta sono presentati come innovazioni, ma in realtà lasciano intatti vecchi e pericolosi presupposti su come dovrebbe avvenire questa transizione.

Il principale tra questi presupposti è l’idea che possiamo continuare a far crescere l’economia globale e “disaccoppiare” questo concetto tradizionale di crescita dagli impatti ambientali.

Circolare

Questa cosiddetta “crescita verde” è il fulcro delle visioni più progressiste per un green new deal, ma ignora la forte evidenza che il “disaccoppiamento assoluto”, in base al quale gli impatti diminuiscono o si azzerano all’aumentare della crescita, non è possibile su scala globale.

Esiste un enorme potenziale per aumentare la quantità di minerali e metalli che vengono riciclati e per estrarli dai rifiuti minerari e dalle discariche in alte concentrazioni.

CPU a fine vita, da Wikimedia Commons.
CPU a fine vita, da Wikimedia Commons.

Ma queste misure acquisteranno un significato reale e duraturo solo quando saranno liberate dalla logica operativa della cosiddetta crescita verde.

La vera speranza, come sottolinea A Material Transition, è che le nazioni più ricche affrontino il consumo eccessivo di minerali, metalli ed energia.

Il riallineamento di queste economie fuori dal concetto della semplice crescita economica, rendendole più circolari, meno dispendiose e più concentrate sul benessere, può aiutare a ridurre drasticamente la necessità di nuove attività estrattive distruttive.

Stop alle estrazioni

Uno stop potrebbe anche concedere un po’ di respiro ad altre nazioni nei Sud del mondo, per riorientare le loro economie lontano dall’estrattivismo, aumentare gli standard di vita e definire propri percorsi di sviluppo.

Un importante analista energetico ha descritto il conflitto tra i settori dell’estrazione mineraria e dell’energia pulita come un “conflitto intrinseco” nei piani multimiliardari per il cambiamento climatico recentemente svelati dal presidente degli USA Joe Biden. Ha sostenuto in un recente articolo : “Ci deve essere una prima cosa e una seconda cosa, e in questo momento sembra che il clima sia la prima cosa“.

Il messaggio è che non possiamo permetterci di seguire questa logica a compartimenti stagni e trattare il crollo del clima come separato dalle altre crisi ecologiche e sociali e dalle disuguaglianze del nostro tempo. Non risolveremo i nostri problemi con lo stesso modo di pensare che li ha creati.

La crisi climatica fa parte di una crisi ecologica più profonda: la perdita di biodiversità, l’inquinamento diffuso, le carenze di terra e acqua. Queste crisi ambientali – a cui si aggiungono ingiustizie e disuguaglianze sociali – peraltro aggravate dalla pandemia, hanno intensificato la volatilità politica e le continue violazioni dei diritti umani, con un impatto significativo sulla salute umana.

Concentrarsi solo sulla transizione energetica trascura il fatto che dobbiamo prendere in considerazione le modalità di accesso ai nuovi materiali, cosicché ciò di cui abbiamo bisogno è una transizione dei materiali. Con le parole dell’attivista e poeta nigeriano Nnimmo Bassey: “Quando sei in fondo a una buca, devi smettere di scavare“.

Davide Galati

Nato professionalmente nell'ambito finanziario e dedicatosi in passato all'economia internazionale, coltiva oggi la sua apertura al mondo attraverso i media digitali. Continua a credere nell'Economia della conoscenza come via di uscita dalla crisi. Co-fondatore ed editor della testata nonché presidente dell’omonima A.P.S.

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